1.Cosa ti ha spinto a iniziare a fare rap alla tua età?
Ho cominciato a fare rap a 14 anni.
Quello che mi ha spinto è stato il fatto che all’epoca il rap in Italia era una cosa completamente aliena. Nessuno lo conosceva, a parte forse Jovanotti, ma non era ancora considerato davvero musica. Proprio questo sentirlo così diverso, così vero e “fuori dal coro”, mi ha fatto sentire che era la mia voce.
2. Qual è il tuo messaggio principale attraverso la musica?
Il messaggio che voglio portare attraverso la mia musica nasce dal modo in cui ho approcciato al rap fin dai primi ascolti. Mi hanno segnato artisti e gruppi che mettevano al centro la fratellanza, l’unione, la condivisione e l’aggregazione. Ho sempre creduto che l’aggregazione — quando è sana — sia una forza vincente, in ambito sociale e lavorativo.
Questo è ciò che cerco di trasmettere ogni volta che scrivo.
3. Come descriveresti il tuo stile musicale?
Il mio stile musicale nasce da un’idea di libertà e adattamento. Mi viene naturale modellarlo a seconda della produzione, perché non ho un unico modo di scrivere o di interpretare.
A seconda del beat, dell’atmosfera, delle parole che arrivano, lo stile cambia.
Se dovessi definirlo, direi che è malleabile, ma allo stesso tempo ben delineato, perché ha sempre un obiettivo preciso: comunicare qualcosa di vero.
4. Chi sono i tuoi principali ispiratori?
Ho avuto ispiratori diversi, appartenenti a generi diversi. Come molti artisti degli anni ’90, ho subito forti influenze dal jazz, dal blues, dal funk e dal soul, quindi è naturale che abbia assorbito tanto da più mondi.
Nel jazz, sicuramente Charlie Parker e John Coltrane.
Nel soul e nel funk: Aretha Franklin, James Brown e altri giganti dell’epoca.
Per quanto riguarda il rap americano, Nas è stato uno dei miei punti di riferimento, insieme agli A Tribe Called Quest.
In Italia, invece, sono cresciuto con gruppi come Sangue Misto, Colle der Fomento e tutta quella scena.
Di Sangue Misto, in particolare, ricordo sempre Neffa: quello dei primi anni ’90, quando faceva rap, è stato per me una grande ispirazione.
5. Qual è stato il momento più difficile della tua carriera?
I momenti difficili nella mia carriera sono stati più di uno.
Uno, sul piano emotivo, è stato quando ho fatto parte di un collettivo di rapper insieme ad altre persone — alcune anche diventate abbastanza note. In quel gruppo ho capito che c’era una finta coesione: tutti volevano prevalere l’uno sull’altro.
L’idea dell’aggregazione, che per me è sempre stata un valore, lì si è trasformata in qualcosa di tossico. Invece di essere una fonte di crescita e ispirazione, è diventata una fonte di malessere. E proprio da quell’esperienza ho iniziato a battermi per la vera aggregazione, quella sana, che unisce invece di dividere.
L’altro momento difficile è stato quando ho scoperto la mia patologia, la sclerosi multipla. Ma non solo quella: è stato un periodo in cui si sono susseguiti vari eventi forti, familiari e personali. La mia testa, semplicemente, non era più lì. Era concentrata sulla malattia, sulla mia famiglia, su un amico.
In quei momenti ho dovuto fermarmi. E riprendere dopo non è stato semplice.
6. Come gestisci la pressione e lo stress nel mondo del rap?
Lo stress e la pressione ci sono, ma cambiano peso a seconda del periodo.
C’è stato un momento in cui ero molto considerato nel mio ambiente e facevo tanti concerti in giro per l’Italia. In quel periodo, certo, sentivo una pressione, ma era una pressione sana: era semplicemente la voglia di stupire ancora di più, di fare ogni volta qualcosa di migliore, per far apprezzare ancora di più quello che portavo sul palco.
