Il collezionismo della famiglia Torlonia

tra finanza, mecenatismo e apprezzamento dell’Antico

Con straordinaria abilità e sborsando la cifra esorbitante di 16.000 scudi, il banchiere Giovanni Raimondo Torlonia era riuscito, sfidando le committenze sovrane, ad ottenere la traduzione in marmo del gruppo colossale dell’Ercole e Lica di Antonio Canova, destinato a diventare emblema della grandezza e del mecenatismo della famiglia. Da quel clamoroso acquisto sarebbe scaturito il più efficace ritorno d’immagine per i Torlonia che avevano accumulato una ricchezza esorbitante muovendosi con abilità nel mutevole panorama politico romano degli anni turbolenti tra governo pontificio e dominazione francese, conquistando infine la dignità nobiliare, che fu accompagnata da un collezionismo di altissimo livello. 

Entro il 1813 il gruppo canoviano fu ambientato nel sontuoso palazzo di piazza Venezia (demolito nel 1901), che era stato decorato con affreschi e dipinti di Gaspare Landi e di Pelagio Palagi, in collaborazione con il giovanissimo Francesco Hayez, mentre contemporaneamente prendeva forma una eccezionale raccolta d’arte antica che riuniva le opere provenienti dalla collezione del principe Vincenzo Giustiniani e dello scultore Bartolomeo Cavaceppi e, in seguito, quelle appartenute al cardinale Albani. Alla scomparsa di Giovanni Torlonia spetterà a Bertel Thorvaldsen il compito di fissare nel marmo il suo ritratto, nel quale senza alcuna idealizzazione ci viene restituita l’immagine del potente banchiere e dello spregiudicato uomo d’affari.

Pelagio Pelagi - Francesco Hayez,
La Virtù che accarezza il Merito e scaccia l’Ignoranza al cospetto dello Studio (1820), olio su tela

Pelagio Pelagi, Arianna sogna la partenza di Teseo (1814 ca.), olio su tela

Antonio Canova, inventore – Giovanni Tognoli, disegnatore – Giovanni Solo, incisore
Per un de’ piedi il furibondo Alcide afferra e scaglia Lica (1811-12), fronte, acquaforte su rame e bulino

Antonio Canova, Ercole e Lica (1831-34), bronzo, fonderie Soyer et Ingé