7° Giorno

Lunedì 26 aprile 2010

LA GUDINA - CAMPOBECERROS

(Km. 20 circa)

Che dire di questa meravigliosa giornata? Anche oggi faccio colazione al Bar del Pellegrino e poi via.

L’opzione del Cammino per Laza (chiamato Verea Vella) inizia subito a salire verso la montagna, ma dove si andrà per trovare il piano?

Ed anche oggi è asfalto perché il Cammino utilizza una piccola strada di servizio per le piccole contrade, dove praticamente non passa nessuno.

Queste contrade si chiamano Venda (erano osterie – locande per una sosta e per far riposare i cavalli) e portano ancora il nome del loro antico proprietario. Dopo due case con una grande stalla da cui saluto La Gudina, procedo verso Venda do Espino, a mt. 1098, in piena Serra Seca. Questa contrada deve il suo nome ad un ciliegio che sembra abbia 200 anni.

Intorno è un tripudio di erica fiorita e magica con i colori del mattino. Sembra che tutto sia rivestito di rasi e velluti porpora. Vien voglia di accarezzarli. Ne prendo un ramoscello che mi accompagni con il suo profumo e poi avanti.

Ancora salita ma prima di Venda Teresa il terreno si addolcisce. La contrada sembra lì ma al solito occorre strada per arrivarci. Anche qui qualche casa, ma molte sono abbandonate. Ci sono solo due donne che accudiscono alle stalle, e poi 20 cani. La più giovane, vedendomi arrivare, richiama Titti, probabilmente il capobranco, e mi invita a passare. Dice che sono buoni e sono abituati ai Pellegrini, io ho il bastone ma questi cani sono veramente tanti e pur con timore mi azzardo a passare.

La seconda donna più anziana, brutta, contorta e tutta nera ma con occhi dolcissimi e generosi, richiama i suoi, mi tranquillizza e mi augura buon cammino. Poi dietro di me, come in un film, dopo l’improvviso silenzio dovuto al richiamo, un boato di latrati furiosi. Ma sono ormai lontana da loro.

Ancora profonde vallate riempite di rosa e nient’altro. Le frecce sono poche e talvolta ho qualche timore, sebbene molte strade alternative non ce ne siano.

Poco avanti il Cammino devia in mezzo alle eriche per una pista forestale, ovviamente in salita, fino alla cima della montagna.

La gente dice che i lupi si rintanano verso la cima delle montagne ma, mi chiedo, dove si rintaneranno qui visto che arrivo proprio al culmine? Ogni tanto, nel dubbio faccio battere il mio bastone sulle pietre: è un modo per rincuorarmi e non sentirmi spersa e sola.

Poiché in lontananza sento abbaiare i cani di Venda Teresa, non c’è nient’altro intorno, immagino che dei Pellegrini, però a mezz’ora da me, stiano sopraggiungendo. Chissà se fra essi ci sarà anche la coppia tedesca che ha alloggiato nel mio stesso Hotel e che ho lasciato al bar stamattina?

Più in basso a sinistra vedo lontano un paese, immagino sia quello dove andrò, ma non sarà quello e di strada ne mancherà ancora molta.

Ma dopo tanta salita vi è la discesa e subito dopo il Paradiso.

Che sensazione incredibile di appagamento assoluto.

Dall’alto domino l’Embalse de As Portas con la corona delle montagne riflesse nel lago con tutto il loro magico rosa.

Questi azzurri, questi rosa, questi silenzi, questi pendii che salgono e ridiscendono con stupefacente bellezza mi lasciano senza fiato. Mi fermo: osservo e piango per questo dono immenso, per questo premio alla mia fatica e già, anche per il mio piede dolorante. E poi in tutto questo rosa mi inebrio, mi ubriaco, gusto attimo per attimo la bellezza che mi circonda e saturo il mio cuore di queste emozioni e, quando i miei occhi non vedranno che grigiore, lo trasformerò con il ricordo e con tutta l’anima in questi colori stupefacenti e scintillanti. Vorrei fermarmi qui e sottrarmi a tutte le brutture del mondo, sebbene il mondo, ovvero l’intelligenza dell’uomo, abbia creato questo embalse, nel 1972, sulla gola del Rio Camba, il più alto della Galizia.