Non ho mai vissuto una pressione mediatica, perché credo che conti molto il modo in cui ti poni, anche artisticamente.
Per come mi sono posto nel mondo della musica, ho sempre ricevuto un ritorno positivo dalle persone, in generale. Ed è proprio questa la cosa che, più di tutte, mi ha reso orgoglioso di far parte di questo genere.
7. Qual è il tuo obiettivo principale per il futuro?
Ho almeno tre obiettivi, e il primo in assoluto è stare bene.
Stare bene emotivamente, con la mia compagna, con la mia famiglia, e in generale con me stesso. Questo per me viene prima di tutto.
Il secondo obiettivo è provare a ricreare quella connessione che nel rap si chiamava Crew — gruppi di persone unite da intenti comuni, anche se magari non erano vicine fisicamente.
Mi piacerebbe tornare a quel tipo di legame, ma in una forma nuova: una connessione fatta di valori sani, dove le persone che hanno dei difetti — come li ho io — ma che hanno anche valore, possano essere messe in risalto.
Vorrei che si creasse uno spazio musicale dove si condividano princìpi forti e si trattino anche temi sociali, non solo esperienze personali.
Il terzo obiettivo è continuare a fare quello che sto facendo, cercando di migliorarmi sempre di più e coinvolgere, con la mia musica, un numero sempre maggiore di persone.
8. Come pensi che la tua età influenzi la tua musica e il tuo pubblico?
Per quanto riguarda il pubblico, non ho una risposta precisa. Ma per quanto riguarda la musica, paradossalmente, ho riscoperto dentro di me una nuova linfa.
Dopo quel momento difficile che ho vissuto ormai sei anni fa — con uno stop di due o tre anni — sono tornato con una consapevolezza diversa.
È come se fossi rinato, con la motivazione di un ragazzo di quattordici anni, ma la maturità di oggi.
Oggi mi sento in grado di trattare temi che prima, semplicemente, non avevo gli strumenti per affrontare. Questa per me è una carica fortissima.
Per rispondere alla domanda: penso che ogni età abbia la sua influenza positiva.
Serve l’energia del ragazzo giovanissimo, serve la dimestichezza del ragazzo un po’ più grande, e poi serve la maturità di chi ha fatto un percorso, con la consapevolezza di cosa vuole dire.
Tutto serve. E credo che proprio questa miscela sia oggi la mia forza.
9. Qual è il tuo processo creativo quando scrivi una canzone?
Dipende.
A volte ho già un concetto in testa, oppure mi vengono delle rime che mi appunto al volo sul telefono, e poi mi capita di trovare una produzione che combacia perfettamente con quell’idea.
Altre volte, è il mio producer che mi fa sentire delle basi: ci sentiamo settimanalmente, e quando una produzione mi cattura davvero, scrivo partendo proprio dall’atmosfera che mi trasmette.
Ci sono momenti in cui inizio dal ritornello, altre volte — se ho già il concetto ben chiaro — parto direttamente dalla strofa.
Insomma, dipende da quello che mi trasmette la musica.
Credo che questa sia la risposta più sincera al mio processo creativo.
10. Hai collaborato con altri artisti in passato? Chi sono stati i più interessanti?
Tutti gli artisti con cui ho collaborato sono stati interessanti, perché non ho mai vissuto la collaborazione come una strategia di mercato, ma sempre come un atto spontaneo.
Ho collaborato con artisti perché avevo voglia di farlo, o perché loro avevano voglia di farlo con me.
Uno degli esempi più belli è stato Tormento dei Sottotono, che voleva fortemente fare un pezzo con me — e l’abbiamo fatto.
Un’altra collaborazione importante è stata con Primo Brown, grande esponente del rap romano e nazionale, purtroppo scomparso, che ricordo con affetto per la sua energia e la sua umanità.
Un artista fondamentale nel mio percorso è Turi, che considero il mio mentore: è stato lui ad avvicinarmi a questo mondo, ed è una figura storica e molto riconosciuta nel rap italiano.
