Xanadu

Xanadu - una visione in un sogno

Il testo del brano Xanadu, contenuto nell’album A Farewell To Kings, è ispirato ad un frammento del poeta inglese Samuel Taylor Coleridge, dal titolo Kubla Khan. L’autore stesso narra che nell’estate 1797, essendo in cattiva salute, si ritirò in campagna; su prescrizione del medico assunse un sedativo, che lo fece cadere in un sonno profondo, mentre stava leggendo un testo di viaggi del XVII secolo: Purchas Pilgrimage. Durante il sonno, durato non meno di tre ore, Coleridge dice di aver sognato delle immagini che gli si presentavano davanti come cose, e afferma di aver avuto un’ispirazione tale da poter scrivere due-trecento versi, come se gli venissero dettati da una voce misteriosa. Quando si svegliò, conservava ancora un ricordo chiaro di quei versi, e si precipitò pertanto a metterli su carta; tuttavia, venne ben presto interrotto da una visita inaspettata, che lo distolse dalla stesura del poema, sul quale poté rimettere mano solo un’ora più tardi. Si accorse allora “con non poca sorpresa e mortificazione” di aver ancora in mente solo un vago e generico ricordo della visione, e di poterne ancora scrivere al massimo otto-dieci righe isolate: tutto il resto era sparito, come l’immagine sulla superficie di un fiume nel quale viene lanciato un sasso, ma purtroppo senza che essa torni poi ad essere visibile.

Coleridge, a parte l’introduzione al poema, parlerà di esso rarissimamente, e così anche le persone a lui vicine. Ancora oggi si discute sulla genuinità e veridicità del suo racconto: alcuni studiosi vi prestano fede, e ritengono dunque plausibile la stesura del poema sotto l’effetto di sedativi; altri credono invece che l’autore fosse in preda ai fumi di una sostanza assunta per calmare i suoi forti dolori reumatici, e della quale divenne in breve tempo dipendente. Altri ancora sostengono che il racconto sia del tutto infondato, e che il poema sia stato composto in perfetta lucidità mentale, oltre che riveduto e corretto più volte prima della sua pubblicazione, avvenuta in effetti solo nel 1816, quindi quasi vent’anni dopo il sogno.

Il nome del frammento proviene dall’antico imperatore mongolo Kublai Khan (1214-1294), il quale sognò un palazzo enorme, e al suo risveglio ordinò che ne venisse costruito uno identico, circondato da un vasto giardino. Ne parla Jorge Luis Borges nel saggio intitolato “Il Sogno di Coleridge”: egli afferma appunto che vent’anni dopo tale sogno, a Parigi apparve una storia universale persiana in frammenti, chiamata “Compendio di Storie di Rashid ud-Din” (datata XIV secolo) in cui è scritto: “Ad est di Shang-tu, Kublai Khan eresse un palazzo, secondo un piano che aveva visto in un sogno e che aveva serbato nella memoria” e a scrivere ciò era stato il visionario Ghaza Mahmud, discendente di Kublai. In altri termini: nel secolo XIII, l’imperatore sogna un palazzo e poi lo fa costruire; nel secolo XVIII, un poeta sogna un poema sul quello stesso palazzo, di cui però conosceva solo l’esistenza, e non i motivi della costruzione, poiché di questi ultimi poté avere notizia solo quarant’anni dopo il suo sogno, grazie a quel libro di storia persiana. Tale circostanza dota di grande fascino il poema: è come se esistesse uno spirito che si perpetua nell’arco dei secoli, e di tanto in tanto appare in sogno a diversi personaggi, utilizzati come messaggeri; ciò si adatta peraltro al tipico ruolo che l’artista romantico riconosce a se stesso: quello cioè di mediatore tra uomini e divinità, tra mondo reale e mondo ultraterreno.

Varie sono le posizioni di critici ed esperti in merito alla natura di questo frammento: secondo alcuni, si tratta di una composizione musicale oltre che di un poema; molti lo ritengono un poema sulla poesia; altri ancora vedono in esso l’esplicazione delle teorie estetiche di Coleridge (la fantasia primaria scaturisce da elementi inconsci, come le visioni, che la razionalità ordina nella perfezione formale, cioè la fantasia secondaria); secondo altri, infine, tale frammento serve a rendere in parole le immagini sognate da Coleridge. E’ pertanto evidente l’impossibilità di dare un’unica chiave interpretativa di questo componimento, che sia del tutto esaustiva.