Quando avranno riso e giocato i bimbi l’ultima volta?

In questo silenzio trionfante e indimenticabile

rivive ora un paradiso abbandonato.

Vorrei frugare nell’acqua

per trovare i diamanti di tante vite

che hai rapito come sirena.

Vorrei dissetarmi alle tue acque di cobalto

che riflettono il porpora indossato per me

e, lontano,

le candide nevi delle mie montagne ti fanno corona.

La costruzione del lago fu molto contrastata per i numerosi espropri nella zona e per la gran paura (che tuttora sussiste) vista la tragica esperienza del tracimamento, nel 1959, di Ribadelago che causò 144 morti.

E’ da segnalare che la Galizia produce un quarto dell’energia idroelettrica spagnola e che nella sola provincia di Ourense esistono ben 15 embalses. Inoltre sono previste estensioni di questi bacini, con nuove costruzioni di dighe, anche per il gigantesco bacino di As Portas.

(E’ di questi giorni – ferragosto - la decisione del Governo spagnolo, dopo 18 anni di polemiche, di innalzare di 10 metri la diga di Yesa sul fiume Aragon che accorcerà di km. 4,2, allagandolo, il Cammino Aragonese. Ma tutte queste polemiche hanno indotto a ridurre l’innalzamento originariamente previsto di 23 metri che avrebbe sconvolto oltre 9 Km. del detto Cammino causando inoltre la scomparsa del paesino di Sigues.)

Questi nuovi ampliamenti sono molto osteggiati dagli ambientalisti spagnoli rilevando che, oltre alle devastazioni ambientali, esiste, nei luoghi previsti, una pericolosità oggettiva di frane sia durante e dopo tali lavori. In tanta bellezza non voglio egoisticamente fermarmi a pensare alle tante vite umane che il lago avrà sacrificato.

Certo non posso ignorare la paura della popolazione che abita sotto questa colossale diga sopratutto durante le grandi piogge.

(Ed a maggio, proprio nel periodo in cui facevo questo Cammino, i giornali parlavano, date le grandi piogge, della possibilità che alcune dighe non tenessero……).

Ma su questo non ho nulla da dire, mi limito a condividere la bellezza del lago con il mio appagamento ancestrale.

Lo seguirò per molti chilometri sebbene via via abbassandomi ed il lasciarlo è stato veramente doloroso, in tutti i sensi.

Più avanti Venda Capela è più grande e più abitata: una decina di abitanti. E’ già un paese e vi è anche la fermata dell’Autobus sebbene, anche qui, le case disabitate siano molte.

E’ un paese con una stazione ferroviaria che stanno ripristinando e vicino, hanno anche costruito 3 enormi cisterne che si intromettono tragicamente e disturbano l’amenità dei luoghi. La linea ferroviaria, che con i suoi oltre 100 tunnel scompare spesso nella montagna, ci accompagna per molti tratti, anche se mi pare in parte dismessa. Era od è, ancora non ho capito, la linea che collegava Madrid a Ourense. Certo molte stazioni sono abbandonate ed alcune invece sono in restauro.

All’epoca della costruzione dell’Embalse era una tappa molto importante con benessere per il paese. Uscendo si notano, abbandonati da tempo, alcuni edifici tutti uguali, ma non sono antichi e rurali. Dovevano essere le vecchie abitazioni degli operai addetti alla linea ferroviaria.

E’ un paese bellissimo per la posizione emergente sulle vallate e sul lago. In tutto questo abbandono però qualcuno ha restaurato alcune case con i fondi dello Stato e volendo ci sono alcuni appartamenti d’affittare.

Più avanti c’è anche Venda Bolano ed anche qui tante case abbandonate.

Ma è tutto così bello che la fatica di questo continuo salire, sfugge.

E sempre su, su, su e quando alla fine raggiungo il cielo e Dio, per questa gioia profonda che provo, il Cammino discende e poi si inoltra tumultuosamente e pericolosamente in mezzo ad un sentiero-frangifiamma tutto dissestato.