E poi Clementino, con cui c’è un’amicizia vera, oltre la musica.
Lo stimo da sempre per la sua freschezza artistica e personale.
E poi ci sono stati tanti altri, ognuno con il suo valore.
Penso che ogni collaborazione, quando nasce da un rispetto reciproco e dalla passione per la musica, lasci sempre qualcosa di vero.
11. Come vedi l'evoluzione del rap negli ultimi anni?
Per come la vedo io, oggi il rap sta attraversando binari paralleli.
Quando l’ho conosciuto, c’era un solo filone, una sola direzione.
Oggi non è più così. Oggi esistono tanti modi diversi di fare rap: c’è la trap, c’è l’urban, e poi c’è ancora un certo rap in senso più stretto, che forse appartiene di più alla generazione da cui vengo io.
Anche se, per fortuna, ci sono giovani come Kid Yugi che lo stanno riportando in auge con stile e contenuto.
Non riesco a dare una risposta precisa e unica, perché la musica è ciclica: cambia, torna, si trasforma.
La mia sensazione è che quel tipo di rap con cui sono cresciuto stia tornando, e lo stia facendo anche con forza.
Quindi penso che non esista una sola evoluzione, ma più binari che si muovono insieme.
E io posso parlare solo del binario che sento mio: quello del rap che ha radici, contenuto e verità.
12. Qual è il tuo album o canzone preferita tra quelle che hai creato?
Anche questa è una domanda difficile.
Non ho una preferenza assoluta.
In alcune canzoni, però, ho sentito quella cosa in più, quella scintilla che sapevo sarebbe arrivata anche alle persone — e in alcuni casi, ci ho indovinato.
Sicuramente pezzi come “Macheneso”, che mi ha fatto conoscere al pubblico.
“Sincero” è sicuramente uno dei miei cavalli di battaglia.
Ma ci sono anche brani a cui tengo molto per le collaborazioni:
come “Fatti più in là” con Primo Brown, oppure “Come vuoi tu” con Ghemon e Mecna.
Sugli album faccio più fatica a scegliere: sono tutti figli miei, frutto della mia mente e della mia storia, e per questo non riuscirei mai a giudicarne uno migliore di un altro.
13. Come gestisci la critica e le recensioni negative?
All’inizio, quando ho ricevuto le prime critiche o recensioni negative, mi buttavo giù.
Le vivevo quasi come una sconfitta, qualcosa che non volevo accadesse di nuovo.
Ma, allo stesso tempo, dentro di me scattava sempre una reazione.
Pensavo a quella critica e dicevo: “Adesso vi faccio vedere io.”
Quel senso di riscatto diventava una spinta mentale fortissima, mi rendeva più lucido, più prestante… e le cose effettivamente miglioravano.
Certo, le critiche non fanno mai piacere — è umano — ma se riesci a usarle nel modo giusto, diventano un vantaggio.
Per me, ogni critica è una sfida.
Fa parte del gioco.
14. Qual è il tuo pubblico target e come cerchi di raggiungerlo?
Sicuramente alcuni temi che tratto non sono pensati per un pubblico giovanissimo, magari perché troppo impegnati o profondi.
Ma allo stesso tempo, ho scritto anche pezzi più leggeri che ancora oggi i ragazzi apprezzano — come “macheneso”, che è del 2007 ma continua a girare forte.
Non ho mai avuto un target preciso.
Più che una fascia d’età, credo che il mio pubblico appartenga a un tipo di persone:
giovani con una certa sensibilità, oppure adulti che vivono una vita semplice fatta di lavoro, amicizie, famiglia.
Se proprio dobbiamo parlare in termini di età, direi che abbraccio una fascia che va dal liceo al post-università.
Non rincorro un target: io racconto me stesso.
E il pubblico che mi segue, lo riconosco dai numeri, da chi mi scrive, da chi mi ascolta davvero.
15. Cosa consigli ai giovani rapper che stanno iniziando la loro carriera?
Quello che consiglio ai giovani che iniziano è questo:
lasciatevi influenzare, sì, ma solo il giusto.
