5° Giorno

Sabato 29 aprile

Cudillero - BALLOTA – LUARCA

(km. 23)

Mi svegliano alle 7 i gabbiani con il loro stridii. Sembrano lamenti, ma dopo un po’ ci si abitua. Alle 7,30, (non c’è colazione nel prezzo di ieri), sto già arrampicandomi su per la ripida salita che porta alla fermata dell’autobus in cima al paese. Ma è sabato e l’autobus passerà solo in tarda mattinata. Allora mi rivolgo ad un taxista, per fortuna fermo lì vicino, e velocemente mi faccio portare a Ballota. Al solito, devo accorciare la strada, ma ho anche fretta di arrivare.

Quest’anno le mie motivazioni per arrivare a Santiago sono aumentate. Devo raggiungere il “Santo” domenica 7 maggio perché ho un appuntamento importante: incontrarmi con Daniele, il mio “cucciolo” che studia in Spagna.

Da Ballota, (due case in tutto), per la statale, per fortuna poco transitata, dopo un lungo tratto arrivo a Cadavedo. Qualche casa lungo la campagna, ma solo verde e nebbia intorno a me fino all’arrivo del sole. Alla statale vi era l’alternativa del “Camino Real de las Palancas”, ma è sconsigliato da tutte le guide perché intransitabile e pericoloso. Prendo un veloce caffè in uno squallido bar; le indicazioni, che forse non ho capito bene, dopo aver girato di qua e di là, mi fanno finire, terrorizzata, in autovia. Per fortuna, appena possibile, ne esco, riguadagno la statale e, finalmente, ritrovo il Camino. E’ bello e segnalato; il tempo anche oggi è magnifico ed io sono felicissima. Quasi subito, però, il percorso s’inoltra nel bosco; è bagnato, anzi inondato e poi scompaiono anche i segnali.

Quando già dispero, trovo due frecce bianche, non gialle però, ed in mancanza d’altro, seguo queste. Procedo con difficoltà, il terreno è viscido e dissestato e poi finalmente scende. Improvvisamente, sento un forte rumore dietro di me, come se la montagna si aprisse. Mi giro spaventata. Una cerva sta scendendo velocemente dalla montagna sopra di me e si ferma a 20 metri, sul sentiero dove sono passata da poco. Mi guarda, ha paura, e s’inoltra sempre correndo, nel sottobosco sottostante. Mi giro per proseguire, ma quello che credo un forte gracchiare di corvo arrabbiato si alza altissimo dal bosco soprastante e mi spaventa nuovamente. Mi accorgo subito che è il lamento di un piccolo cerbiatto abbandonato dalla madre che lo aspetta molto più in basso, al sicuro. Lui ha tentato di seguirla lungo il ripido e sterposo pendio, ma, non essendoci riuscito, è risalito e la sta chiamando disperatamente. Allora per non disturbarli, mi allontano velocemente.

Scendo ancora e la strada finisce, ma finisce a picco sul mare. Realizzo di essermi persa, ma non mi preoccupo. Dove sono finita? In ogni caso il panorama è magnifico e “rubo” delle splendide foto. Poi cerco “un rigagnolo di strada” che mi porti fuori dall’empasse. Indietro, da dove sono venuta, non voglio tornare! Questa specie di viottolo abbandonato da anni che torna indietro, rispetto alla strada superiore da dove sono arrivata, finisce letteralmente su un (chiamiamolo) ponte, che attraversa un piccolo rio. Il ponte però è una specie di diga fatta di piccoli rami d’albero marci e macerati che sembrano tanti fogli di carta (forse sono d’eucalipto); temo di metterci sopra il piede. Chissà se reggeranno il mio peso? E se cadessi nel fiume che va al mare con un notevole dislivello, nella cascata di caduta, come me la caverei? In ogni caso mi faccio coraggio, appoggio prima un piede e poi, adagio, l’altro; faccio ancora qualche passo un po’ incerta e poi finalmente il terreno e su. Addirittura corro in mezzo a spine che penetrano anche i pantaloni e mi pungono le gambe, ma non sento nulla, solo il mio cuore che batte, batte e batte; ma risalgo veloce senza arrestarmi, come se il pericolo superato fosse lì ad inseguirmi. E corro su e su; in mezzo al bosco e senza alcun sentiero da seguire; tanto, se sotto c’è il mare, non mi resta alternativa. Ed infine trovo i prati, ben tenuti e recintati. Qualcuno li cura e quindi ci sarà una casa e poi un paese. E fra i prati ritrovo una strada, poi delle case e poi un paesino, grazioso e ben tenuto, con bei giardini intorno alle case.

