Test For Echo

Test for Echo (1996, Atlantic)

recensioni a cura di Valeria Andreoli e Davide Dal Fra

V.A. : Uscito poco prima dei tragici fatti familiari che hanno sconvolto la vita di Neil Peart

Test For Echo ragionevolmente doveva essere l’album dell’addio.

Forse proprio la consapevolezza che poteva essere l’ultimo lavoro dei canadesi, mi spinse a riprendere il cd e a degnarlo di altri ascolti, dato che i primi non solo non mi avevano entusiasmato, ma mi avevano lasciata addirittura insoddisfatta e non di poco.

Non sono in grado nemmeno io di spiegare che cosa mi avesse tanto deluso… Il predecessore, Counterparts, era anch’esso piuttosto heavy e quindi sanciva una netta divaricazione con gli altri due dischi della quarta fase, Presto e Roll The Bones, molto più Aor-oriented e forse per questo easy listening. Tuttavia, lì fu amore a prima vista, grazie forse anche alla bellissima opener Animate, tuttora la mia canzone preferita in assoluto… con Test For Echo invece no.

Eppure la opener non è certo da meno… pezzo sensazionale, a mio avviso originalissimo come sound ma anche per il testo farneticante, reso ancor più inquietante dal cantato malinconico di Lee. Il riff-arpeggio portante è di quelli che non escono più dalla testa, coadiuvato al solito dall’intensa linea di basso e dalle ritmiche magistrali e mai scontate di un Peart in splendida forma. Al punto che a quest’album dedicò anche il suo primo video didattico, incentrato sulla nuova impostazione acquisita grazie al nuovo insegnante, e reso suggestivo dalle riprese nei boschi e in generale dalla serenità interiore mostrata dall’artista, ancora ignaro di ciò che la vita da lì a poco gli avrebbe riservato.

Secondo brano è Driven, traccia piuttosto dura e caratterizzata da un’andamento e un riff incalzanti, mitigati da un bridge acustico; narra della volontà di ribellarsi a quanto ci viene imposto e invita a riprendere le redini del gioco (“guidato dentro, guidato fuori… ma è il mio turno di guidare”).

Seguono due songs più melodiche, Half The World che racconta come il mondo sia diviso in due parti, e come ciascuna delle due tenda sempre a sopraffare o l’altra o aspiri addirittura a sostituirvisi, e The Color Of Right incentrata sul senso di giustizia; da molti considerata la traccia forse meno ispirata dell’album, ma a mio avviso godibilissima, e perfetta per condurci ad un brano delirante come Time And Motion. Anch’esso piuttosto inusuale in un album dei Rush, con sonorità acide non meno che in Driven e struggenti quanto nella title track.

E’ la volta di altri due brani decisamente spensierati, nonostante il carattere piuttosto incisivo (soprattutto il secondo): Totem, che sottolinea la mutevolezza del mondo e soprattutto del nostro modo di intenderlo e percepirlo; Dog Years che fa riflettere su quanto il tempo scorra in fretta, a volte senza che ce ne accorgiamo: un nostro anno corrisponde a sette anni per i cani, ma a volte sette nostri anni passano veloci come se ne fosse trascorso uno soltanto.

Siamo a Virtuality, brano heavy con chitarre distorte a tratti rabbiose, che accomuna il navigatore del mare a quello della rete virtuale, ci invita a visitare quest’ultima e ci esorta a lasciare che ci guidi in giro per il mondo.

Resist è una ballad ispirata alla famosa frase di Oscar Wilde, “posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni”; il testo contiene diverse varianti di essa e non disdegna altre affermazioni filosofiche, accompagnato da una chitarra acustica e un pianoforte che caratterizzano questo brano e lo rendono unico nella produzione rushiana. Particolarmente apprezzabile la versione unplugged che Geddy e Alex ne offrirono durante il tour celebrativo R30.

L’album si avvicina alla fine, e ci regala una di quelle perle di rara bellezza ma anche semplicità, come solo i Rush sono in grado di confezionare… Limbo, uno strumentale lineare ed etereo, che scorre via sognante sebbene deciso, duro ma seducente, impreziosito da brevi cori e delimitato dall’aprirsi e chiudersi di una porta, il tutto quanto mai d’effetto… la classica canzoncina (per lo meno a livello di impatto: fruibilissima) con la quale i canadesi infliggono il knock out.

Chiude Carve Away The Stone, brano gradevole ed elegante che narra il mito greco di Sisifo, condannato per l’eternità a far rotolare una palla fino in cima al monte per poi vederla inesorabilmente cader giù.

Sottovalutare quest’album sarebbe un grosso errore: non sarà all’apice della produzione dei canadesi, ma ha una personalità e un’energia da cui non si può non farsi rapire.

