Snakes & Arrows

Snakes & Arrows (2007, Atlantic)

Recensione di Davide Dal Frà

I Rush, nel 2007 pubblicano l'album SNAKES & ARROWS.

L'atteso nuovo album dei Rush non delude nessuno; e questa è certamente la più convincente produzione degli ultimi anni, quantomeno la migliore della quinta fase. Un album davvero bello, elegante, con ottime canzoni, grandi pezzi strumentali; il risultato di una attenta e misurata miscela tra i possenti suoni di VAPOR TRAILS e la spensierata freschezza di FEEDBACK.

Nel disco si apprezza una finalmente ritrovata serenità di fondo, una pace interiore, evidenziata anche dalla tematica generale dell'album, la spiritualità, la fede, l'intimità dell'animo. Le peculiarità del quinto periodo vengono qui confermate, anche se il disco è molto più assimilabile di VAPOR TRAILS. Alex resta il vero grande protagonista anche in SNAKES & ARROWS, e fanno nuovamente una timida comparsa le percussioni elettroniche e le tastiere. Tutti i pezzi sono realizzati con estrema cura e colpiscono le grandi aperture melodiche presenti in tanti brani, anche se il rock non viene certo tralasciato. La eccellente produzione e gli arrangiamenti sono della band e Nick Raskulinecz. Le registrazioni sono realizzate negli Stati Uniti nel periodo novembre 2007/gennaio 2008. Tutta la splendida parte grafica è opera di Syme, la copertina invece riproduce l'immagine di “The Leela of self-knowledge” di Harish Johari. Offerto dalla lettera “sssss”.

Far cry, il singolo che ha anticipato l'uscita di SNAKES & ARROWS, è un accattivante e vivace brano, particolarmente adatto per l'apertura di un album, dallo stile piuttosto “classico” per i Rush moderni e sicuramente immediato. Straordinaria l'energia dimostrata, in particolare nel finale. (voto: 8)

Armor and sword è un brano lento, potente ed ambizioso, una delle vette più alte di tutto l'album. Affascinanti i suoni quasi dark, intensi gli inserti acustici, inarrestabile nei punti più classicamente rock, trascinante e quasi ipnotico nell'insieme. I Rush sanno ancora regalare grandi emozioni. (voto: 8)

Workin' them angels consiste in un superlativo brano, corale e gioioso, una ballata ruffiana che inevitabilmente fa convergere l'attenzione nell'ottimo ritornello e nell'intenso assolo di mandolino. (voto: 7,5)

The larger bowl, è un grande pezzo, semplice, ricco di chitarre acustiche. Molto interessante la costruzione del testo, quasi “circolare”. Un vecchio scritto di Neil, musicato dai compagni solo in questa occasione; si tratta, come indicato nel sottotitolo, di un “pantoum”, ossia una forma di poesia che sperimentò Peart negli anni 90. (voto: 7,5)

Spindrift, carica di angoscia ed inquietudine, con Geddy impegnato in una intensa prestazione canora. Il brano scende un po' di livello durante il momento più melodico, a mio avviso troppo leggero, e poco adeguato. (voto: 7)

The main monkey business: un lungo strumentale che rimarrà nella storia. Gli emozionanti intrecci sonori sono sapientemente cadenzati da brevi intro acustici, da elaborati tessuti musicali dal sapore mediorientale, da assoli mozzafiato, da riff da capogiro. In questo pezzo c'è veramente tutto. Devastante. (voto: 8)

The way the wind blows essenzialmente consta in tre momenti fondamentali, che si alternano nel pezzo: una inconsueta apertura che ricorda molto i modi di Gary Moore; una bella e dura strofa che richiama un po' quella di Driven; uno stupendo ritornello, di una delicatezza assoluta. Il risultato finale è ottimo. (voto: 7,5)

Una parentisi di intimità, di pace e di, appunto, speranza. Hope è un breve strumentale per chitarra acustica, scritto ed interpretato da Lifeson con il cuore. (voto: 8)

Faithless. La melodia è la vera protagonista in questo brano. Orchestrata da Ben Mink, vecchia conoscenza della band. Una bella canzone, un testo notevole, una interpretazione canora perfetta. (voto: 7,5)

Bravest face: tanta chitarra acustica, tastiere appena accennate; un'aria un po' folk, un po' country, un po' da cantastorie, un brano strano, difficilmente catalogabile; insomma, un brano eccelso. Geddy si dimostra ancora una volta un signor cantante. (voto: 8)

Good news first, non è un brano brutto, ma lo considero il meno interessante dell'album. Mi sembra un miscuglio di idee già sfruttate in passato: la base del ritornello ricorda vagamente la strofa di Dog years, la strofa, in verità molto bella, riprende le atmosfere di Roll the bones. Si ascolta comunque volentieri. (voto: 6,5)

Malignant narcissism, strumentale nato quasi per scherzo, negli studi di registrazione. Geddy al basso fretless costruisce una ritmata, irresistibile alchimia, duettando con Neil. Sempre di grande effetto, anche se già collaudati in passato, i vari “scambi” tra Lee e Peart. Alex fa solo da supporto. I Rush divertono e si divertono. (voto: 7)

