Moving Pictures (1981, Mercury)
recensioni a cura di Andrea Bertana e Davide Dal Fra
A.B. : 1981. Esce quello che molti fans dei Rush considerano il vero masterpiece del terzetto canadese: MOVING PICTURES.
Il platter va a chiudere quella che viene definita come la seconda fase stilistica di Lee, Lifeson e Peart.
Quattro album in cui la band si era avvicinata a sonorità progressive e dalle quali inizia però a prendere le distanze proprio in queste sette tracce.
La copertina è ancora una volta opera di un concept di Hugh Syme e raffigura i quadri in movimento (moving pictures...) e le tre arcate di sfondo ad identificare i tre musicisti.
Nell'album precedente, Permanet Waves, le strutture complesse stavano lasciando spazio a track dalla forma più vicina a quella della canzone e l'uso dei synth era sempre più marcato. In questo ottavo lavoro in studio il discorso non cambia.
Tom Sawyer: irrompe in tutta la sua potenza proprio con un tappeto di synth. Lee sembra ormai destreggiarsi con disinvoltura tra gli strumenti e ce ne da prova con una mirabile parte centrale che va a sfociare in un dirompente assolo di chitarra supportato da una ritmica in 7/8. Un classico che verrà da li in poi riproposto in ogni sede live.
Red Barchetta: si apre sugli armonici della chitarra di Lifeson (tecnica che avrà modo di miglioare e riproporre come marchio di fabbrica in molti dei suoi assoli...) mentre la penna di Peart ci porta ancora in avanti nel tempo seguendo la folle corsa di questa Barchetta rossa nel tentativo di eludere L'occhio altra organizzazione sulla falsa riga dei Templari di 2112.
Ritmica incalzante, una parte centrale in cui si direbbe veramente di avere il vento nei capelli ( wind in my air shiftig and drifting...) e un finale con micro solo di basso.
YYZ : dopo l'episodio de La Villa Strangiato i tre canadesi ci ripropongono un altro pezzo strumentale. YYZ è il codice internazionale dell'aereoporto di Toronto e viene suonato in codice Morse all'inizio del pezzo dal picchiettare sul ride di Neil Peart. La track vorrebbe descrivere con le sole note la loro vita in tour e il loro viaggiare per concerti in giro per il mondo. Sono in gran forma e si sente. La ritmica è devastante e lo scambio di assoli tra basso e batteria faranno scuola così come la parte centrale dell'assolo sui synth a voler descrivere il loro ritorno a casa. Si rimane senza parole.
Limelight: sul discorso del pezzo precedente si forma questa canzone che al primo impatto sembrerebbe easy ma che così non è.
Nel descriverci il loro vivere sotto la luce della ribalta ci propongono un riff di chitarra roccioso e una parte centrale in cui si sviluppa un assolo da brivido. Altra track obbligata in tutti i live. Un vero e proprio inno da cantare a squarciagola.
The Camera Eye: ed ecco quella che io considero la piccola gemma dell'album. Una suite che, purtroppo, i nostri sembra si siano dimenticati di aver composto e che ormai da tempi immemorabili non propongono più in sede live. Effettivamente è una track piuttosto complicata ma non per la difficoltà tecnica in se ma piuttosto per un patos che difficilmente sembra possibile riproporre. L'inizio è sorretto da maestosi synth e dai potenti di Lifeson e così avanti per 10 minuti di pura goduria tra cavalcate quasi acustiche e intrecci rock meravigliosi.
Withc Hunt: pezzo granitico.. molto dark.. anche nelle tematiche affrontate dal testo di questa che risulta essere la terza parte della quadrilogia di Fear. Interessante che si sia scelto di partire dal terzo episodio lasciando il primo a Grace Under Pressure 1984 (The Enemy Within) il secondo a Signals 1982 (The weapon) e il quarto a Vapor Trails 2002 (Freeze). L'apertura sulle campane, le urla e il synth che incalza trasmettono il senso d'angoscia spezzato dal riff di chitarra.
Imponente la parte finale di tastiere su cui Lee si diletta in micro assoli di basso.
Vital Signs: il pezzo che non ti aspetti. Anomalo nei confronti del resto dell'album con quel suo intreccio di key e basso sottolineato da una chitarra reggee. Sembra quasi volerci proporre un anteprima del discorso che da li a poco avrebbero intrapreso con l'album successivo.
