6° Giorno

Domenica 30 aprile 2006

LUARCA – NAVIA

(km. 19)

Mi alzo senza aver dormito. La notte è stata tutta un via-vai per i corridoi: i botti dei fuochi d’artificio per la festa di fine aprile, lo strepitare dei gabbiani terrorizzati dai fuochi inaspettati, le docce, i chiacchierii alle due e più di notte, come fossero le nove di sera, la televisione ad alto volume fino a mattina……e per finire, alle 7, quando esco, trovo ancora molti ragazzi nelle strade che schiamazzano come se nulla fosse. Quando andranno a letto ed a che ora si alzeranno? Ho capito: è domenica, mi devo abituare! Ed in aggiunta non c’è un bar aperto per un caffè; allora, rassegnata, m’incammino su per la salita per riguadagnare l’uscita dal paese. Mi guardo intorno, ma la bruma del mattino rende quasi irreale la città, sembra che esca da una nuvola, quasi un fantasma.

Ti ho incontrato in un giorno di nebbia,

quando la vita sfuma in irrealizzabili sogni.

Ti ho incontrato in giorni di ghiaccio,

quando l’animo si stringe

in un corpo che non vuol crescere.

Ti ho incontrato in una notte infinita

dove il sole non irrompe

in devastate praterie di vita,

dove il sole non offusca la meta di una vita

con irraggiungibili miraggi.

Proseguo sulla statale, perché, come al solito, non trovo segnali che mi indichino il Camino. Sono però fortunata: dopo pochi chilometri trovo un bar aperto per i viaggiatori. Prendo un ottimo caffè e proseguo fino ad Otur, dove inaspettatamente ritrovo il Camino ben segnalato. Ma le frecce finiscono subito e talvolta esito e torno indietro; talvolta, quando sono sicura, compongo delle frecce con i sassi in modo che, chi mi segue, trovi la strada con minor difficoltà.

Qualche Pellegrino in più quest’anno c’è, forse perché molti, come constaterò poi, iniziano il Camino da Oviedo o da Aviles. Bei paesaggi e molte case sparse nella campagna meritano un po’ d’attenzione. I piccoli paesini lungo la strada, pur di poche case, si dilungano per lunghi tratti, ma tutto è chiuso e silenzioso. Le case sono particolarmente curate e con bei giardini ricchi di fiori, forse per il bel tempo che quest’anno impera. Spesso ci sono alberi di limoni e camelie di un rosa acceso; è un tripudio di colori in una giornata abbagliante di sole. Alcuni campi d’erba sono già stati tagliati. Chissà quanti tagli d’erba riusciranno a fare? Ovviamente intorno ci sono anche molte stalle e mi spiace constatare che, per lo più, gli animali siano tenuti “ferocemente” al giogo. E’ vero però che molte mucche sono anche nei pascoli. Talvolta vedo anche pecore e bellissimi cavalli neri o bianchi lasciati liberi.

Il primo tratto sale ripido su per la montagna e ritorna a valle, praticamente, senza segnalazione. Chiedo ad un bimbo affacciato ad una finestra se la strada è giusta; ma lui è piccino e non sa cosa dirmi. Si allontana e credo corra a chiamare il padre nella stalla; poi ritorna solo con la conferma che sono sulla strada giusta. Un bacetto al volo ed avanti, ancora in salita.

Passo vicino ad una casa che ha davanti un piccolo horreo in miniatura, che attira la mia attenzione.

Dalla casa esce una signora anziana (magari ha la mia età) che m’invita a fermarmi od almeno a prendere un goccio d’acqua. Ha predisposto un’apposita fontanella con un vecchio mestolo legato, in modo che ognuno, passando, possa bere. La ringrazio, due chiacchiere, ed avanti in salita e sotto il sole. I boschi sono sotto o più in alto.

Ed arrivo al cimitero molto ordinato di Villapedre ed ad un bar proprio di fronte. Mi fermo per un panino e procedo passando davanti alla chiesa. C’è un sentiero che passa tra i prati, due cancelli con catene da aprire e richiudere e poi non si capisce più nulla….. si scende vorticosamente per una strada melmosa e non segnalata, che finisce nel rio.

Per attraversarlo ci sono due “pietroni” in mezzo all’acqua, che però non hanno corrispondenza con l’approdo, che è a 10 metri più a valle. Per cui risalgo e tento l’attraversamento su un vecchio albero caduto, muschioso e scivoloso, che funge da ponte, sperando che mi regga e che non mi faccia scivolare. In qualche modo passo, ma risalgo in mezzo ad ortiche altissime ed indurite, tant’è che alzo le braccia per non urticarmi.

Ed arrivo alla carretera, alla fine di Pinera. Degno di nota c’è solo il palazzo dove visse la sua infanzia Ramon de Campoamor (ricordate il Teatro di Oviedo?).

