di Piermatteo Chinellato
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Questi elogi apparsi ovunque ci presentano una Paola Cortellesi regista alla prima esperienza subito diventata rinomatissima, nonostante affronti un argomento rischioso, delicato, un tasto dolente della società sia di oggi che dell’epoca in cui è ambientata la pellicola dove, oltre alla ricostruzione materiale delle abitazioni, era necessaria la ricostruzione morale e psicologica delle persone, indipendentemente dal sesso.
Il lungo cammino verso la parità tra uomo e donna è partito nel 1946 dalla possibilità per le donne di votare, ossia con l’avvento del suffragio universale. Ciò ha permesso di partecipare attivamente alla vita nazionale del Paese in cui si vive, mantenendo il diritto di esprimere la propria opinione in maniera democratica. Paola ha avuto il coraggio di affrontare un tema antico che ben si collega agli innumerevoli femminicidi ed episodi di violenza domestica odierni, producendo un film che – ad oggi – è piaciuto al 93% degli spettatori italiani, con un’ottima critica per la quale è stato decretato il primo film per incassi del 2023 nel Bel Paese.
Ci troviamo a Roma, nel primissimo periodo del secondo dopoguerra.
Qui vive Delia (Paola Cortellesi): è la perfetta donna di casa che ama l’abitazione in cui vive con la propria famiglia; si procura il denaro durante il giorno con alcuni lavoretti, quali infermiera, sarta, operaia in una bottega di ombrelli; per giunta cura il burbero suocero malato Ottorino (Giorgio Colangeli) che la assilla in continuazione. Nella monotonia delle necessità giornaliere, un giorno arriva il cambiamento: arriva per posta la sua prima tessera elettorale per poter votare, che subito nasconde perché nessuno gliela stracci, come certamente avrebbe fatto il marito Ivano (Valerio Mastandrea) se l’avesse trovata. Un marito violento, falso, e nello stesso tempo disperato per la malattia del padre, da cui continuamente cerca conforto.
La pellicola è definita di genere drammatico, ma grazie alla spolverata di zucchero di Paola si è più propensi a catalogarla come “dramedy” ossia di genere tragicomico, supportato dalle ricorrenti battute in dialetto romano a tratti macabre (come quando Ivano si confida con il padre Ottorino), a tratti ingenue e genuine.
Come la genuinità della figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano), donna giovanissima pronta a sposarsi rinunciando alla possibilità di studiare. Delia osservando la figlia col fidanzato Giulio, capisce che quest’ultimo sarebbe diventato come il marito Ivano: origliando una conversazione della coppia sente che il ragazzo già pensava a tenersela stretta come casalinga piuttosto di lasciarla lavorare. Da qui convince un soldato americano ad aiutarla ad allontanare la ricca famiglia di Giulio da Roma per annullare ogni possibilità di matrimonio… Ma come? Facendo saltare in aria la caffetteria di proprietà della famiglia. A mali estremi, estremi rimedi dettati dall’amore di una madre per la figlia poco più che adolescente e fin troppo intelligente.
Film di grande attualità a mio avviso assolutamente da non perdere, sia dal punto di vista storico che dal punto di vista umano per l’originalità, l’ottima rappresentazione, la cura maniacale dei dettagli dell’epoca (addirittura il film è in bianco e nero, scelta non da poco) e soprattutto l’ottima interpretazione di tutti gli attori, Paola per prima.
Chinellato Piermatteo