D.D.F. : I Rush, nel 1996 pubblicano l'album TEST FOR ECHO.

Dopo l'ottima prova di COUNTERPARTS, Peter Collins viene confermato anche per co-produrre il nuovo progetto: ancora una volta i suoni ottenuti sono brillanti e potenti. TEST FOR ECHO ha come filo conduttore la comunicazione. Le registrazioni ed il missaggio sono realizzati tra il gennaio e l'aprile del 1996; i pezzi sono arrangiati da Rush e Collins e firmati da Lee/Lifeson (musiche) e Peart (parole). Dubois collabora con Neil per il testo della tittle track. Syme, come sempre, cura la parte grafica e realizza probabilmente la sua più bella copertina. Il ricco libretto dei testi include, tra l'altro, tre curiosi scatti che mostrano i Rush bambini alle prese con gli strumenti musicali. Stilisticamente le canzoni sono piuttosto vicine a quelle del lavoro precedente, senza però riuscir pienamente a riproporre la formidabile uniformità qualitativa di COUNTERPARTS. Un album comunque validissimo, pur se inferiore al suo predecessore. Alex, mai sazio di aumentare la propria conoscenza ed alla costante ricerca di nuove soluzioni sonore, suona anche la mandola; anche i cori acquistano sempre maggior risalto, anticipando così due delle caratteristiche della futura V fase stilistica. Offerto dalla lettera “R-R-R-R”.

Test for echo è un pezzo importante, ambizioso e molto curato; lento ed imponente. Vanno evidenziati i preziosi ricami di Alex. Il brano comunque, nel suo insieme, non soddisfa completamente a causa di un impalpabile senso di pesantezza generale. Un buon brano, sicuramente, ma l'obiettivo, a mio avviso, non è centrato in pieno. (voto: 7)

Driven è un eccezionale brano rock, al servizio del basso di Lee. Aggressivo, potente, sicuro. Un classico. (voto: 8)

Half the world è un pezzo piuttosto semplice. L'arrangiamento è, come sempre, attentamente studiato; Alex ci regala delle belle parti di mandola. Molto interessante il testo. (voto: 6,5)

The colour of right non rientrerà mai nella lista dei capolavori della band. Tuttavia il brano offre un rarissimo esempio di timide contaminazioni country-rock (Alex gioca ancora con la mandola), che lo rendono singolare e, di conseguenza, più pregiato. (voto: 6,5)

Time and motion, inizia, ammalia l'ascoltatore, lo cattura e non lo lascia più. Semplicemente un grande brano di grande rock, con la classe dei Rush come valore aggiunto. Ritmo sicuro, suoni hard-rock, assolo violento e disordinato, melodia memorabile. Granitico. (voto: 8)

Totem, nella strofa e nel primo ritornello, è solare, ed il basso di Geddy viaggia che è una meraviglia. Il secondo ritornello è invece molto intimo, con voce quasi parlata, cori e Peart che ne arricchisce l'atmosfera suonando il dulcimer. L'ottimo risultato è esaltato anche dalla parte strumentale, con un assolo di chitarra stupendo. (voto: 8)

Dog years, un brano rock, essenziale; ha una linea melodica alquanto scontata, penalizzata da un ritornello non molto convincente. Nell'insieme l'episodio meno interessante dell'album. (voto: 5,5)

Virtuality è strutturata con uno schema proposto una infinità di volte: strofa violenta alternata con un ritornello in netto contrasto, melodico e leggero. Il risultato è stupefacente! La strofa è assolutamente rozza ed il testo a fatica si fonde con la trama musicale, segue un momento eccelso, con la chitarra di Lifeson che richiama i suoni del modem ed infine il ritornello, pieno di chitarre elettriche ed acustiche. E poi, ascoltare le finezze di Neil alle percussioni, da sempre molto piacere. (voto: 7,5)

Resist è un lento destinato a divenire un nuovo classico. Schema melodico molto semplice e facile da memorizzare, crescendo ben studiato, suoni ovattati e coinvolgenti. Bello l'inserto centrale con la voce in primo piano e graduale integrazione degli altri strumenti. Intenso ed emotivo. (voto: 7,5)

Limbo. Il titolo è la miglior chiave per interpretare nella maniera più corretta questo strumentale un po' strano. Il brano è sempre in precario equilibrio, sospeso sopra ad un baratro. I suoni sono confusi, e si fatica non poco ad individuare una melodia di base. I cori di Geddy accentuano questa sensazione di instabilità. Si scorgono qua e la cenni funky e parti rock. Deliziosa tutta la parte finale. (voto: 6,5)

Carve away the stone ha nell'assolo di chitarra il suo momento più esaltante; per il resto il brano non presenta particolari sorprese e scorre via liscio come l'olio. Il testo prende spunto dal Supplizio di Sisifo. (voto: 6)