1° Giorno

Giovedì 29 e venerdì 30 aprile 2004

Da VERONA a IRUN

(Mancano circa Km. 900)

Dopo molte indecisioni e preoccupazioni per la salute di Nonna Bianca, anche quest’anno, alfine, parto con il treno delle 12.10 da Verona per Irun (inizio del Cammino della Costa). Arrivo a Milano e mi precipito alla biglietteria per procurarmi il biglietto, da Nizza a Irun, perché a Verona nessuno era stato in grado di farmelo. Anche qui, dopo due code interminabili e tre sportelli, non riesco a farmi fare un biglietto per il tratto francese. Riprendo il treno che, nientemeno dopo 5 ore, mi porterà a Nizza. Nonostante il mio sia un treno rapido con supplemento, a me sembra vada estremamente adagio e siamo sempre fermi ad una stazione od ad un’altra in attesa di dare il passo ad un altro convoglio che proviene dal senso opposto. A Pavia inizia a piovere con insistenza ed il paesaggio intorno sembra più triste e si vela di malinconia. Negli scompartimenti intorno vedo qualche “brutta faccia” e due donne milanesi, molto più in là, “garriscono” continuamente. Pur essendo lontana da loro, anche con il rumore del treno, alquanto traballante, non posso fare a meno di seguire tutti i loro discorsi, fatti di “ciò e di c’ho”. E finalmente, interminabilmente e con una certa tristezza, arriviamo alle 20 a Nizza.

Faccio il biglietto mancante all’unica biglietteria aperta con lunga coda, ma tanto ho tempo. La signorina è alquanto sgradevole e sgarbata! mi chiede 100 Euro per la sola andata da Nizza a Irun (escluso il costo della cuccetta), nonostante le mie rimostranze. Vuol dire che il mio viaggio quest’anno, rispetto a 3 anni fa, costa il doppio: più dell’aereo! Visto che ho il dente avvelenato, penso che il tutto sia imputabile, ancora una volta, ai francesi! Perché il prezzo mi sembra davvero esorbitante, ora mi spiego il perché nessuno a Verona o a Milano fosse in grado di farmelo.

Rassegnata vado nella sala d’aspetto perché fuori c’è molto vento e fa freddo. Dentro è pieno di gente, ma mi colpiscono subito due uomini. Quando la sala d’aspetto si svuota perché tutti prendono il treno per Parigi, restiamo in quattro. Osservo, attendo un po’, ma poco, poi interrompo le mie parole crociate, guardo i due uomini dritto negli occhi….. e oso: “Siete Pellegrini verso Santiago?” Li abbordo. La nostalgia per il Cammino è così pressante che tralascio ogni buona regola. Mi butto con racconti, esperienze e consigli, con amore e tanti rimpianti per quello francese.

Arriva subito un Pellegrino in bici. Tutti ci lamentiamo del costo del biglietto, compresa una signora spagnola-romana che ogni 3 o 4 mesi rientra per accudire il padre che abita in un paesino nei Picos d’Europa. Lei addirittura è furibonda perché giungendo la sera prima con il treno da Roma, che aveva una decina di minuti di ritardo, ha perso la coincidenza ed ha dovuto non solo pernottare qui, ma attendere nuovamente il treno della sera, perché prima, di diretti per Irun non ve ne erano altri. Quindi all’elevato costo del treno ha dovuto aggiungere anche l’elevato costo per una brutta stanza nell’hotel di fronte alla stazione.

Siamo in 5 italiani ed è tutto un cicalare emozionato per questo Camino da fare; il mio però è quello della costa.

Sono molto considerata dai miei compagni che mi sommergono di domande. Il tempo vola e finalmente saliamo sul treno delle 23,20.

I due Pellegrini iniziali, bergamaschi, forse per economizzare, hanno scelto un vagone normale, mentre io e la spagnola, si chiama Dolores, siamo nello stesso scompartimento a cuccette e nel vagone con Beppe, il ciclista. Beppe è un torinese-pisano-viareggino che, come Orlando, andato in pensione a 54 anni, sta facendo il giro del mondo. È appena rientrato da Cuba (infatti è molto abbronzato) e farà il Cammino di Santiago in bicicletta e con tutta calma. Non ha fretta. È nello scompartimento vicino ed io mi sento più tranquillizzata anche perché, dopo tanti furti, veri e per sentito dire, in treno hanno provveduto! Veramente hanno provveduto solo dopo la morte di una donna avvenuta lo scorso anno, uccisa per poterla derubare; questo almeno mi racconta la signora spagnola. In ogni caso gli scompartimenti sono esclusivamente e tassativamente o femminili, o maschili ed ognuno è dotato di un chiavistello che ne impedisce l’apertura dall’esterno. Quest’anno dormirò! Telefono subito la notizia a casa per tranquillizzarli. Noi tre siamo gli unici ospiti su tutto il vagone, nuovo, con servizio bar, ripostiglio per biciclette e quant’altro. Chiacchieriamo a lungo, nonostante l’ora tarda. Quando ci salutiamo per andare a dormire Beppe però ha subito bisogno d’aiuto. Una delle due sacche laterali della bicicletta ha la cerniera rotta. Con alcuni grossi aghi da balia, miei e suoi, riusciamo a tamponare la cosa, perché prima di arrivare a Pamplona non potrà fare nulla per cambiare la cerniera e non può certo andare in giro con una sacca aperta e con il peso non equilibrato. Inoltre non ha zaino e i sagolini miei o suoi non si possono utilizzare.