L’influenza può ispirarti, ma poi devi trovare la tua strada.
Perché l’identità è la vera forma di successo, non la copia.
Siate voi stessi.
Raccontate quello che vivete davvero, non quello che vorreste essere.
È un consiglio umile, dal mio punto di vista, ma ci credo profondamente.
E soprattutto: amate la musica.
Amatela davvero.
E non maltrattatela.
Di Martina Carchedi, Emma Fiorucci e Amalia Ventanni
Da quanto fa l’insegnante?
Faccio l’insegnante da trent’anni.
Come ha visto cambiare la scuola?
La scuola è cambiata tantissimo, soprattutto negli ultimi 15 anni. Una grande differenza è stata la trasformazione da semplice scuola media a istituto comprensivo. Quando era solo scuola media, vi erano 3 plessi: questo di San Sisto, Castel del Piano e Fontignano, infatti io stessa un anno ho insegnato a Fontignano, a Castel del Piano e infine sono arrivata qui. La trasformazione in comprensivo è stata molto stimolante, perché mi ha permesso di conoscere nuovi colleghi e nuovi ordini di scuola. Insomma, è diventato tutto più grande. Un’altra grande trasformazione è avvenuta due anni fa, con la creazione delle aule per discipline, la cosiddetta DADA. Infatti nella nostra scuola sono gli alunni che si spostano tra le aule al cambio dell'ora. L'organizzazione è stata faticosa, soprattutto per la gestione dell'orario, ma la fatica è stata ripagata dal risultato: tutto sta funzionando come dovrebbe.
E in questi anni, come sono cambiati i ragazzi?
I ragazzi sono cambiati tantissimo, soprattutto dal punto di vista dell’uso delle nuove tecnologie. Una volta, per esempio, il cellulare era uno strumento sconosciuto, oggi lo utilizzano tutti… e non solo quello! Gli alunni sono cambiati anche dal punto di vista del comportamento: prima in questa scuola c’erano molte situazioni problematiche, oggi molto di meno. L’istituto in questi ultimi anni si è aperto anche ad alunni provenienti da altri quartieri e territori.
Preferisce fare l’insegnante o la vicepreside?
Preferisco fare tutte e due le cose. Infatti ho scelto di mantenere l’insegnamento della matematica in tre classi, senza lasciarne neanche una, ma abbandonando scienze, soprattutto perché amo la matematica.
Vorrebbe diventare preside?
Sinceramente no. Qualche anno fa ho provato a fare il concorso per diventare dirigente, ho superato la prima prova, ma poi non me la sono sentita di continuare, perché c’era il rischio di dover abbandonare l’Umbria, essendo un concorso nazionale; quindi, per stare più vicino alla mia famiglia, ho deciso di non andare avanti.
Qual è il suo cibo preferito?
La pasta.
Qual è la collega con cui va più d’accordo?
Non ce n’è una specifica, vado d’accordo con tutte e tutti. C’è un rapporto un po’ più stretto con la professoressa Annamaria Greco, con la quale condivido la gestione del plesso e con cui in estate lavoro spesso insieme; ma anche con la professoressa Giovanna Pierini (i nostri figli hanno frequentato insieme la scuola dell’infanzia) e con la professoressa Barbara Angeli, con la quale ho lavorato sin dai primi anni di servizio in questa scuola.
Quali sono i compiti che ha la vicepreside?
Tanti. Tantissimi. Non so neanche come spiegarli tutti. In realtà oggi non si dice più vicepreside, ma primo collaboratore del Dirigente,. Infatti io sono la persona che collabora in maniera più stretta con il Preside, affinché la scuola funzioni al meglio. Il mio lavoro consiste quindi di coordinare i tre ordini di scuola, collaborare con la segreteria, organizzare gli orari, occuparmi dei progetti europeie tanto altro...
Che lavoro voleva fare da piccola?
