Caress Of Steel
Caress of Steel (1975, Mercury)
recensioni a cura di Valeria Andreoli e Davide Dal Fra
V.A. : Uscito nel 1975, Caress Of Steel segue di un anno l’omonimo esordio, non esente da difetti e contaminazioni ma ricco di spunti che fanno presagire la grandezza dimostrata in seguito dalla band, e segue di pochi mesi Fly By Night, primo album con Peart alla batteria e alla stesura dei testi. In parte fedele alla linea hard rock dell’immediato predecessore, come si nota ad esempio mettendo a confronto le due songs di apertura, per altri versi tradisce già il nuovo corso intrapreso dai Rush, e coronato poi dal capolavoro 2112 dell’anno successivo: contiene difatti due suites, all’interno delle quali iniziamo ad intravedere alcuni elementi tipici del progressive rock.
Nonostante ciò, nell’immediato l’album si rivelò essere tutt’altro che un successo, anzi tuttora è il meno blasonato e meno venduto dell’intera discografia. Che ciò sia dovuto a una scarsa attenzione da parte dei fans, o dalla difficoltà nell’apprezzarne alcuni passaggi (in effetti in particolare nelle suites vi sono dei punti un po’ ostici, poco comprensibili se non ascoltati con il testo davanti), non è dato saperlo. Quel che è certo è che si tratta di un lavoro tutt’altro che trascurabile, sebbene magari non ai vertici della produzione rushiana.
Apre le danze Bastille Day, traccia ancora molto hard rock, che come detto riprende un po’ il discorso musicale di Anthem, esordio del disco precedente. Il testo tratta della presa della Bastiglia; l’andamento è deciso, a tratti più pacato, le chitarre di Lifeson sono sempre in grande evidenza.
Il secondo brano è caratterizzato da un sound ancora piuttosto rockettaro, qua e là mi ricorda addirittura In The Mood, sia nella strofa che nel ritornello, con un bridge accattivante. Il testo ammonisce che da giovani si pensava a cose più futili o arcane e si facevano sogni e progetti, mentre avanzando l’età aumentano i problemi e si pensa al concreto. Ma il messaggio è un invito a non deprimersi, bensì ad affrontare con ironia e serenità l’idea di invecchiare: “mi sono guardato stamane allo specchio, e temo che sto diventando calvo… ma anche quando sarò grigio, lo sarò comunque a modo mio”.
Lakeside Park: canzone dalla quale di recente i Rush e in particolare Geddy Lee hanno preso le distanze, dichiarando addirittura in un’intervista che per lui sarebbe imbarazzante ascoltarla ad esempio in un centro commerciale. Mi verrebbe da pensare che il buon Geddy non frequenta quel genere di posto e non conosce pertanto la musica che ivi viene propinata… ad ogni modo, a mio avviso molti gruppi hard rock vorrebbero aver scritto questo brano, elegante e melodico, il cui testo descrive appunto il luogo di cui al titolo narrando altresì i ricordi che esso suscita.
E veniamo al primo brano lungo dell’album, The Necromancer: ispirato ad un romanzo di Tolkien, il famosissimo Signore Degli Anelli dal quale tuttavia si distacca anche molto, soprattutto nel finale.
Racconta le vicende di tre viaggiatori, che attraversando foreste e fiumi incapparono involontariamente nelle terre presidiate dal negromante, malvagio divinatore dedito ad arti magiche. Il primo movimento è Into The Darkness, il testo è recitato; l’andamento musicale è molto lento e acido. Inizia il cantato, il quale narra che il Negromante riuscì ad individuare i tre malcapitati grazie al suo prisma. Secondo movimento, Under The Shadow: i tre vengono facilmente bloccati e condotti in prigioni sotterranee, nelle quali giacciono spaventati e privi di qualsiasi presidio; si fa strada un intermezzo di batteria sottolineata dall’eco, seguita da uno stacchetto che riprende in parte quello finale di By-tor & The Snow Dogs e in parte anticipa quello di Cygnus X-1 book one-the voyage. Il Negromante osserva i prigionieri e la loro paura attraverso il prisma magico; nel frattempo, un lungo assolo di chitarra ne sottolinea il perfido trionfo sui viaggiatori. Inizia allora il terzo movimento, The Return Of Prince, introdotto da un arpeggio di chitarra acustica in tonalità maggiore, così anticipando che siamo ad una svolta positiva della storia: entra difatti in scena il principe By-tor, personaggio un po’ diverso dall’omonimo incontrato in Fly By Night, il quale lotta col Negromante fino a sconfiggerlo, e spezzandone l’incantesimo libera i tre viaggiatori dalle catene.