A Cannes sale una signora molto anziana che però scende a Tolosa alle 5; quindi 2 interruzioni al nostro sonno. Il treno corre veloce, mi sembra più dell’anno precedente. Alle 7,30 ci svegliamo definitivamente e dal distributore in fondo al vagone abbiamo anche caffè e biscotti. Facciamo colazione tutti e tre insieme e ci mettiamo a chiacchierare fitto fitto, (chissà se qualcuno voleva dormire un altro po’?) fino alle 9,30, quando Beppe arriva a Baionne e ci saluta. Io rimango con Dolores, una vera chiacchierona che, quando infine arriviamo a Irun, vuole aiutarmi a tutti i costi nelle mie richieste di informazioni, ma che mi fa perdere solo tempo, perché io voglio chiedere e capire da sola, per cui, quando mi lascia, torno alla Stazione dei treni e degli autobus per tutte le ulteriori informazioni che mi servono.

Poi affronto Irun, una cittadina piuttosto moderna perché ha subito un grande incendio, alla fine del 1800, che la ha quasi completamente distrutta. La via principale ha ricchi e lussuosi negozi, tant’è che per non togliermi e aprire lo zaino (e c’è molto vento freddo) entro in uno di essi a chiedere una sciarpetta economica, ma la commessa mi informa che la più economica costa 35 Euro. Un po’ troppo per le mie sudate ed il mio uso attuale. Desisto, esco mi siedo su una panchina lungo la via, tolgo lo zaino e recupero il mio foulard di seta indiana, così comodo, caldo e senza preoccupazioni di sciuparlo.

Raggiungo, chiedendo più volte, la Chiesa di Santa Maria del Juncal. Ci sono lavori in corso, ma per fortuna mi lasciano entrare.

Alla fine della visita mi faccio fare il sello (timbro) da una suora. Poi con infiniti giri inutili (torno sempre allo stesso posto), perché qui la gente è poco informata e non è certo abituata ai Pellegrini (mi guardano come una bestia rara e probabilmente sono la prima Pellegrina vecchia e sola con enorme zaino sulle spalle che vedono; eccentrica è dir poco), raggiungo il piccolo Eremo di Sant’Elena. La chiesetta è deliziosa e dentro ci sarebbe un museo archeologico, ma naturalmente è chiuso.

Ritorno sui miei passi e per la quarta volta ripasso davanti al municipio che ha striscioni con scritto “Eta non età”, credo alludendo al recente attentato di Madrid. È uno dei pochi palazzi rimasti della vecchia Irun. Nessuno sa indicarmi la strada per arrivare a Hondaribbia e tutti mi invitano a prendere l’autobus. Stanca di girare a vuoto e di chiedere, alla fine, per la disperazione, mi decido a prenderlo. Dalla strada vedo il Ponte di Santiago che attraversa la ria che segna il confine fra Spagna e Francia. L’autista è gentile e mi indica dove scendere e come entrare nella cittadina tutta cinta da mura medievali.

Entro dalla porta di Santa Maria. Beh! è una vera sorpresa. Dire che la cittadina è bella o deliziosa è poco! Il suo centro è dichiarato monumento nazionale. Le sue case di pietra si snodano su per la collinetta; hanno grandi tetti spioventi e con modiglioni scolpiti. Poggioli e verande di legno, di molti colori, decorano le facciate insieme agli enormi stemmi nobiliari in pietra.

