Historia magistra vitae
“Non sei come me…”
Giornata della memoria: una storia per non dimenticare
6 febbraio 2021
In questo articolo voglio parlarvi di due bambine, ormai donne, che hanno combattuto con coraggio per affrontare ostacoli duri e dolorosi. I loro nomi? Alessandra (Andra) e Tatiana Bucci.
-Sei disabile? “Diverso”!
-Sei omosessuale? “Diverso”!
-Non sei Ariano? “Diverso”!
Siamo tutti diversi… Abbiamo tutti “caratteristiche” diverse… Per fortuna! Siamo tutti capi e schiavi allo stesso tempo, tutti sottomessi, torturati per non essere perfetti a volte da noi stessi, a volte dagli altri.
Qualcuno penserà che questo discorso sia inutile, qualcun altro che sia noioso, ma non lo è… Stiamo parlando di vite umane, non di spazzatura. Ma forse per qualcuno è così… Per qualcuno c’è una scala di importanza: i superiori e gli inferiori.
Tatiana e Alessandra Bucci erano normalissime bambine di origine ebraica nate in Italia, quasi identiche, con due anni di differenza. Deportate ad Auschwitz e scambiate per gemelle, vennero scelte, insieme al cugino Sergio, come cavie per degli esperimenti, dopo aver ricevuto il marchio, ovvero un numero, il loro nuovo “nome”. Avevano perso tutto, anche la dignità; l’unica cosa rimasta erano i pensieri, anche se non servivano a molto, essendo una tempesta confusionaria di tante parole. Mangiavano poco, dormivano poco, avevano poche forze, ma una cosa era fondamentale: non dimenticarsi mai il loro nome, l’unica via per non scordarsi chi fossero.
La madre veniva a trovarle quando poteva, ma le bambine incominciarono a non riconoscerla più: era calva e molto magra, insomma, non era più lei… La loro cosiddetta “sorvegliante” si affezionò a loro e le consigliò di non accettare di andare dalla loro mamma, se qualcuno glielo avesse chiesto. Ovviamente riferirono questo anche al cugino, che non le ascoltò, poiché era troppo affezionato a sua madre, visto che era figlio unico; con altri 19 bambini fu condannato a subire torture e esperimenti che lo portarono ad addormentarsi e non svegliarsi più per sempre...
All’arrivo dei russi Adra e Tati erano le uniche bambine italiane dei 200 salvati e vennero portate in un orfanotrofio a Praga, poi in Inghilterra, in un centro di accoglienza per bambini provenienti dai campi di concentramento. Una seconda VITA, o meglio, una seconda SPERANZA. Si era appena aperta una porta ai loro occhi, giocavano e venivano trattate come bambine normali, cosa che a noi sembra scontata, ma invece lì era qualcosa che non sapremmo bene definire, come un miracolo… Infine, con l’aiuto di chi gestiva quel posto, Alessandra e Tatiana ritrovarono i loro genitori, che non vedevano da tanto tempo...
Fortunatamente loro sono sopravvissute… ma gli altri? 29 gennaio 2021, Giornata della memoria… Questa giornata è dedicata proprio agli altri… Serve ricordare, serve a capire che gli uomini sono pericolosi, pazzi e spietati. E serve insegnarci a cosa possono portare il pregiudizio, l’odio e il razzismo, anche oggi…soprattutto oggi.
#pernondimenticare
Elisabetta Anna Iodice, 1^D
Disegno di Elisabetta Anna Iodice
Andra, Tati e il cuginetto Sergio
Andra e Tati oggi
Link al Video "La stella di Andra e Tati"
Disegno di Agnese Kapplani, 2^A
La commemorazione della Giornata della Memoria ha ispirato ai nostri alunni questi disegni...
Istituto di Veterinaria di Perugia. Silvana con la sua famiglia a 18 anni.
20 gennaio 2021
Quando la storia emerge dalla memoria.
Intervista alla maestra Silvana
La storia non si conosce solo dai libri: spesso sono i racconti di vita, le testimonianze di vicende vissute che ci compongono un quadro vivo e chiaro di quanto accaduto in passato. Come nel caso di queste testimonianze, raccontate dalla maestra Silvana, la quale, con semplicità e chiarezza di particolari, ci ha illustrato un periodo molto intenso della nostra storia, quello che va dal Fascismo agli anni ’50. La signora Silvana è un'amica di famiglia e i suoi racconti sulla sua vita, intrecciati con le vicende storiche, mi hanno sempre affascinata, per questo ho deciso di condividerli con voi. Nata il 6 giugno 1926 a Perugia, ha vissuto la gran parte della sua infanzia nell’appartamento del portiere dell’istituto di Medicina Veterinaria di Perugia, dove ha passato anche la guerra vivendo vicino ai militari. Si è diplomata all’Istituto Magistrale Pieralli di Perugia ed è stata una maestra in molte scuole; gli ultimi 20 anni della sua carriera li ha passati a insegnare nella scuola elementare di San Fortunato della Collina.