Xanadu è il nome di una provincia cinese che Coleridge ricavò dal testo di viaggi del XVII secolo “Purchas Pilgrimage”, che stava leggendo prima di addormentarsi e dare quel sogno, e che utilizzò per creare un’atmosfera esotica e avventurosa. Con tale termine egli indica “the magic place of literary memory”, ovvero il luogo magico della memoria letteraria. Xanadu è l’attuale Shanton, sede della capitale estiva del primo imperatore mongolo, appunto Kublai Khan, nel XIII secolo d.c.

Valeria Andreoli

KUBLA KHAN

testo originale

In Xanadu did Kubla Khan

a stately pleasure-dome decree:

where Alph, the sacred river, ran

through caverns measureless to man

down to a sunless sea

so twice five miles of fertile ground

with walls and towers were girdled round:

and there were gardens bright with sinous rills,

where blossomed many an incense-bearing tree;

and here were forests ancient as the hills,

enfolding sunny spots of greenery.

But oh! that deep romantic chasm which slanted

down the green hill athwart a cedarn cover!

A savage place! As holy and enchanted

as e’er beneath a waning moon was haunted

by woman wailing for her demon-lover!

And from this chasm, with ceaseless turmoil seething,

as if this earth in fast thick pants were breathing,

a mighty fountain momently was forced:

amid whose swift half-ontermitted burst

huge fragments vaulted like rebounding hail:

and ‘mid these dancing rocks at once and ever

it flung up momently the sacred river.

Five miles meandering with a mazy motion

through wood and dale the sacred river ran,

then reached the caverns measureless to man,

and sank in tumult to a lifeless ocean:

and ‘mid this tumult Kubla heard from far

ancestral voices prophesying war!

The shadow of the dome of pleasure

floated midway on the waves;

where was heard the mingled measure

from the fountain and the caves.

I was a miracle of rare device,

A sunny pleasure-dome with caves of ice”!

A damsel with a dulciner

in a vision once I saw:

it was an Abyssinian maid,

and on her dulcimer she played,

singing of Mount Abora.

Could I revive within me

her symphony and song,

to such a deep delight ‘twould win me,

that with music loud and long,

I would build that dome in air,

that sunny dome! Those caves of ice!

And all who heard should see them there,

and all should cry, his floating hair!

Weave a circle round him thrice,

and close your eyes with holy dread,

for he on honey-dew hath fed,

and drunk the milk of Paradise.

traduzione

Nel Xanadu volle Kubla Khan

Che un immenso palazzo dei piaceri si erigesse

Dove Alph, il fiume sacro, scorre

Per caverne a cui l'uomo non può giungere

Verso un mare senza sole.

Così, dieci miglia di fertile terreno

Da muri e torri venne circondato:

E furono giardini luccicanti di ruscelli

Fioriti di alberi d'incenso,

E foreste, antiche come le colline,

A custodire calde macchie verdi.

Oh! Ma quell'abisso profondo e arcano

Che il verde del colle fendeva attraverso un bosco di cedri!

Luogo selvaggio!

Come non mai in una luna calante un luogo

Fu pervaso da gemiti di donna al demone d'amore!

E dall'abisso ribollendo con tumulto incessante,

Come a scuotere la terra in continui singhiozzi,

A tratti urgeva un impetuoso fonte:

Tra gli scrosci violenti e disuguali,

Come grandine, o chicchi di grano

Sotto la sferza del battitore,

Rimbalzavano pietre.

E dentro quella danza di rocce, ora e sempre,

Il fiume sacro scaturiva a flutti.

Cinque miglia serpeggiando con tortuoso moto

Per boschi e valli scorreva il fiume sacro,

Poi le caverne vietate all'uomo raggiungeva

E in tumulto sprofondava in un oceano senza vita.

Fu in tal tumulto che da ancestrali voci

Kubla udì oscure profezie di guerra!

L'ombra fluttuava del palazzo dei piaceri

Tra le onde,

E lì si udiva un solo suono

Di caverne e fonte.

Era un miracolo di rara invenzione

Con caverne di ghiaccio un palazzo nel sole!

D'una fanciulla col dolcemele

Un tempo ebbi la visione:

Era abissina la fanciulla

E lo strumento suonava

Cantando del Monte Abora.

O, potessi fare in me rivivere

Il suo canto e l'armonia:

Così intensa sarebbe la delizia

Che sulla musica profonda e persistente

Costruirei nell'aria quel palazzo,

Quel palazzo nel sole! Quelle caverne di ghiaccio!

E chi l'udisse li vedrebbe là

E griderebbe: Guardate! Guardate!

Lo sguardo in fiamme e i capelli al vento!

Fategli intorno un triplice cerchio,

Chiudete gli occhi con sacro terrore,

Perché di rugiada si miele si è nutrito

E ha bevuto il latte del Paradiso.

(Traduzione di Franco Buffoni)