Riconquisto la mia tranquillità, chiedo informazioni e ritrovo il Camino: ed allora, ancora avanti. C’è poca gente in giro, forse si sono allontanati per il “ponte del 1° maggio”. Sono ancora su strada asfaltata, ma poi ritorno giù, in mezzo al bosco. Ci sono segnalazioni che portano nuovamente ad una statale: qui un ponte, alto 105 metri, attraversa la valle. E’ uno dei viadotti della nuova autovia. Ma per uscire dall’ingorgo di strade e desvii causati dai lavori in corso, mi occorre un bel po’ di tempo, con molti avanti e indietro, anche di chilometri, perché spesso non c’è nessuno a cui chiedere. Mi accorgo che per gli ultimi 5 chilometri ho impiegato più di tre ore. Ahimè, pazienza!

Finalmente trovo la strada che risale molto ripida fino all’altezza del viadotto (ma quante volte sono salita e sono scesa?) e prosegue sempre in salita, ma il panorama è aperto e si vede anche il mare. Quasi sulla cima vi è anche un bar ristorante. Sono le 14, sono stanchissima e decido di fermarmi. Il luogo non è granché, fatta eccezione per il panorama. Direi che è un bar per camionisti, ma oggi, che è festa, hanno solo il menu alla carta e per quattro costine di agnello con patate ed acqua, pago Euro 14. Ma il vecchio padre viene ad ossequiarmi e mi regala una conchiglia portachiavi con il nome del ristorante, per ricordare la giornata. Allora dimentico tutte le contrarietà e tutti gli affanni. Quando esco due giovanissimi, altissimi e biondissimi Pellegrini (forse olandesi) entrano, anche loro per pranzare.

Mancano ancora 7 chilometri per arrivare a Luarca e, dati i lavori autostradali che hanno sconvolto strade e Camini, decido che procederò per la carretera.

Faccio poca strada, guadagno la cima e sto scendendo. C’è una macchina ferma; una coppia, più un vecchio mi stanno aspettando per offrirmi un passaggio. A quanto pare Santiago mi ha mandato un coche in soccorso. Vorrei rifiutare, ma prevale la mia stanchezza e salgo. La macchina internamente è molto in disordine, ma la loro gentilezza rende la cosa trascurabile. Non mi fanno molte domande, né mi parlano molto di loro. Sono dei contadini e mi lasciano alla periferia di Luarca, perché loro procedono per andare a trovare una figlia. Procedo anch’io, ma mi fermo quasi subito per ammirare lo splendido spettacolo di Luarca dall’alto; poi scendo giù al paese con le ultime poche energie della giornata.

Alle 16 sono già in albergo. Il mio hotel Gayoso (Euro 43 senza colazione, ma me ne avevano chiesto € 50 + IVA, mentre un cartello parla di Euro 35, bella considerazione per i Pellegrini!) è centralissimo, dà sulla piazza, ma è anche vecchissimo. Per consolarmi penso che l’hotel ha pur sempre 3 stelle (chissà come le assegneranno?) ed il prezzo è adeguato, alle stelle però, non a questo vecchiume. Non va meglio la camera singola, dopo averla cambiata perché la doppia, in precedenza riservatami, addirittura aveva la porta che non chiudeva. La stanza, pur se pulita, è di un vecchiume spaventoso ma non ho certamente voglia di andare alla ricerca di un possibile miglioramento: il Camino è anche adattamento e rinuncia. Ahimè! La stanza, è all’interno ed allora attacco fili e quant’altro e metto ad asciugare la mia biancheria.

Il paesino è delizioso, abbracciato ai lati dalle montagne che lo proteggono dal mare. L’ampia insenatura interna contiene la foce del rio Negro che vi arriva girovagando, ed il grande porto naturale, oltre al paese che si arrampica sulle montagne ai lati. Una lunga spiaggia, che dà fama al luogo marino estivo (ecco giustificato il costo eccessivo dell’albergo), è situata in fondo al porto. La cittadina è molto amata dagli Spagnoli, mentre in passato era conosciuta solo come importante centro baleniero.

I due quartieri antichi dei pescatori, la piccola chiesa, quasi sospesa fra il porto ed il fiume ed il palazzo dei marchesi di Ferrera del XV secolo sono le cose più interessanti da vedere. La via principale, con molti negozi, ha l’aspetto della solita via turistica marina e non presenta grandi attrazioni; anche la chiesa di S. Eulalia costruita nel 1879 è alquanto insignificante. Ascolto però la messa festiva e la bella omelia sulla linea di luce-croce come vita-morte. Mangio un piccolo toast e rientro; ho ancora tante cose da fare prima della notte.