E arriviamo al brano conclusivo, la prima suite dei Rush della lunghezza di oltre 20 minuti. Il primo movimento è In The Valley, la chitarra acustica di Lifeson accompagna l’etereo cantato con cui il protagonista narra la propria nascita, e proclama tutto ciò che caratterizza un bambino: è nato, è giovane, nuovo, libero. Ben presto la nenia lascia spazio ad un potente intermezzo strumentale, in cui l’individuo afferma di non vedere o riconoscere nulla se non la madre da cui attinge nutrimento: “il mio modo di vivere è semplice, e semplici sono i miei bisogni; (…) vivendo una lunga alba, per me ogni cosa è nuova: io vivo per scalare quella montagna verso la fontana di Lamneth”. Secondo movimento, Didacts And Narpets: sola batteria, scandita a tratti da grida di Lee accompagnati da piatti e chitarra, fino al grido finale: “ascolta!!” Terzo movimento, “No One At The Bridge”, aperto da uno struggente arpeggio, con Lee che urla; è una richiesta di aiuto: la nave di libertà rischia di affondare, ma come detto anche dal titolo, non c’è nessuno che possa aiutarla. L’individuo trova allora l’ardore necessario ad afferrare il timone e a prendere il comando, ma non c’è equipaggio da comandare e non c’è possibilità di capire quale sia la giusta direzione. Nessuno può raccogliere il grido di disperazione e di richiesta di aiuto… a questo punto parte un assolo di chitarra, a condurci nel quarto movimento, “Panacea”: l’incubo è finito, e il protagonista si è risvegliato tra le braccia di una donna, “riparo dalla tempesta”. Il cantato è qui piuttosto basso rispetto allo standard dell’album, accompagnato da chitarra acustica con un arpeggio che anticipa vagamente quello di A Farewell To Kings… brano piuttosto melodico e rilassante; il viaggiatore è grato alla donna per averlo confortato, ma sa che all’alba dovrà ripartire.
Quinto movimento, Bacchus Plateau: sound stile Fly By Night, la stanchezza del protagonista aumenta ma parallelamente aumenta l’entusiasmo dato dalla consapevolezza che la meta si avvicina. E’ quindi la volta di The Fountain, che riprende il tema iniziale del brano, e racconta la fine del viaggio innanzi appunto alla fontana di Lamneth: “molti viaggi terminano così, ma il segreto è lo stesso: la vita è solo una candela, e il sogno deve dargli la fiamma”. La suite termina com’era iniziata, con la voce accompagnata da chitarra acustica.
In definitiva: Caress Of Steel non sarà forse un album irrinunciabile; in seguito i tre canadesi hanno fatto indubbiamente di meglio. Tuttavia, rappresenta un capitolo importante nella loro discografia: a detta di molti, costituisce un punto di transizione tra il primo periodo zeppeliniano e il più originale periodo rushiano iniziato con 2112; a mio personale avviso, è semplicemente un album fresco e pieno di ispirazione, anche se inevitabilmente ancora un po’ acerbo e a tratti non scevro da influenze, ma comunque indispensabile per comprendere appieno l’evoluzione musicale intrapresa dai Rush con i capolavori successivi.
D.F.D. : I Rush, nel 1975 pubblicano l'album CARESS OF STEEL.
