La mafia rappresenta una delle maggiori minacce al vivere civile del nostro Paese. Nei giorni in cui pubblichiamo questo numero, in cui ricorre il trentanovesimo anniversario dall'inizio del Maxiprocesso di Palermo, Lorenzo Stevanato analizza lucidamente le forme, le origini e le ultime frontiere di questa turpe piaga.
Il 10 febbraio 2025 ricorre il trentanovesimo anniversario dell’inizio del cosiddetto “Maxiprocesso di Palermo”, ossia quell’immenso processo penale che portò in pochi anni allo smantellamento delle fondamenta più profonde di una delle principali associazioni mafiosi italiane: Cosa Nostra.
Questa ricorrenza fornisce un’occasione per approfondire la storia e la natura del sistema mafioso, il quale costituisce una tremenda spina nel fianco per l’intero apparato statale italiano. Per questo, è di fondamentale importanza avere una consapevolezza maggiore su cosa sia precisamente la mafia e soprattutto su quali sono le ragioni storico-politiche che hanno portato tale fenomeno a radicarsi e diffondersi, non solo nel Meridione, ma anche nelle regioni del nord, cosicché noi tutti siamo in grado di avere una visione più critica e analitica su un tema che ha indelebilmente segnato la storia della Repubblica Italiana.
Che cos'è la mafia?
Tutti noi, in un modo o nell’altro, abbiamo sentito parlare di Mafia; e non appena sentiamo questa parola, ci vengono immediatamente in mente la tremenda strage di Capaci o quella di via d’Amelio, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oppure i celeberrimi nomi di Totò Riina o Bernardo Provenzano. Ma è bene ricordare che i crimini compiuti dalla Mafia, per quanto terribili, sono solamente una minima parte di un sistema che in realtà è ben più complesso di una semplice organizzazione criminale e/o terroristica.
Per definizione la mafia è “un’organizzazione criminale retta da violenza, omertà, riti d’iniziazione e miti fondativi”.
Appare subito evidente come alla base di queste associazioni vi siano dei precisi codici identitari che conferiscono all'intero sistema una sorta di sacralità di cui i mafiosi stessi sono particolarmente orgogliosi; inoltre, è importante ricordare che la mafia si differenzia da una qualunque organizzazione criminale in quanto si pone come un vero e proprio “Anti-stato”, con le proprie leggi, con le proprie suddivisioni territoriali, con una rigidissima gerarchia interna, al vertice della quale vi sono sempre uno o più boss che coordinano le attività criminali, e persino con un proprio tribunale che giudica i “reati” commessi contro la Mafia. Se vogliamo spostarci sul piano filosofico, la Mafia è in assoluto la contraddizione più evidente presente nel nostro Paese, in quanto coesiste con un altro organismo, che è lo Stato, al di fuori del quale non dovrebbe esserci assolutamente nulla, hegelianamente parlando; la mafia è l’assoluta negazione dell’identità statale, in favore di una realtà tremendamente esoterica e di natura del tutto famigliare.
È bene ricordare che in Italia sono presenti svariati altri gruppi mafiosi oltre a Cosa Nostra; tra i più famosi certamente la 'Ndrangheta (che agisce prevalentemente in Calabria) e la Camorra (molto diffusa in Campania), senza scordare, poi, che già da più di vent’anni queste organizzazioni si sono evolute grazie ai contatti e alle collaborazioni con associazioni mafiose straniere, come la Mafia nigeriana (presente anche in Italia, in particolare a Castel Volturno) e quella albanese.
L’organizzazione interna del sistema mafioso è talmente articolata che in alcuni casi all’interno della stessa associazione (per esempio, Cosa Nostra) clan diversi si scontrano tra loro.
Proprio questa fu la dinamica che animò la prima e la seconda guerra di Mafia, che flagellarono l’italia dagli anni ‘60 fino alla fine degli anni ‘90. In entrambi i casi, infatti, si trattò di un regolamento di conti interno a Cosa Nostra, nel primo caso causato dalla violazione, capeggiata da Salvatore Greco, di una “tregua” imposta dal tribunale di mafia al fine eludere i provvedimenti antimafia adottati nel 1962 dalla Commissione Antimafia; nel secondo caso determinato dalle aspirazioni del Clan dei Corleonesi, guidato da Salvatore Riina, il quale volle imporsi sopra tutti gli altri Clan appartenenti alla Commissione Interprovinciale mafiosa. In entrambi i casi, queste faide interne hanno portato poi a una quantità esorbitante di delitti, non solo contro altri mafiosi, ma anche contro qualsiasi avvocato, giudice o investigatore avesse ostacolato l’operato delle associazioni mafiose; è fondamentale ricordare infatti che in quegli anni la mafia esisteva nella doppia veste di associazione criminale (principalmente nel traffico di droga all’estero) e di associazione terroristica (negli attentati a qualunque tipo di oppositore). Entrambe le vesti avevano un solo scopo: consolidare il potere mafioso.
Degli innumerevoli omicidi di cui la Mafia si è macchiata nel corso degli anni per accrescere la propria forza non parleremo in questa sede; il lettore potrà apprezzare invece qual è la natura costitutiva del sistema mafioso, senza la consapevolezza della quale risulta estremamente difficile contestualizzare i terribili delitti che noi tutti conosciamo.
