Il potenziale religioso del bambino

Il potenziale religioso del bambino

Prima di iniziare qualsiasi discorso relativo all'educazione religiosa dei bambini, dobbiamo porci la domanda basilare: è lecito dare un'educazione religiosa ai bambini? Senza iniziarli alla vita religiosa, sarebbero ugualmente felici? L'assenza inciderebbe sulla loro vita ed il loro armonico sviluppo? Se offriamo loro ciò che per noi può essere considerato molto prezioso, non complichiamo forse la loro vita con sovrastrutture non essenziali, caricandoli di compiti che non corrispondono alle loro esigenze?

Vogliamo che sia il bambino stesso a dare risposta a queste domande. Potremo cogliere la risposta osservando con attenzione i suoi comportamenti non condizionati da apprendimenti acquisiti, ossia prima che questi influiscano bene o male su di lui. Non ricorriamo, pertanto, alla psicologia né alla psicanalisi o ad altra disciplina, in quanto consideriamo i loro apporti successivi a ciò che saremo riusciti a cogliere come realtà intima. La nostra ambizione è quella di sondare se esista una religiosità spontanea nel bambino. La risposta non è facile da cogliersi; solo una spassionata ed attenta osservazione potrà o meno offrire taluni elementi significativi, considerando che per ragione dell'età possiamo avere solo qualche sprazzo, che più avanti potrà essere più intenso. Si può trattare di gesti, sguardi, o anche disegni significativi che esprimono il "pensiero" al di là del linguaggio. Nell'età più avanti possiamo trovarci in presenza di eventi inattesi, ma proprio per questo molto significativi.

Queste riflessioni chiamano in questione i genitori e particolarmente la mamma, anche perché le espressioni del bambino non sono uguali in tutti i bambini e perché vanno lette nella loro significatività e nella loro rapsodicità: per sé potrebbe bastare anche un solo episodio.

Un eventuale segnale di natura religiosa da parte del bambino testimonia l'esistenza in lui di esigenze ed aspettative quali potenzialità che attendono di essere accolte, valutate ed adeguatamente sviluppate. In questo caso entra di diritto e di dovere il compito educativo. Si intravede e si giustifica la possibilità e la doverosità di intraprendere il cammino della sua educazione religiosa. Negargliela sulla base di pregiudizi da parte dei genitori o di altri adulti provoca un'ingiusta frustrazione, che peserà poi sull'intera vita.

A conferma ed approfondimento della prospettiva sulla quale abbiamo riflettuto, ci aiutano le testimonianze di coloro che, da adulti, hanno raccontato le loro esperienze di bambino, e di coloro che da pedagogisti ci hanno lasciato i loro elaborati.

Disponiamo di una serie di racconti di persone che riferiscono le loro prime intuizioni infantili su Dio. Ne citiamo alcuni a modo di esempio.

Il noto romanziere francese Julien Green dice di sé che conserva il ricordo di un momento di rapimento in cui, bambino, guardando verso il cielo ebbe uno slancio d'amore: si sentì amato; annota che in quel momento intuiva che qualcuno c'era e che gli parlava senza parole e che vedendolo anche Lui lo amava. E si interroga: "Come questo pensiero si fece strada nel mio cervello? Non ne so nulla. Ero incapace di formulare tre parole intelligibili e non mi rendevo nemmeno conto che esistevo".

Altro episodio consimile ci viene narrato da chi bambino sperimentò momenti di un trasporto di tutta la sua affettività verso l'infinito: Si sentì preso da un amplesso che gli riempì il cuore di una pienezza assoluta di gioia. E commenta: "Per quanto abbia cercato, non ho trovato niente di me che lo precedesse, nella memoria". Il racconto, riportato come scritto inedito, è ricco di particolari che manifestano un vero contatto con l'Infinito.

Lorenzo, un bambino di quattro anni, appartenente a famiglia cattolica che s'era ben guardata di iniziarlo a conoscenze religiose, richiesto di fare un disegno su Dio, riempie il foglio con una serie di segni e spiega; "perché sono tanti": è l'intuizione che Dio è infinito.