ALCUNE ABITUDINI DELLE FAMIGLIE DEGLI ANNI PRECEDENTI LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Vittoria: Buongiorno Maestra e buon 2021! Le proponiamo delle domande sulla sua infanzia e la sua carriera da insegnante. Quando lei era piccola suo padre aveva un motorino in cui saliva tutta la famiglia e per oggi è impensabile salire in quattro su un motorino. Dove andavate con lui? C’era l’abitudine di fare vacanze? Dove?
Maestra Silvana: Dunque, anzitutto bisogna dire che il motorino era in realtà una motocicletta cinquecento rouge tedesca ed era molto grande. Il fatto che ci andassimo tutti e quattro ti dimostra quanto fosse grande. Io ero piccina e mi infilavo tra le gambe del mio babbo e dietro salivano la mia mamma e mia sorella. Ma le moto di allora non erano alte come adesso e potevamo starci bene. Normalmente ci andavamo a San Martino in Campo, dove abitava la sorella del mio babbo: la nostra gita della domenica era andare a San Martino in Campo. Poi succedeva che noi rimanevamo lì e il papà e lo zio – che aveva anche lui la motocicletta – se ne andavano a fare una bella e poi tornavano e ci riportavano a casa. Questa era la nostra domenica, ma non tutte le domeniche.
Vittoria: E d’estate facevate vacanze?
Maestra Silvana: D’estate spesso andavamo a Falconara Marittima perché avevamo una zia che abitava lì e ci affittava una camera con l’uso della cucina. E io, la mia mamma e mia sorella rimanevamo lì. Il papà raramente aveva il permesso di rimanere. Pensa, però, lui ci metteva sul treno e ci raggiungeva con la sua moto. Lui non è mai venuto con il treno perché era un fanatico della motocicletta.
LA SCUOLA DEGLI ANNI ‘40
Vittoria: Ai suoi tempi le scuole erano composte da 4 anni di medie e 3 di superiori? Che differenze c’erano in confronto a oggi?
Maestra Silvana: Io ho frequentato le magistrali ed erano quatto anni inferiori e tre superiori. Al liceo, invece, erano quattro inferiori e quattro superiori. Naturalmente, eravamo divisi tra maschi e femmine. Avevamo addirittura due ingressi separati e, se anche per la strada ci incontravamo, ci dovevamo ignorare, perché non era lecito andare a scuola insieme maschi e femmine. Avevamo il grembiule nero, guai se non lo mettevamo! E ti dico la verità: noi avevamo il terrore dei professori, non era come adesso. Allora non c’era nessun contatto, nessuna confidenza. Dovevamo stare zitti e fermi, immobili! Io andavo a scuola durante il periodo fascista e non ci si poteva dire “buongiorno”, ma dovevamo alzare la mano e fare il saluto fascista. A chiunque incontravamo. Anche per la strada. Che altro posso dirti? La differenza nelle lezioni era che allora ci facevano imparare tante cose a memoria. L’Odissea, l’Iliade, il Manzoni... Dovevamo saperne delle parti a memoria e se non le sapevamo era un voto brutto. Anche alle elementari dovevamo imparare tanto a memoria. Pensa che ancora oggi ricordo tante poesie “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita..”. Poi, io, facendo la maestra, le insegnavo ai miei alunni. Ma credo che oggi non ne dobbiate imparare così tante a memoria. Un’altra differenza era la geografia. Io mi meraviglio degli errori che sento, per esempio, in televisione - tu sei ancora una ragazzina e fai in tempo a studiarla – ma in tv si sentono persone più grandi di te che non sanno le province di Italia. Noi dovevamo sapere i capoluoghi, i monti, i fiumi, i laghi… tutto!
Vittoria: Anche prima del fascismo, dovevate stare zitti e fermi e non parlare con i professori?
Maestra Silvana: Si, certo. Sennò ci mandavamo fuori dalla porta e se passava il preside e ti trovava fuori dalla porta erano guai!
Vittoria: E c’erano anche altre punizioni?
Maestra Silvana: Beh, il voto in condotta, come anche oggi, contava tantissimo. E poi se ti comportavi male chiamavano i genitori e gli dicevano come andavano le cose; eventualmente c’era la punizione dei genitori. A quei tempi, però, avevano sempre ragione gli insegnanti. Tu avevi sempre torto, non c’erano un papà o una mamma che ti difendessero. Avevano sempre ragione i professori.
Vittoria: E secondo lei è giusto?
Maestra Silvana: Beh, anche i professori sono persone e possono sbagliare.
Vittoria: Ma oggi si esagera al contrario.
Maestra Silvana: Si, oggi siete un po' più birichini e con i professori ce la volete sempre, e brontolate…. A noi non permettevamo a casa di dire che un professore non capiva niente.
Vittoria: C’era più rispetto.
Maestra Silvana: Molto più rispetto!
GLI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Vittoria: Lei aveva circa 16 anni durante la seconda guerra mondiale. Ha vissuto porta a porta con i soldati tedeschi.