Per chiudere, We hold on, bel pezzo leggero e orecchiabile, arrangiato con cura e coinvolgente; come suggerito dall'immagine del booklet, perfetta colonna sonora per un lungo viaggio in auto. Belle le parti di chitarra. (voto: 7)

Recensione di Valeria Andreoli :

Snakes&Arrows, diciottesimo tassello di una carriera forse senza eguali nella storia del rock progressivo, precede di pochi mesi l'evento dell'anno, ovvero il ritorno dei Rush in Italia dopo l'unica data sinora mai tenuta nel nostro paese, in occasione del trentennale della band. Si trattava pertanto di un tour celebrativo; la tournée di quest'anno al contrario è incentrata sull'album appena uscito, il quale difatti è riproposto dal vivo quasi interamente.

Per me questo lavoro è stato una grossa sorpresa, non interamente gradita.

Senza soffermarsi sulla bravura esecutiva e interpretativa della band, che in questo senso davvero non ha più niente da dimostrare, a livello compositivo sono rimasta stupita dalla scelta di usare suoni così immediati, melodie in prevalenza orecchiabili, armonizzazioni e arrangiamenti davvero alla portata di qualsiasi fruitore, insomma i brani sono quasi tutti molto diretti e immediati, e se questo in generale è da considerarsi forse un pregio, ai miei orecchi è giunto al contrario come qualcosa di inaspettato. Sono bastati pochissimi ascolti per metabolizzare il tutto e per comprendere appieno il contenuto musicale di S&A, cosa alla quale non ero abituata, dato che al contrario, coi lavori precedenti avevo avuto necessità di molto più tempo per decidere se ciò che girava nel lettore era degno dei fasti passati o meno, era gradito al mio udito oppure no.

Ad ogni modo sono molti i brani che meritano di essere citati: anzitutto l’opener, quella Far Cry che c’è stata fatta ascoltare in anteprima in spezzoni di varia durata, e che quando finalmente si è potuta apprezzare nella sua interezza si è rivelata essere un brano aor di ottima fattura, melodico ma deciso quanto basta. Per non parlare della prima strumentale, The Main Monkey Business, anch'essa all'insegna della melodia ma con arrangiamenti e sezioni ritmiche tutt'altro che scontati. Malignant Narcissism è poi un'autocelebrazione di Geddy Lee, col suo basso caparbio protagonista di questa breve ma intensa composizione, che ci porta verso la fine dell'album, alla quale si è giunta passando per songs ora più stile ballad come The Way The Wind Blows, ora strizzanti un occhio addirittura al blues, come Faithless. Insomma un album che accontenta un po' tutti.

E magari, proprio questo è il motivo della mia persistente perplessità... ma qualcosa mi dice che l'esecuzione live cambierà completamente il mio approccio verso questi brani, che da studio mi risultano a tratti un po' troppo lineari e omogenei. Il che, ripeto, per ascoltatori forse meno esigenti (o meno fans) di me non è da considerarsi un difetto.

Recensione di Matteo Colli :

La genesi di una nuova uscita del trio canadese risulta sempre essere un lungo processo diviso in diverse fasi, ogni membro ha il suo ruolo collaudato e ben definito. Snakes & Arrows non fa eccezione alla regola, i brani sono stati abbozzati, chitarre acustiche alla mano, in ambito domestico da Alex Lifeson e Geddy Lee, i quali ricevevano via mail da Neil Peart le prime liriche. Dopo questa frammentaria fase di lavoro a distanza si sono susseguite diverse sessioni di pre-produzione d’insieme in studio fortemente influenzate e supervisionate dal nuovo produttore di turno, Nick Raskulinecz (Foo Fighters, Velvet Revolver, Superdrag). Il risultato è stato il disco più “equilibrato” che il gruppo abbia mai partorito negli ultimi anni. Di certo le composizioni di Snakes & Arrows possono considerarsi l’anello di congiunzione, una zona di contatto, tra i numerosi tasselli del mosaico discografico del trio. Niente di più facile che scorgere affinità tra alcune parti pulite di S&A e Presto, tra le atmosfere di Spindrif t e Witch Hunt, soluzioni armoniche e suoni che fanno l’occhiolino alla seconda fase della loro carriera. Ovviamente il disco risulta a pieno merito il successore di Vapor Trails e Feedback: dal primo ha ereditato la maggiore influenza stilistica mentre dal secondo l’approccio produttivo ed, in alcuni episodi, la pragmaticità dei brani. Questa volta l’arma in più dei Rush è stata proprio l’influenza del produttore, che ha guidato il gruppo verso alcune novità mantenendo la proposta musicale rigorosamente ancorata agli standard caratteristici del gruppo. Niente da stupirsi quindi se troviamo ben tre strumentali all’interno dello stesso disco, se Geddy si lancia nell’inedito uso di un basso fretless (Malignant Narcissism) e del mellotron e se Alex si diverte ad infarcire i brani con sovraincisioni di mandola, mandolino e bouzouki.