Da piccola volevo fare la parrucchiera, perché avevo i capelli lunghissimi e mi piaceva pettinarli. Da ragazza, frequentando il liceo, mi interessava già il ruolo di insegnante.
Com’era da piccola a scuola?
Ero un’alunna nella norma, non ero una “secchiona”. Poi all’università, avendo trovato la mia strada, sono diventata una studentessa molto brava e diliogente.
Qual era la sua materia preferita da stedentessa?
Matematica. Decisamente matematica. Era la mia strada.
Il preside le sta simpatico?
Sì. Molto.
Scopre di aver vinto un milione di euro: cosa ci fa?
Mamma mia! Sono tanti soldi!! Non saprei cosa farci. Forse, dopo aver sistemato e aiutato i miei familiari, li darei in beneficenza.
Le piace più matematica o scienze?
Mi piacciono entrambe, ma preferisco insegnare matematica.
Preferisce che i suoi alunni lavorino a gruppi o individualmente?
Nella fase iniziale dell’apprendimento preferisco che lavorino individualmente, mentre, quando dobbiamo affrontare dei compiti di realtà o dei giochi matematici, mi piace che si confrontino e che lavorino anche in gruppo.
Qual è lo sport che segue di più?
Per il lavoro che faccio non ho molto tempo per guardare lo sport e in generale non lo seguo, ma mi piace e mi appassiona vedere soprattutto i grandi eventi sportivi come i Mondiali di Calcio, le Olimpiadi oppure le partite importanti di tennis e pallavolo.
Le piace che i suoi alunni usino i tablet durante la didattica?
Utilizzano soprattutto il software Geogebra per le costruzioni geometriche, a matematica non li usiamo molto.
Le piace il suo lavoro?
Moltissimo.
In ambito lavorativo rifarebbe tutte le scelte che ha fatto?
Assolutamente sì.
Qual è l’errore più buffo commesso dai suoi studenti?
Non ce n’è uno in particolare. Ci sono errori frequenti che ricorrono ogni anno e che rivedo in quasi tutte le classi. Non buffi, ma errori che fanno parte del processo di apprendimento.
Qual è la cosa più difficile nel fare la vicepreside?
Non scordare le scadenze. Ricordare ogni piccola cosa da fare e organizzare tutto al meglio (sospira n.d.r).
La mettiamo alla prova: qual è la radice quadrata di 81?
9 (ride n.d.r)
Le è piaciuta questa intervista?
Moltissimo. Devo essere sincera, ero un po’ preoccupata perché non mi piace apparire, sono molto riservata e difficilmente mi espongo in prima persona, ma invece è stato piacevole; voi siete state molto accoglienti.
Anche per noi è stato un piacere. La ringraziamo per la sua disponibilità e per tutto quello che fa per la nostra scuola. Ora sappiamo di essere in buone mani. Buon lavoro!
Grazie a voi.
Emma Fiorucci 1^D, Martina Carchedi, 1^A
30 aprile 2025
Allora iniziamo chiedendole semplicemente, come si chiama?
Io mi chiamo Maria Pia.
Molto bene Maria, perché non ci racconta un po’ della sua vita?
Io sono nata nel 1964 e, prima di fare la bibliotecaria, facevo la maestra all’asilo nido, qui a San Sisto.
Sono originaria della Calabria e lì è nata la mia passione di leggere, grazie anche ai miei cugini che mi prestavano i loro fumetti e libri.
Le è sempre piaciuto leggere anche da piccola?
Sì certo, mi piaceva molto leggere da piccola, anche se preferivo alcune volte scrivere.
Quando provavo delle forti emozioni mi mettevo a scrivere sul mio diario o su di un pezzo di carta.
Lei da piccola faceva qualche sport?
Sì, praticavo il nuoto a livello agonistico.
Ha qualche hobby?
Sì, mi piace molto il teatro, soprattutto le opere di Shakespeare.
Perché ha scelto di fare questo lavoro al posto della maestra dell’asilo?
Solo per motivi personali…
Da quanti anni è che fa questo lavoro?
Lavoro in questa biblioteca da almeno due anni.
