Cappella degli Scrovegni

Padova

La Cappella degli Scrovegni, Padova.mp4

La piccola costruzione, oggi universal­mente nota come Cappella degli Scrovegni, era dedicata in origine a Santa Maria della Carità. Era chiamata anche Cappella dell’Annunziata all’Arena, in quanto co­struita nell’area dell’antico anfiteatro ro­mano di Padova (l’Arena, appunto) e solen­nemente consacrata in occasione della festa dell’Annunciazione del Signore (o dell’Annunziata), il 25 marzo 1305.

La cappella fu forse progettata dallo stesso Giotto o, comunque, da lui sicuramente approvata, ed ha una struttura molto semplice: presenta un’unica navata coperta con volta a botte e illuminata da sei slanciate monofore, terminanti con archi a tutto sesto, poste sul lato destro.

La capacità di concentrarsi nella caratte­rizzazione fisica e psicologica dei per­sonaggi rappresenta una delle innovazioni più straordinarie della pittura di Giotto. Ciò appare particolarmente evidente ne­gli affreschidi questa Cappella, alla cui complessa realizzazione l’artista si dedica fra il 1303 e il 1305; l’ultimo restauro (effettuato tra il 2001 e il 2002), ci consente oggi di ammirare in una smagliante vivacità di colori.

Il ciclo degli affreschi interni viene commissionato al grande pittore fiorentino da Enrico Scrovegni, uno dei più ricchi fra i prestatori di denaro e i banchieri di Padova, appartenente alla nuo­va classe borghese che in quegli anni andava via via sempre più affermandosi.

La decisione dello Scrovegni di costruire una cappella di famiglia e di farla affresca­re da uno degli artisti di maggior prestigio del momento è attribuita, secondo la tradi­zione, alla volontà di riparare ai peccati di usura commessi dal padre Reginàldo. In realtà si tratta di una scelta assai più com­plessa, con varie implicazioni politiche, culturali ed economiche.

Gli affreschi interni

Giotto affresca le due pareti laterali e l’arco trionfale della cappella con storie tratte dalle vite di San Gioacchino e di Sant’Anna, della Vergine e di Cristo.

La volta, la cui superficie è dipinta d’un azzurro intenso per suggerire un cielo trapunto di stelle d’oro, viene decorata con dieci medaglioni circolari raffiguranti Gesù, Maria e vari Profeti. 

Gli affreschi si svolgono da sinistra verso destra e dall’alto in basso e sono suddivisi in tre ampi registri sovrapposti. Ogni scena è separata dalla successiva da una larga cornice dipinta a motivi geometrici e, dopo l’ultima scena di ciascun registro, la cronologia della narrazione riprende con la prima scena del corrispondente registro sulla parete di fronte, in una sorta di ininterrotto dialogo narrativo speculare.

Nella parete di destra le cornici dipinte che dividono le varie scene fungono anche da realistica inquadratura per le sei monofore che, insieme alla trifora della facciata, rappresentano le uniche fonti d’illuminazione della cappella. 

Navata destra

Navata sinistra

Alla base del registro inferiore, lungo tutto il perimetro interno della costruzione, corre uno zoccolo dipinto ove le raffigurazioni allegoriche delle sette Virtù (sulla parete di destra) e dei sette Vizi Capitali (a sinistra), realizzate in monocromìa, si alternano a zone affrescate in modo da imitare un rivestimento marmoreo, secondo il gusto dell’antica pittura romana a incrostazione. 

Allegorie delle sette Virtù

Allegorie dei sette Vizi Capitali

Le allegorie di Vizi e Virtù furono forse suggerite dallo stesso Enrico Scrovegni, che in tal modo avrebbe voluto essere ricordato come uomo giusto e saggio.

Le prosopopee dei vizi e delle virtù

Il quarto registro delle due pareti laterali, quello più in basso, riporta il percorso con quattordici figure monocromatiche che simboleggiano i Vizi sulla sinistra (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio) e le Virtù sulla destra (quattro cardinali, Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia, e tre teologali, Fides, Karitas, Spes).

Tali figure sono prosopopee del vizio o della virtù che rappresentano, oltre che sua allegoria, composte da una serie di elementi accessori simbolici.

La prosopopea (dal greco antico prósopon, faccia, persona, e poiéin, fare, agire ) è una figura retorica che si ha quando si fanno parlare o agire oggetti inanimati o animali, come se fossero persone.

L'allegoria è la figura retorica per cui un concetto viene espresso attraverso un'immagine: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, non si basa sul piano emotivo bensì richiede un'interpretazione razionale di ciò che sottintende. È un simbolo trasformato in figura retorica.


Sulla controfacciata d’ingresso Giotto realizza un grandioso Giudizio Universale.
L'affresco è diviso in due parti in antitesi, quella superiore, illuminata dal sereno ordine celeste, e l'inferiore, nel burrascoso divenire dell'ordine terrestre che sta giungendo al termine, con una metà occupata dai morti risorgenti e dai beati che si recando in Paradiso, e l'altra metà dai dannati precipitati nell'Inferno.
Al centro dell'affresco, metafora dell'Universo, si erge Gesù, giudice divino, che siede su una nube iridata ed è circondata da una mandorla retta da angeli, stilizzazione della luce divina che emana dal suo essere, scomposta in tutti i colori dell'arcobaleno, simbolo della totalità delle cose da lui create.

La zona absidale, che tradizionalmente è la più significativa di un edificio sacro, ospita anche la tomba di Enrico e della sua seconda moglie, Iacopina d'Este.
Nel riquadro inferiore destro dell'arco trionfale, sopra il piccolo altare dedicato a Caterina d'Alessandria, la perfetta simmetria giottesca è alterata da una decorazione a fresco, con due tondi con busti di sante e una lunetta che rappresenta Cristo in gloria e due episodi della passione, la preghiera nell'orto del Getsemani e la flagellazione.