Alla radice del problema
Definire con precisione quando e come è nata la mafia in Italia è estremamente complesso. Le teorie avanzate nel corso degli ultimi decenni sono svariate; c’è chi fa risalire le origini all'antica setta dei Beati Paoli, sviluppatasi intorno al XII secolo come opposizione armata contro lo strapotere dei feudatari. Secondo altri, Cosa Nostra, Ndrangheta e Camorra si originarono grazie all’arrivo nel XV secolo di tre cavalieri, affiliati al gruppo criminale spagnolo della Garduna, in Italia. È molto probabile che questi racconti siano solo leggende, che però vengono spesso utilizzate dai mafiosi stessi come miti fondativi; essi conferiscono all’associazione mafiosa quell’identità culturale che è parte di un codice di valori in cui ogni mafioso si deve identificare.
L’ipotesi più convincente circa le origini della Mafia in Italia sostiene che essa derivi dalla Massoneria, ossia da quell’insieme di associazioni segrete e con base iniziatica che svilupparono anche nel Meridione in opposizione al regime borbonico; da esse si svilupperà poi la Carboneria, che sfrutterà le logge massoniche in funzione rivoluzionaria (questi gruppi segreti infatti volevano propugnare i valori rivoluzionari che infiammarono l’800 anche nel regno dei Borbone). Più che altrove, proprio in Meridione i moti carbonari furono i più violenti sia nel ‘20 che nel ‘30-31. Le ragioni di ciò sono da individuarsi nella natura stessa del regime borbonico, che a differenza di quello del resto d’Italia era basato ancora su un sistema latifondista, che risentiva ancora di quello feudale; questo favorì la nascita di associazioni segrete e in particolare il fenomeno del brigantaggio. La povertà generale e soprattutto la mancanza di un forte potere centrale peggiorarono ulteriormente la situazione, che esplose dopo l’Unità d'Italia. Molti partecipanti alla spedizione dei Mille erano membri di organizzazioni massoniche e dopo l’Unità furono molto delusi, in quanto nuovamente sottoposti all’autorità di un re; vennero intentate numerose rivolte contro il nuovo Stato (celebre quella del “sette e mezzo” a Palermo), ma vennero duramente represse.
Lo stesso Garibaldi venne emarginato.
Da qui in poi, l’Italia dovrà fare i conti con “la questione meridionale”, denominazione che comprende tutte le problematiche che il meridione portava con sé, dal brigantaggio alla povertà; innumerevoli furono i tentativi di arginare il fenomeno, ma furono tutti vani. Nel frattempo, queste bande criminali armate che dilaniavano le campagne del Meridione cominciarono a organizzarsi in maniera più rigida e, nonostante la parentesi fascista, riuscirono nel loro intento. All’alba del 1948, esse erano ancora presenti nel Meridione; si fecero forza con le attività criminali più remunerative, come il commercio di droga, e a partire dagli anni ‘50 il loro consolidamento gerarchico è di fatto completato.
Da qui in poi, la storia è nota: con il tempo sono state scoperte ramificazioni delle tradizionali organizzazioni mafiose del Meridione anche nelle regioni centro-settentrionali d’Italia messe in luce principalmente attraverso inchieste giudiziarie, sgretolando così il binomio che vede legato il problema della mafia al sottosviluppo del Mezzogiorno.
La mafia oggi
Oggi, trentanove anni dopo l’inizio del Maxiprocesso di Palermo, la Mafia è una realtà mutata; si sono aperti nuovi orizzonti criminali e di omicidi di mafia non si sente più parlare. Il giovane che si informa sulla mafia nel 2025 può solo rabbrividire leggendo di terrificanti crimini, come l’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo; ma forse le sente molto “lontane” nello spazio e nel tempo.
Storicamente, la mafia ha fatto sempre leva sull’omertà delle persone e sulla paura della ritorsione; la storia stessa ci dimostra che il pericolo di ritorsione c’è (vedi le stragi del ‘92-93). Quello che noi giovani però dobbiamo necessariamente tenere in mente sono quei grandi uomini che non hanno avuto paura di questo pericolo e hanno dato la loro vita per combattere, in virtù di un profondissimo senso dello stato; questo è quello che ci lascia il Maxiprocesso di Palermo, per il quale i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno dato la loro vita. Se persone come loro non fossero esistite, lo scenario attuale potrebbe essere molto diverso; essi ci hanno insegnato che la miglior cura contro la Mafia è tenere alto il valore dello Stato.
Un altro errore che noi spesso commettiamo, da abitanti del nord, è quello di considerare la Mafia un fenomeno che riguarda solo il Sud Italia. Movimenti criminali come la Mala del Brenta hanno smentito questa convinzione, facendo avvicinare la criminalità organizzata anche al Nord, che offre dal punto di vista economico maggiori opportunità di sviluppo.
Ciò che noi, nel nostro piccolo, possiamo fare è ripudiare qualunque forma di mafia; e non si parla solo delle organizzazioni criminali: nella vita quotidiana infatti, “mafia” è qualunque situazione in cui l’interesse di pochi sovrasti l’interesse di tutti o in cui il senso dell’istituzione venga meno a favore del senso di se stessi.
Diceva Cicerone nel suo de re publica: “Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d’essere superiore alle leggi”.