Come ci si sente a lavorare in una biblioteca?
Lavorare in biblioteca è molto bello perchè c’è il contatto con i ragazzi e poi perché mi piacciono molto i libri e tenerli in ordine.
Come ha organizzato la biblioteca?
Colloco i libri nei vari scaffali in ordine alfabetico e a seconda del genere.
Cosa fa quando per un po’ non viene nessuno?
Leggo oppure segno chi ha preso i libri o rimetto negli scaffali quelli che mi hanno restituito.
Quali tipi di libri le piacciono?
A me piacciono molto i libri storici, infatti la mia materia preferita è storia. In questo periodo sto cominciando a leggere anche i fumetti e i manga per poter consigliare meglio i ragazzi. Mi piace molto il contatto con loro.
Quale lavoro voleva fare da piccola?
Come già vi ho detto mi piace tanto la storia e infatti da piccola volevo fare la paleontologa.
Qual è il suo libro preferito?
Io in realtà io non ho un libro preferito… ora che ci penso ho tanti libri preferiti.
Per lei, cos’è un libro?
Per me i libri sono cibo per la mente.
Dalla bibliotecaria e in biblioteca si può ritrovare se stessi e la propria personalità; nei libri presenti su quegli scaffali puoi trovare tanti mondi pieni di fantasia.
Quando avete un po’ di tempo passate a trovare Maria Pia, vi aspetta con tanti buoni consigli.
Giosuè Ferrari, David Ettore Safina, Alessandra Bibi, 1^E
Achille è un guerriero dell’epica classica che ha combattuto nella guerra di Troia. Il suo sogno? La gloria. Rimanere nella storia. E ci è riuscito.
Perché hai deciso di andare in guerra?
Volevo che il mio nome venisse ricordato nei secoli a venire.
Chi hai odiato di più durante la guerra di Troia?
Agamennone, non merita di essere chiamato re.
Ti eri molto affezionato a Briseide. Prima di morire, sei riuscito a darle un ultimo saluto?
In realtà tra me e Briseide non c’è stata una vera e propria storia d’amore. Non lasciatevi confondere dai film! L’Iliade parla chiaro: non sono morto durante l’assedio di Troia, ma prima, e Briseide non era lì con me. Mi dispiace deludervi.
Sei morto per mano di Paride, il meno valoroso dei guerrieri troiani: non ti dà fastidio questa cosa?
Se non fosse stato per l’aiuto della dea Atena, Paride non mi avrebbe centrato neanche se fossi stato a dieci piedi da lui. Era destino.
Tenevi molto alla tua armatura: è andata persa o l’hai conservata?
All’inizio era andata persa a causa di quel Troiano che ha ucciso il mio amico Patroclo, Ettore dall’elmo lucente. Ma ha rimpianto di averlo fatto. Dopo la mia morte il mio amico Odisseo l’ha data a mio figlio Neottolemo. Era bellissima: Efesto aveva fatto davvero un bel lavoro.
Qual è stato il momento più difficile nella guerra di Troia?
Sicuramente quando è morto Patroclo. La mia felicità si è trasformata in rabbia. Com’è che dite voi…”l’ira di Achille”.
Sei felice che il tuo nome sia rimasto scolpito nella storia?
Sì, sono molto orgoglioso che il mio nome sia rimasto nei secoli, perché andando in guerra ho fatto una scelta ardua. Mia madre Teti è stata fondamentale per la mia decisione.
Un’ultima domanda: come mai tua madre non ha immerso nello Stige anche il tuo tallone per renderti completamente immortale?
Me lo sono sempre domandato anch’io. Sapete com’è, le mamme sono apprensive: ero molto piccolo e quindi avrei rischiato di annegare. Voleva essere sicura di tenermi ben stretto. Tutto sommato va bene così: ora, in un modo o nell’altro, sono immortale.
Francesco Mencarelli, Pietro Oliverio, 1^D - Matteo Ragnini, 1^C - Aaron Bejaoui, 1^B