In ricordo di Neil Peart

Imparando che siamo immortali...per un tempo limitato - In ricordo di Neil Peart

di Luca Nappo

“Suddenly you were gone from all the lives you left your mark upon”.

Questa frase tratta dal brano “Afterimage”, presente dell’album dei Rush “Grace Under Pressure” del 1984, è stata la più usata dai fans per ricordare Neil Peart appena giunta la notizia della sua scomparsa, annunciata ai media nella serata del 10 gennaio 2020 ma in realtà già avvenuta tre giorni prima nel più totale riserbo della famiglia e dei suoi amici. Peart scrisse quel brano in ricordo di un suo amico scomparso dopo un incidente stradale, descrivendo il suo stato d’animo verso la morte che non deve essere capita ma solo accettata, ricordando la persona che ci ha lasciati anziché piangerla. Un suo punto di vista, come tanti presenti nei suoi testi, che è difficile accettare per i fans dei Rush sparsi nel mondo ma anche dai colleghi e addetti ai lavori.

Infatti, l’eco della sua scomparsa è stato forte, sicuramente amplificato dal totale silenzio sulle sue condizioni di salute, rispettato dal resto della band, tanto da risultare del tutto inaspettata. I messaggi dal mondo della musica sono stati innumerevoli, e non solo dal contesto in cui i Rush sono stati influenti, progressive e hard rock/heavy metal, a dimostrare quanto abbiano inciso come musicisti e soprattutto come uomini. Un’eredità importante quella dei tre ragazzi di Toronto con venti album in studio, numerosi live e tour, una tecnica individuale riconosciuta universalmente, anche in Italia, nonostante lo scarso successo e interesse verso di loro, se non di culto o per pochi eletti che, non solo per questi motivi, li ha visti solo due volte suonare nello stivale in 40 anni di carriera. Peart non era certo un ragazzo come gli altri e Geddy Lee e Alex Lifeson lo capirono subito quando lo incontrarono all’audizione per diventare il nuovo batterista dei Rush, nell’estate del 1974, a sostituire il dimissionario John Rutsey. Il “new guy”, come venne soprannominato, non solo li colpì per la sua personale tecnica dietro le pelli, ma scoprirono le sue peculiari capacità nello scrivere testi, un amante delle parole e della letteratura (storia, filosofia, religione ma anche fantascienza e fantasy), che diventarono un carattere distintivo in tutta la discografia del trio canadese, non solo per i riferimenti culturali che contenevano ma anche per il modo con cui esprimeva il proprio pensiero su varie situazioni della vita e dei rapporti umani. “Ha vissuto la sua vita a modo suo, non ha mai avuto paura di essere sé stesso, incoraggiando anche gli altri a essere sé stessi”, è il modo in cui Donna Halper, che ha contribuito a diffondere i Rush negli Stati Uniti nel 1974 dalla sua stazione radio di Cleveland, ha descritto Peart. È improbabile che si trovi una sintesi migliore.

E poi ci sono i fans dei Rush che lo hanno sempre venerato e, qualche volta, anche criticato per il suo carattere distaccato, quasi indifferente alle manifestazioni d’apprezzamento verso il suo lavoro: “I can’t pretend a stranger is a long-awaited friend”, affermava in “Limelight” nel 1981. Un dolore che ha investito soprattutto i social sul web, il veicolo di comunicazione più rapido per dimostrare commozione sincera. La storia dei Rush si era fermata nel 2015, dopo un tour per festeggiare il quarantennale (R40 Tour), 35 date che ripercorrevano la carriera del trio, solo in USA e Canada per il dispiacere di noi europei. Una scelta, quella di porre fine a tour estesi, che lasciò forte dispiacere, considerando che i Rush potevano ancora scrivere alcune pagine importanti nella loro discografia (l’ultimo studio album Clockwork Angels del 2012 è di valore eccelso) ma alcuni problemi di salute (tendinite per Peart e artrite per Lifeson) hanno portato alla decisione di rallentare. Dietro quella decisione però c’era anche altro: “Onestamente, le persone non si rendono conto del sacrificio che fai come musicista itinerante” - confessò Peart in una delle sue rare interviste a Classic Rock nel 2017- “Stare lontano quando i bambini crescono e quando il tuo partner ha bisogno di te, è sconvolgente. La tua famiglia e i tuoi amici, le loro vite continuano e tu non fai parte di loro”. Una scelta ponderata, sofferta ma poi serenamente accettata da una persona già colpita duramente nella sua vita. La scomparsa della figlia e della prima moglie nel giro di un anno, alla fine del Test For Echo Tour nel 1997, lo segnarono profondamente e quel viaggio che intraprese in solitaria subito dopo (sei mesi in moto per Canada, USA e Messico raccontato nel suo libro più riuscito, tradotto in Italia con il titolo “Il Viaggiatore Fantasma” e pubblicato dalla Tsunami Edizioni) fu liberatorio e catartico nel riportarlo alla vita con nuovi affetti e alla musica con ulteriori capitoli della storia dei Rush.

La scoperta del glioblastoma nel 2016, il riserbo chiesto ad amici e colleghi, che non lo hanno mai tradito, e gli affetti famigliari hanno contraddistinto i suoi ultimi anni. Suonò il suo strumento con virtuosismo, spingendosi ai limiti più estremi di creatività e capacità con assoli complessi che contribuirono a rendere lo show dei Rush completo e imperdibile. Ha continuato a studiare, prendendo lezioni di batteria a tarda età da leggende come Freddie Gruber, dimostrando umiltà ma anche voglia di rimettersi in gioco. “La mia peggior paura non è avere un attacco di cuore” - dichiarò in “Time Stand Still”, documentario sul R40 Tour del 2016 - “ma che ne avrò uno sul palco e distruggerò lo spettacolo. Questo è ciò che ti rende un professionista. Non sali sul palco con le tue fragilità, o con i tuoi rimpianti o con i tuoi risentimenti. Ogni notte devi portare questo impegno”. Se ne è andato in silenzio così come senza clamori ha gestito la sua attività di musicista e ha protetto la sua vita privata. Non a tutti questo suo atteggiamento piaceva ma è tanta l’eredità tecnica, lirica e artistica che Peart ci lascia che alla fine ciò non ha scalfito il bene che tanti fans hanno avuto e continueranno ad avere verso di lui.

Gli estimatori dei Rush devono essere felici di avere come punto di riferimento un gruppo che ha fatto della coerenza, del rispetto, dell’amicizia e dei valori mai traditi punti fondamentali della loro storia, con un universo musicale che continuerà a emozionare e influenzare generazioni di nuovi gruppi rock...imparando che con la musica si può essere immortali.

“When I heard that he was gone, I felt a shadow cross my heart” (Nobody’s Hero, Counterparts 1993)

Testo presente anche su Mat2020 https://www.mat2020.com/ (numero di Marzo 2020)