E non oso pensare a chi l’avrà percorso quando pioveva.

Scendo piano, nonostante la forte pendenza induca a percorrerlo velocemente, perché temo una nuova distorsione con tutti questi sassi vacillanti e freno molto per rallentare il mio andare.

Ma in tutte queste salite e discese ho un vantaggio: il passo non appesantisce il tallone.

Campobecerros è subito lì in basso in un catino fra alte montagne. Appartiene al Comune di Castrelo do Val che a sua volta deve il nome ad alcuni antichi Castri della zona. E’ uno dei paesi più abitati della zona e lo rivelano anche le sue case ordinate e talvolta nuove. Alcune però presentano il solito rivestimento con le orribili mattonelle lucide. Deve il suo benessere ad agricoltura e bestiame ma anche al Parco Naturale O Invernadeiro di 5.700 ettari, che si può visitare solo accompagnati e con prenotazione. La cosa mi fa sorridere ma forse è l’unico modo per preservarne l’habitat. E fra la vegetazione e gli animali protetti vi è anche il lupo.

L’entrata al paese passa davanti al cimitero ed alla sua Chiesa con l’immagine di Santiago sulla facciata. Anche su molte lapidi vi è raffigurata l’immagine protettiva del Santo.

Devo nuovamente salire fino alla fine del paese per trovare il mio Hostal.

Mi fanno aspettare oltre un’ora per servirmi un pranzo che mi dicono è pronto. Probabilmente hanno atteso altri commensali con cui poi mangiano i padroni, ma io sono sfinita per la fatica, la fame e ora anche la rabbia per questa lunga attesa. Ahimè è l’unico bar-hostal del paese!

La stanza è grande e luminosa ma pulita un po’ sommariamente.

La padrona ha troppe cose a cui badare non ultima la sua passione per il ricamo. Alle finestre ci sono deliziose tendine all’uncinetto e con i complimenti che le rivolgo per queste meraviglie, la conquisto. Ed allora la rabbia per la lunga attesa, e per questo luogo così lontano dal mondo, scompare per accettare la serenità e la gratuità di un sorriso.

Lentamente e zoppicando gironzolo per il paese per scoprire quel poco che c’è.

Santiago de Campobecceros, ma il primo nome è ormai desueto, deve il nome ai Cavalieri di Santiago che da qui controllavano e proteggevano i Pellegrini nell’attraversamento delle montagne.

Certo, del suo antico splendore traspare poco; ora è solo un paese rurale con piccole vie che si arrampicano verso la montagna. Infatti devo deviare su altra viuzza perché un carro, che viene caricato di letame da una stalla, proprio nel centro del paese, me ne ostruisce completamente il transito. Davanti ad una casa nuova vi è una strana scultura; è il Piliqueiro Anton (un personaggio carnevalesco). Inoltre vi è anche un omaggio ai lavoratori che costruirono il difficile tratto delle ferrovia Puebla de Sanabria – Ourense.

Rientro ed aspetto la cena sulla bella terrazza che dà sulla valle ammirandone un magnifico tramonto. Ora, in questo isolamento ancestrale il mio cuore è in sintonia con l’ultimo bagliore infuocato che avvolge il mio spirito indomato.

Il mio telefonino non funziona ed uso quello del bar, con scarne parole, per tranquillizzare a casa.

La sera ceno con i due Pellegrini tedeschi ed uno ceco (della Cecoslovacchia) che l’anno scorso, sulla meseta, percorreva 100 Km. al giorno; sono sempre più strabiliata per questi supereroi o super……...

Rientro nella stanza molto molto avvilita. Sarà che con tutti questi eroi mi sento una nullità, sarà per il piede e la fatica, sarà per il telefono, sarà per il luogo sperduto ed insignificante in cui sono, ma per la prima volta vorrei essere già arrivata alla meta.

Non ho, come negli anni passati il desiderio di prolungare all’infinito queste giornate di passi e ripassi (nel senso di ripercorrere la vita nel silenzio di pensieri infiniti).

Non mi resta che attendere la notte ed il nuovo giorno.