The Masked Rider

The Masked Rider (ECW press)

recensione a cura di Gianluca Bartalucci

Siamo in Camerun, nel 1988. Un Neil Peart assai più giovane, lo si percepisce meno saggio e più impulsivo, attraversa lo stato africano in bicicletta in un bike tourassieme ad una guida e tre sconosciuti compagni. "The Masked Rider", il libro che ricorda tale esperienza, è molto compatto, ben scritto ed avvincente. Bellissimo e avventuroso, è il risultato di una serie di registrazioni audio effettuate dalla rockstar canadese durante le lunghe e soffocanti pedalate sotto il più cocente dei soli. Il lavoro porta con sé una moltitudine di interessanti e condivisibili riflessioni di stampo quasi antropologico sui più svariati argomenti, dalla religione alle politiche mondiali, dalle intriganti dinamiche del piccolo gruppo che viene a formarsi (And what you say about his company/ Is what you say about society (Rush, “Tow Sawyer”)), all'Africa osservata senza pregiudizi alcuni, né in un senso né nell'altro, al lusso di possedere una propria integrità morale. Cosa che non tutti possono permettersi, come ricorda lui stesso pensando al suo periodo tardo-adolescenziale trascorso a Londra. Ovviamente non va dimenticato che si tratta anche e soprattutto di un libro di viaggio, di momenti esaltanti passati sotto la luce incontaminata delle stelle e degli attimi, i tanti attimi, in cui tutto sembra perduto, il sole picchia forte e non si riesce a trovare la strada da percorrere, poi la pancia fa male, ci sono la sete, la diarrea, le ruote sgonfie o forate, la fame, le zanzare e i babbuini. Ci sono i bellissimi bambini neri che sorridono timidi, i soliti furbi che cercano di fregare i turisti, le lunghe pedalate in solitaria di Neil – sempre avanti, sempre in avanscoperta – e la sua grande gioia nel pedalare (in bici ha visitato anche altri stati, anche in Africa), nel faticare, nello spostarsi, nel sentirsi vivo (we’re only at home when we’re on the run (Rush, “Dreamline”)). Ci sono momenti divertenti, spensierati, ci sono i libri rilassanti di Aristotele e Van Gogh che Neil legge nelle pause tra uno spostamento e l'altro, ma anche gli attimi di terrore di fronte ad un soldato armato ed ubriaco, o nel mezzo di un deserto che sembra non avere confini né forma. C’è Neil che si stupisce (e io con lui) nel vedere che i fondi stanziati dalle nazioni del primo mondo qualche volta davvero si tramutano in pozzi ed in acqua, e la cosa gli risolleva il morale ma, soprattutto, forse gli salva la vita. O quasi. Per i fan dei Rush, c’è la possibilità di approfondire il senso di alcune canzoni e di capire in che contesto ne siano stati concepiti i testi. E' curioso scoprire che un pezzo come “The Larger Bowl” sia nato da un incubo/allucinazione avuto durante un violento e notturno mal di pancia. Il brano è stato pubblicato nel 2007, ma pensato per la prima volta una ventina di anni fa. Inoltre, ancora, leggendo il libro si comprende meglio l’origine della fascinazione che Neil ha sempre avuto per l’Africa, spesso evocata nei suoi assoli dal vivo e, talvolta, anche nelle parti di batteria registrate in studio. Un libro bellissimo, ripeto, che fa della capacità di coinvolgere la sua miglior arma. Intimo, personale, empatico, antiretorico. Quasi come in Ghost Rider, c’è l’illusione di imparare a conoscere sul serio una persona che, in realtà, non abbiamo mai avuto modo di incontrare. Figuriamoci, eh.

Get carried away on the songs and stories of vanished times./Memory drumming at the heart of an English winter/Memories beating at the heart of an African village (Rush, “Working them Angels”)