Nonostante l’ausilio di synth, tastiere ed orchestrazioni sia ancora una volta ridotto all’osso, dal punto di vista compositivo i Rush danno ampio risalto all’impatto melodico dei pezzi. L’utilizzo di massicce sovraincisioni vocali e chitarre acustiche creano un mood generale molto suggestivo e, termine usato per l’occasione da Peart, “spirituale”. Così come spirituale è il senso del gioco che da titolo e copertina all’album. 13 brani non sono pochi, durante i primi ascolti è facile avvertire una certa omogeneità stilistica che può stancare, tutta apparenza. Le strumentali sono disposte strategicamente per “spezzare” la tracklist mentre le sonorità del resto dei brani spaziano agevolmente dal rock massiccio tipico della IV fase (Far Cry, Armor and Sword, Good News First, We Hold On), talvolta dalle atmosfere heavy di Spindfirt, a quello più leggero di brani come The Larger Bowl e Faithless. La voce di Geddy si muove con maturità in tonalità sobrie mentre il suo lavoro bassistico è decisamente mimetico rispetto a quanto visto in passato. Storia a se è la breve Malignant Narcissism, strumentale che fa della vivacità ritmica il suo punto di forza, linea di basso da capogiro.

In generale la tecnica strumentale impiegata nei brani è senza ombra di dubbio di alto profilo anche se salta subito all’orecchio la ormai consolidata volontà di mettere da parte aspetti virtuosistici a favore di un forte senso di coesione tra i vari strumenti. In questo senso il drumming di Peart risulta assolutamente composto, ispirato e fluido mettendo (con l’ausilio di Geddy) a disposizione delle composizioni un gran groove.

Tra le note particolarmente positive è doveroso citare:

- la mole di lavoro impressionante messa in campo con grande raffinatezza da Alex Lifeson sui vari tipi di chitarra impiegati; l’acustica Hope ed il rock in blues di The Way The Wind Blows ne sono l’emblema.

- la produzione questa volta è più che adeguata, cristallina, potrete far girare questo cd su ogni tipo d’impianto riuscendo a cogliere con distinzione tutte le sfumature.

- The Main Monkes Business. Neil rispolvera le sue percussioni elettroniche, senza ombra di dubbio la strumentale migliore dagli anni 90 ad oggi nonostante non contenga parti solistiche degne di nota, si tratta di una composizione efficace nella sua coralità. I Rush danno lezione di cosa significhi suonare da gruppo.

I testi sono al livello delle aspettative, Neil ci racconta da vero scrittore la sua interpretazione di temi d’attualità come lo scontro di civiltà e religione in maniera mai banale. Come sempre non mancano liriche di carattere autobiografico (Working Them Angels) e riflessioni più o meno spirituali sull’uomo, spesso ad alto impatto emotivo.

Degna di nota anche la parte grafica a cura di Hugh Syme, se la copertina non risulta tra le più incisive della discografia il booklet contiene per ogni pezzo un’illustrazione efficace del mood del brano.

L’unico elemento non convincente del disco fin dal primo ascolto è l’adattamento delle melodie vocali alle liriche che a tratti risulta forzato; emergono su questo disco gli effetti del lavoro indipendente tra fase lirica e composizione musicale.

Tirando le somme secondo il parere del recensore quest’ultima uscita del trio, insieme a Counterparts, rappresenta quanto di meglio i nostri abbiano proposto negli ultimi venti anni. I Rush sono riusciti con successo nell’arduo compito mettere in gioco tutti gli elementi tipici della loro proposta musicale senza risultare ridondanti. Snakes & Arrows è un disco godibilissimo per ogni tipo di palato ma allo stesso tempo variegato ed abbastanza ricco di spunti da risultare longevo .

Recensione di Luca Nappo :

A cinque anni dal monolitico ed ottimo Vapor Trails, i Rush tornano con un album che fa della freschezza e della varietà compositiva la sua caratteristica principale.

Se Geddy Lee e Neil Peart ( autore ancora una volta di testi poetici ed evocativi) confermano di essere in splendida forma con una sezione ritmica devastante , considero quest'album il trionfo di Alex Lifeson. Se già in Vapor Trails , il suo lavoro alle chitarre era notevole , qui giunge al culmine con una prestazione impressionante ( chitarre elettriche , acustiche , mandola, mandolino e anche il bouzouki).

Sono presenti tre strumentali uno più bello dell'altro ( "The Main Monkey Business" capolavoro nel capolavoro) mentre se le sonorità "heavy" del lavoro precedente sono ancora presenti ( l'opener "Far Cry" ne è un esempio), l'album è caratterizzato da sonorità varie e che ,almeno ad un primo ascolto, potrebbero spiazzare l'ascoltatore.

I Rush non hanno mai fatto album immediati ma in quest'ultimo, l'abbondanza di sfumature e dettagli ne consiglia un ascolto attento per poi apprezzarne la bellezza.

Produzione superlativa per un album che non so se definire capolavoro assoluto ma che sicuramente considero un altra gemma della discografia del trio di Toronto da cui traspare ancora una volta il connubio tecnica-cuore .....e la leggenda continua!