In alto vi è la chiesa gotica del XV e XVI sec. dedicata alla Nuestra Senora de la Asuncion y del Manzano. L’interno ha tre navate e tre absidi e per la profusione di altari dorati ed il pavimento in legno mi ricorda quello di Puente la Reina. Dentro un prete indaffarato cerca di impartire una improbabile lezione di catechismo ad una trentina di bambini che sentono già l’estate. Il tempo brutto fino all’arrivo si è aperto in una ridente giornata di sole, ma non fa caldo, anzi. Cerco un albergo che trovo in fondo alla parte opposta della collina. È un gioiellino, incastonato in una deliziosa piazzetta; è stato restaurato di recente e conserva ancora la scala a chiocciola di pietra. Anche la camera è graziosa se non fosse che per accedere al letto, matrimoniale, bisogna girarsi di fianco e che la tenda alla finestra, pur corta, ti copre il viso quando sei sdraiata. Vi è un piccolo armadio d’angolo, nel quale non riesco a farci stare lo zaino, e neppure una sedia. Metto quindi zaino e quant’altro sulla parte di letto inutilizzata (chissà come affronterebbe la situazione una coppia?). Il bagno è bello e tutto nuovo. Credo che il palazzo sia molto antico ma mi dicono che è di una cinquantina d’anni fa. Quindi molti palazzi di Hondarribia sono stati costruiti o rifatti, falsi? Il tutto è comunque così simpatico e denso di fascino. Il prezzo è buono per essere uno dei luoghi più prestigiosi di Spagna, in senso turistico; è contrapposto a Hendaye in Francia, al di là della ria.

Vado a pranzare nel vecchio quartiere della “marina” con le sue case tutte addossate e con i balconi di cento colori (forse i marinai, tornando dalla pesca, come da noi a Burano, volevano riconoscere la loro casa da lontano). È l’antico quartiere dei pescatori, anche di balene, e la loro storia ha fatto il giro del mondo. Mangio benino “polipo alla feria” che veramente è un piatto gagliego, ma ormai!, e vino Txakoli. Questo vino bianco di produzione locale ha anche un mercato prettamente locale, perché al di fuori di questa zona, come constaterò poi, non viene più servito; è frizzante, leggero e forse un po’ asprigno perché le uve non maturano come da noi a causa del clima e del poco sole. Mi viene servito in modo molto particolare che mi lascia stupita, ammirata e sconcertata per il rituale, almeno ora, perché è la prima volta.

Il barista mi pone davanti un enorme bicchiere conico e leggerissimo, che quasi faccio fatica a prendere con la mano (conterrà almeno mezzo litro), poi da una bottiglia dal collo lungo e tappo speciale lascia cadere da quasi un metro sopra il bicchiere, un dito di vino, ma in orizzontale, sarà poco più di un centimetro di vino frizzante opaco e spumoso che pian piano diventa limpido e giallo paglierino. Superato lo sbigottimento lo assaggio e mi piace molto; trovo persino che assomigli al Ribeiro. Sono conquistata! Per il tutto spendo 12,50 euro.

Tornando passo dall’Ufficio informazioni e vado a riposare. Quando più tardi esco di nuovo, soffia il vento e fa molto freddo; allora vado al Parador dove prendo un’ottima Sangria e scrivo.

Il Parador è proprio sulla cima del paese con davanti una grande piazza e la vista del mare. È l’antico castello di Carlo V, una costruzione fortezza alquanto semplice ma imponente.

Sono così emozionata per essere qui, in un posto così magico, e per tutti gli accadimenti della giornata. Il bar è nel torrione del castello, i divani hanno enormi e gonfi cuscini di velluto rosso ed io, in un ambiente così caldo e confortevole, mi sento una regina. Di fronte a me si siede uno straniero, molto interessante, che prende un cappuccino, che scrive una cartolina e poi anche lui scrive un diario, od almeno credo. Che bello, abbiamo avuto la stessa idea; al parador per scrivere nella morbida rilassatezza di musica e divani.

Torno al mio albergo Palacete, 1 stella, ma uno dei più belli del paesino, e chiedo alla signorina di telefonare a S. Sebastian per riservarmi l’Hotel per il giorno dopo. Ma domani è sabato, primo maggio e nonostante le numerose telefonate è impossibile recuperare un posto per dormire e non posso restare neppure qui, perché domani la stanza è occupata. Non mi arrabbio e non mi affanno, cambio idea sui miei programmi di domani. Andrò a Vitoria a circa 150 Km. dalla costa, dove non ci saranno i turisti di fine settimana che vanno al mare. Pago l’hotel Euro 51.36 e torno a mangiare nel quartiere della Marina. Entro nel bar Conchita (perché fuori fa freddo ed è presto, i tavolini non sono preparati), prendo due tapas anzi pintxos (mi sottolineano, perché qui si chiamano così) ed il solito “vaso” di Txacoli. Il bar è pieno di uomini, più o meno vecchi, marinai che parlano animatamente e che, stranamente, non mi degnano di uno sguardo, accalorati nelle loro conversazioni.

Il tempo, dopo vari cambiamenti è ritornato bello. Pago Euro 3,60 per questa cena che mi soddisfa più dei polipi di oggi troppo piccanti ed insapori per il peperoncino. Torno in camera giusto in tempo perché arriva un forte acquazzone ma smette presto.

Telefono a casa e dopo l’organizzazione per l’indomani mi metto a dormire.