Museo Dante

Ravenna

Nel cuore della Ravenna medievale c’è un piccolo angolo di pace e rispetto dedicato alla memoria di Dante Alighieri, padre della Lingua Italiana. È qui che all’ombra di una grande quercia fatta piantare da Giosuè Carducci agli inizi del ’900 sorge la sua tomba, costruita tra il 1780 e il 1781 su progetto dell’architetto Camillo Morigia.
La cosiddetta “zucarira” si staglia sul fondo di Via Dante Alighieri e sull’architrave di accesso un cartiglio in marmo recita Dantis Poetae Sepulcrum.

Ubicato a poco distanza dalla tomba, al primo piano dell’ex convento francescano, il Museo Dante propone un viaggio attraverso le opere, la vita e la memoria di Dante Alighieri.
Realizzato nel suo primo impianto nel 1921, in occasione delle celebrazioni del VI centenario della morte del Poeta, dall’allora Sovrintendente di Ravenna Ambrogio Annoni con l’autorevole collaborazione dell’illustre ravennate Corrado Ricci, si configurò inizialmente come un deposito per cimeli danteschi di proprietà comunale. Al suo interno erano conservate le targhe e gli oggetti venuti un po’ da tutto il mondo in occasione delle celebrazioni del 1908 e del 1921.
Il museo, strutturato in più sale, offre un percorso emozionale tra storia e immagini attorno all’avventura umana e la vicenda artistica di Dante, approfondendo il tema della Commedia e della successiva fortuna.
A rendere tutto più compiuto una significativa presenza di reperti e oggetti di grande suggestione, come la cassetta nella quale i frati nascosero le ossa del Poeta e l’arca in cui le stesse furono esposte al pubblico nel 1865, dopo il loro fortuito ritrovamento.

Dante e la lingua

Dante e la lingua.mp4
Dante e la politica.mp4

Dante e la politica

Lettera all'amico fiorentino.mp4

(Epistole, XII)

Lettera (scritta sicuramente dopo il 19 maggio 1315) in cui Dante, rivolgendosi a un non meglio identificato amico di Firenze, respinge con sdegno la possibilità offerta a lui e ad altri esuli di parte bianca di approfittare dell'amnistia concessa dai Guelfi Neri, che imponeva il pagamento di un'ammenda e di sottoporsi a una cerimonia di pubblica penitenza. Il poeta rifiuta di tornare nella sua città al prezzo di riconoscere colpe che non ha commesso, quindi afferma con fierezza che preferisce restare in esilio, dove (nonostante le molte ristrettezze) il pane non gli mancherà.