Nel 1975 viene pubblicato FLY BY NIGHT e, a distanza di pochi mesi, CARESS OF STEEL. Questo album rappresenta un imprevisto arresto dal punto di vista commerciale. Forse la formula adottata risulta essere troppo impegnativa per il pubblico, che si aspetta dai Rush un tradizionale disco hard-rock. In effetti questo disco è decisamente più complesso e completo dei precedenti, e rappresenta il passaggio alla maturità artistica dei tre musicisti. Il disco vede la presenza di pezzi tradizionali, di un brano articolato in tre capitoli e della prima opera rock dei canadesi. Il genere si rifà a quello dell'album precedente, è però la sostanza, la creatività, ad elevare di molto il livello della produzione. Il primo capolavoro dei Rush. Sono comunque presenti alcune imperfezioni nelle sovra incisioni delle parti solistiche di chitarra, che spesso risultano essere quasi “staccate” dalla trama musicale. La produzione e gli arrangiamenti sono di Rush & Terry Brown, la grafica e l'immagine di copertina è affidata a Hugh Syme, uno dei più stretti collaboratori del gruppo (ancora oggi cura tutte le copertine e le soluzioni grafiche!). L'album è dedicato alla memoria di Mr. Rod Serling. Tutte le musiche sono di Geddy Lee e Alex Lifeson, i testi di Neil Peart.
Bastille day è un classico pezzo hard in perfetto stile Rush. Molto ben strutturato e coinvolgente, vede una calibrata alternanza tra parti cantate e parti strumentali. (Voto: 7)
I think I'm going bald è un ironico brano, strutturato su una melodia molto facile. Nella parte finale il brano diviene (volutamente) molto confuso. E' comunque l'episodio meno interessante dell'album. (Voto: 6)
Lakeside Park è semplicemente un capolavoro. Ottimo l'arrangiamento smorzato, bellissima la melodia. (Voto: 7,5)
The necromancer è indicata nel disco come “a short story by rush”. Viene ripreso in questo pezzo il personaggio By-Tor dal brano By-Tor & the snow dog del precedente album. Il brano è suddiviso in tre parti introdotte da una voce narrante (di Neil), e resta tra i capolavori assoluti della band; per la prima volta vengono toccate vette così elevate nelle melodie azzeccatissime, negli arrangiamenti suggestivi e curati in ogni dettaglio. Into darkness inizia ad un volume bassissimo, prima le chitarre, via via la voce narrante e gli altri strumenti. Il pezzo prosegue tra fantastici intrecci di chitarre soliste e parti cantate sino all'inizio della seconda parte, under the shadow, sempre introdotta dal narratore e caratterizzata da una parte musicale estremamente ritmata, quadrata, urlata da Lee. Segue un bellissimo assolo di chitarra che gioca sull'effetto stereofonico. Qui si inserisce un breve pezzo strumentale durissimo e veloce che si conclude per lasciar spazio a return of the prince, molto liberatoria, in netto contrasto con la violenza del momento precedente...... stupenda! (Voto: 8)
The fountain of Lamneth occupa tutta la seconda parte del disco. E' una opera composta da sei brani che sono abbastanza autonomi tra loro. In the valley e the fountain sono due pezzi quasi identici. Il primo apre l'opera, il secondo la conclude e risultano essere due canzoni speculari che, per così dire, racchiudono le storie narrate negli altri brani presenti. In the valley inizia con una bella parte arpeggiata, che in un ben articolato crescendo porta alla strofa hard che si alterna con uno stupendo ritornello molto melodico. Così pure the fountain, dove la parte arpeggiata è riservata al finale; da segnalare inoltre il magnifico assolo durante il secondo ritornello. Didacts & narpets è un breve brano (quasi) strumentale che ha lo scopo di presentare i brani successivi. No one at the bridge è un intenso brano, cantato con passione da Lee, terminante con un notevole assolo di chitarra eseguito sui toni bassi dello strumento. Panacea risulta essere uno dei lenti più toccanti di tutto il repertorio della band. Da segnalare l'utilizzo del volume della chitarra elettrica per creare un effetto simile a quello delle tastiere, qui non ancora utilizzate. Bacchus plateau è una canzone più facile e convenzionale e risulta essere, pur essendo un buon brano, il momento meno intenso di The fountain of Lamneth. (Voto: 8)