Attraversata la statale, il Camino risale verso Pinera alta e verso il Rifugio dove mi faccio mettere il sello. M’indicano anche la strada, ma quando, fuori dal paese, la freccia mi indica di attraversare un prato, con l’erba altissima, che non so dove finisca, desisto e torno indietro sulla statale.

Più avanti il percorso va verso il mare ed è ben segnalato, per fortuna, e finalmente! Però occorre molta attenzione, perché mettono i mojones con le indicazioni all’interno delle vie che svoltano, anziché di fronte e ben visibili. In ogni caso, la stradina asfaltata è di servizio per case e stalle, ed è deliziosa, così sull’altipiano e con il rumore del mare che però non si vede, offuscato da un bosco.

Procedo per 5 chilometri in un silenzio idilliaco. Sembra quasi che i miei piedi accarezzino la terra per non far rumore ed una commozione sottile ed impalpabile mi toglie il respiro.

Mi fermo spesso per assaporare la gioia del momento. Non c’è nessuno, sono tutti a tavola e nella pace della domenica arrivo, scendendo velocemente, a Navia ed al mio hotel Palacio Arias (Euro 59). Nel nuovo hotel costruito a fianco del palazzo, mi accoglie una giovane signora alquanto indifferente, se non scortese. Forse non sono di suo gradimento, considerato l’hotel ed il mio aspetto stravolto o, forse, arrivo troppo presto perché la stanza assegnatami non è in ordine. Vado alla ricerca della cameriera ed intanto attendo in uno dei salotti di casa. Già, perché oggi ho scelto un albergo particolare. E’ una vecchia casona blasonata adattata ad albergo. La stanza è nel sottotetto, ma deliziosa ed ampia, mentre il piano nobile è stato mantenuto con sale, saloni ed arredi originali di fine ottocento. Ci sono 16 stanze e nella torretta è stata ricavata una suite.

Il Palacio Arias è un palazzetto “indiano” ma che, data la sua singolarità costruttiva, viene chiamato casona asturiana come appunto i più antichi palazzi, soprattutto rurali. Il suo architetto fu Luis Menendez Pidal.

Data l’ora, riposo un po’; poi esco per scoprire Navia, in parte già vista entrando.

Il paese è ancora deserto, è piccolo e non è granché. E’ costruito a metà dell’omonima ria. E’ porto peschereccio, in passato anche baleniero, e luogo di turismo, con ampie spiagge all’interno della ria e lagune più avanti, sul mare. Al solito, il paese si arrampica verso l’alto della riva e qui si trova, oltre alla brutta chiesa neogotica del XIX secolo, anche l’antico rione dei pescatori, ma pochissime le case degne di nota. Nella piazza vi è un monumento agli emigranti, che qui furono numerosi, come testimoniano le tante case degli “indiani”. L’unica cosa che colpisce sono i resti delle mura medievali che recintavano la città e pochi e scarni blasoni aristocratici in qualche casetta.

Veramente c’è anche il casinò, ma mi sembra sia stato trasformato in cinema. La cosa più interessante, (e stranamente, perché dovrebbe rappresentare una bruttura), è il lungo altissimo ponte-viadotto dell’autovia che darà respiro al paese, soffocato dal traffico estivo che obbligatoriamente doveva passare di lì. Dovrebbe essere inaugurato fra una settimana, ma mi sembra che il completamento dei lavori sia ancora lontano. In ogni caso, anche se così incombente, è di un certo fascino per la difficoltà realizzativa che questi manufatti rappresentano. E poi, mi piacerebbe essere lassù e poter vedere chissà, forse anche l’Inghilterra od il Polo Nord, vertigini a parte.

Passeggio un po’, ma non c’è molto da vedere ed a quest’ora tutto è chiuso. Nella piazza del porto incontro un taxista a cui chiedo di portarmi a vedere l’antico Castro di Coana, a pochi chilometri da lì, ma mi dice che oggi è chiuso. Allora, delusa, provo a cercare un ristorante per la cena, ma non ci sono ristoranti aperti; è domenica e sono appena le 19. Ho troppa fame, oggi non ho mangiato nulla, solo un caffè molto avvilente.

Allora entro in un vecchio bar del porto, scuro e fumoso, ma sul bancone hanno delle tapas con sardine (tanto decantate nella zona). Ne ordino tre e la ragazza, con un grande sorriso, mi invita ad accomodarmi; solo allora ricordo che spesso la tartina viene offerta con una bibita. Ordino un Ribeiro e mi accontento di due. Poi chiedo il conto: solo Euro 0,80, per il vino, ovviamente! Esco, ma ho ancora fame e l’unico negozio aperto è una pasticceria. Entro e prendo una “venera” una pasta di mandorle con candito centrale. E’ particolarmente buona e tipica del luogo e…. la mia cena finisce qui.

Rientro quando le vie si stanno animando; al solito, quando in Spagna gli altri escono, io rientro. In tanti anni non sono riuscita a sincronizzare i miei tempi con i loro!