D.F.D. : I Rush, nel 1981 pubblicano l'album MOVING PICTURES.
Nuovo album, nuovo capolavoro.
Registrato e mixato nei mesi di ottobre e novembre 1980, MOVING PICTURES riesce ad incrementare ulteriormente il successo della band, essendo ancora oggi uno degli album in assoluto più amati dai fans. Per la prima volta i Rush utilizzano la tecnologia digitale nel mixaggio e nella masterizzazione dell'album. Musicalmente l'ellepi può esser considerato il quarto (ed ultimo) lavoro in studio della seconda fase del gruppo, ma a ben guardare questo disco rappresenta ciò che i Rush sono in quel momento (l'incredibile poker d'assi della prima parte dell'album), ciò che stanno per diventare (i due brani conclusivi), e ciò che oramai non sono più (la lunga The camera eye). Tecnicamente sempre superlativi, si comincia a vedere un grande bisogno di cambiamenti nelle musiche del trio. La produzione e gli arrangiamenti sono sempre di Rush & Terry Brown, così come la parte grafica è curata dall'onnipresente Hugh Syme. La foto di copertina, scattata davanti alla sede del parlamento canadese, è stata interamente finanziata dal gruppo (circa 9000 dollari), dato che per problemi di budget i soldi per la realizzazione non erano disponibili.
Tom Sawyer apre l'album con il botto. Sullo stupendo tappeto ritmico (in 7/8) di Neil, si assiste ad un brano veramente irresistibile, potente, grandioso. Scritto da Lifeson e Lee per le musiche e da Peart e Dubois per i testi, siamo di fronte ad un classico intramontabile. (voto: 8)
Red Barchetta è basata sul racconto fantascientifico di Richard S. Foster “A nice morning drive” e rappresenta l'ennesima gemma nella produzione dei tre. Bellissimo l'arpeggio sugli armonici della chitarra. (voto: 8)
Yyz (la sigla internazionale dell'aeroporto di Toronto) è un pezzo strumentale di Lee e Peart da lasciar senza respiro l'ascoltatore. Assoli di chitarra eccelsi, ritmo inarrestabile, basso e chitarra che marciano all'unisono, virtuosismi strumentali sempre molto eleganti. Insomma, un pezzo indescrivibile. Da segnalare, all'inizio del brano, Neil, che effettua in codice morse le lettere yyz con le percussioni. (voto: 8)
Limelight è un altro classico molto amato. La stupenda canzone parla del difficile rapporto con i media, i giornalisti, i fans, per un gruppo di musicisti divenuti famosi..... Incredibile, dopo il secondo ritornello, l'ingresso della chitarra solista. Classe a non finire. (voto: 8)
The camera eye è l'unico momento debole dell'album. Se da sempre i brani lunghi hanno rappresentato i momenti più intensi dei dischi, in questo caso il pezzo da il senso di esser stato realizzato più per “dovere” che per vera ispirazione. In effetti la melodia e la realizzazione sono di buon livello, gli ingredienti ci sono tutti, ma non scatta la magia nelle note.... Il pezzo di quasi 11 minuti è suddiviso in due momenti (I e II) strutturati nella medesima maniera. Mi piace pensare che i Rush, ormai indirizzati verso la forma canzone, ma molto metodici, abbiano realizzato The camera eye per coerenza nei confronti della seconda fase della loro carriera; in effetti questo sarà l'ultimo dei brani lunghi del gruppo. (voto: 6,5)
Witch hunt dimostra il grande fermento innovativo del periodo: percussioni ad un volume volutamente esagerato, tastiere protagoniste. Il brano vede al sintetizzatore nuovamente Syme, e fa parte di un ciclo di brani chiamato “Fear”. Curiosamente, pur essendo il primo brano della serie è sottotitolato “part III of Fear”. (voto: 7,5)
Vital signs inaugura il felice periodo del reggae bianco. Il pezzo è irresistibile e può tranquillamente far impallidire i Police, indiscussi maestri del genere. Da notare, nel clima di sperimentazione, alle percussioni, l'impiego del charleston a volume altissimo a richiamare i suoni della batteria elettronica, non ancora utilizzata. In fine, a brano quasi sfumato, Geddy erroneamente anziché “elevate” pronuncia “evelate”: il piccolo errore è stato intenzionalmente lasciato sulla traccia definitiva. (voto: 8)