Maria Montessori descrive diversi casi di bambini che, prima dell'età intellettiva, hanno manifestato con fatti del tutto spontanei un rapporto con Dio

Essa cita il caso di una bambina di tre anni, cresciuta senza il minimo elemento religioso: non va alla scuola materna; in casa, nessuno, nemmeno la nonna atea ella stessa, ha mai parlato di Dio; non è mai andata in chiesa. Un giorno pone la domanda al padre chiedendo da dove viene il mondo. Il padre risponde secondo le sue idee materialiste, e poi aggiunge che però c'è qualcuno che dice che tutto questo viene da un essere molto potente chiamato Dio. A questo punto la bambina si mette a correre e saltare intorno alla stanza in uno scoppio di gioia ed esclama "Lo sapevo che non era vero quello che mi dicevi". Noi ci domandiamo se si può parlare in questo caso di processo logico o se non abbiamo qui l'espressione di un rapporto diverso del bambino con Dio, rapporto che si manifesta non solo nell'enunciazione di una verità, ma attraverso una gioia, che sembra coinvolgere il bambino nel profondo.

Sono tutte esperienze di un rapporto con Dio che va oltre il livello intellettivo e si pongono su un piano esistenziale profondo; si tratta di esperienze religiose vissute nella primissima infanzia, che ci propongono il problema dell'esistenza, nel bambino, del fatto religioso anteriormente a sollecitazioni di carattere culturale. Generalmente si tratta di momenti fugaci, che, però, ci fanno intravedere una realtà misteriosa presente nel bambino, che rivela in lui delle potenzialità e delle ricchezze di cui non riusciamo a definire chiaramente il carattere.

Maria Montessori, Arango-Mitjans ed altri pedagogisti che si sono occupati del problema, evidenziano la gioia che il bambino dimostra quando viene assecondato nella attrattiva verso il religioso. Si tratta di una gioia particolare che lo mette in pace, che lo rende sereno e tranquillo. Ancora una volta, anche per questa via riscontriamo che la risposta che i bambini danno all'esperienza religiosa è tale che sembra coinvolgerli nel profondo, in un appagamento totale:

Arango-Mitjans di fronte a questo tipo di esperienza religiosa che sgorga dal profondo, pensa alla connaturalità del religioso nel bambino.

A questo punto ravvisiamo che l'intervento educativo si fa doveroso proprio perché fondato sulle esigenze del bambino prima ancora che su altre motivazioni, pure importanti, come lo sviluppo integrale della personalità. Quest'ultimo richiamo domanda che il bambino cresca in tutti gli elementi costitutivi della sua personalità. L'educazione religiosa entra in armonia con l'educazione intellettuale, affettiva, sessuale e si snoda secondo i gradi e i momenti dell'evoluzione delle varie potenzialità.

Non sarà un'educazione adultistica, che mira, cioè, a fare presto l'"ometto" o la "donnetta", sacrificando quella gradualità che deve consentire all'educando di vivere in pienezza tutte le età della sua vita. Né sarà un'educazione guidata da obiettivi oggettivamente considerati eccellenti, sacrificando la singolarità delle caratteristiche di ognuno.

Ciascun educando sarà aiutato ad esprimere se stesso secondo le proprie disposizioni, mirando che egli possa formare se stesso non secondo un certo modello ma secondo la sua originalità e che la sua personalità non manchi nello sviluppo di qualcuno dei settori fondamentali e decisivi per l'equilibrio di tutto l'essere.

Solo a queste condizioni emergerà nell'educando la sua "vocazione", cioè la sua specifica disponibilità per condurre la vita nel ruolo che gli risulta consono alle sue peculiari caratteristiche e sensibilità.

Possiamo, pertanto concludere, richiamandoci al settore delle potenzialità religiose, che potremo trovarci di fronte ad atteggiamenti del figlio, non attesi o anche poco esaltanti per il genitore, ma seri ed impegnativi come possono essere certe scelte nel campo religioso.

Luigi Secco