Maestra Silvana: Si, perché io vivevo all’Istituto di veterinaria: mio padre lavorava lì. Quando arrivarono i tedeschi, occuparono l’Istituto e io ho vissuto in mezzo a loro. Dico, però, la verità: non ho avuto paura perché dentro l’Istituto si sono comportati abbastanza bene. Tranne una volta. Tu sai che nell’esercito tedesco c’erano anche le SS, che erano le milizie più cattive… una volta entrarono in casa nostra e ci trovarono che stavamo mangiando un piatto di riso in bianco e spaventarono il mio babbo, perché si arrabbiarono del fatto che avevamo un pasto troppo ricco. Allora il mio babbo fece l’occhietto a me e mia sorella e noi scappammo alla sede del commando delle SS, dicendo che c’erano due militari che erano entrati in casa e stavano minacciando il nostro babbo; loro li presero e li punirono. Solo quella volta ebbi paura. Anche perché, pensa, c’erano ragazzini tedeschi di 16, 17 anni che addirittura piangevano con noi perché non avevamo la mamma. C’erano i tedeschi buoni e i tedeschi cattivi.
Vittoria: E quando sono arrivati gli inglesi? Come si trovava meglio? Con tedeschi o inglesi?
Maestra Silvana: Beh, in quel periodo la gente soffriva proprio la fame. Avevamo la tessera annonaria. Cioè andavamo in dei negozi e ci davano la razione di pane, di pasta… quello che c’era, poco più, a seconda dei bollini che avevi. Finiti i bollini, non c’era più niente. Quando arrivarono gli inglesi – occuparono anche loro l’Istituto – erano ricchi di ogni ben di Dio: vedemmo finalmente le famose scatolette di tonno, le alici – e chi se le sognava? -. Mi ricordo che, appena uscivo dalla porta di casa, mi buttavano giù la cioccolata! Erano anni che non mangiavamo la cioccolata! Immagina la contentezza di vedere queste tavolette di cioccolata che ti piombavano dalla finestra.
Vittoria: Ci può raccontare di quando vi hanno portato la polvere di caffè e di quell’aneddoto di sua madre?
Maestra Silvana: Anche il caffè, chi lo vedeva più! Non c’era neanche l’orzo. La mia mamma era golosissima di caffè e la prima cosa che chiese agli inglesi fu proprio il caffè. Solo che la loro polvere faceva un caffè molto chiaro, anche se era forte. La mia mamma, allora, per farlo venire nero, ne mise una grande quantità e poi lo bevve. Non ti dico! Cominciò a battere i denti… ne mise tanto per farlo venire nero, non lo beveva da chissà quanto… le fece una reazione fortissima, ci stette proprio male.
Vittoria: Lei e i suoi coetanei come vivevate la guerra? Cosa sapevate di essa?
Maestra Silvana: Ah, questo ho dimenticato di dirtelo. A scuola avevamo la radio che trasmetteva il bollettino di guerra. Prima di uscire da scuola i tedeschi ci trasmettevano il bollettino di guerra e ci facevano sapere -a modo loro, perché non era vero – quello che succedeva. Noi non sapevamo la verità perché ci dicevano che vincevano sempre e invece perdevano, perché poi abbiamo visto arrivare gli inglesi e tutto pensavamo tranne che la guerra stesse andando in quel modo.
Vittoria: Vi potevate vedere, potevate uscire di casa oppure dovevate stare chiusi per sicurezza come noi adesso?
Maestra Silvana: Potevamo andare dove volevamo. A scuola andavamo a piedi, non come ora; anche alle elementari si andava a piedi, senza accompagnamento, perché non c’erano i pericoli di adesso. Le macchine non c’erano quasi più, gli autobus non funzionavano… però ci incontravamo, andavamo a passeggio sul corso… solo che appena suonava l’allarme dovevamo correre nei rifugi. In quel periodo ci avevano trasferito in una scuola vicino alla galleria Kennedy, che era stata scavata solo per metà, e appena suonava l’allarme dovevamo andare lì sotto e aspettare. E poi tornavamo a scuola. Quando suonava l’allarme avevamo paura, perché sentivamo questi areoplani che passavano sopra e non sapevamo dove avrebbero sganciato le bombe; ma una volta passati, era finito tutto e ricominciavamo a viere. Perugia fu fortunata, perché non ci furono bombardamenti. A Ponte San Giovanni ci furono, ma a Perugia no, perché non c’erano fabbriche.
STUDIARE NEGLI ANNI SUBITO DOPO LA GUERRA
Vittoria: Sappiamo che lei ha studiato l’inglese. Ci può raccontare come era vista questa cosa di conoscere più lingue a quel tempo? Come si spostava da casa sua a Perugia fino a Firenze per andare a lezioni di lingua?
Maestra Silvana: Io avrei voluto studiare lingue all’università. Ma a Perugia non c’era una università per studiare lingue, c’era solo a Venezia e a Napoli. Figuriamoci se mi avrebbero mandato a Venezia o Napoli, e poi non c’erano neanche i mezzi per arrivarci. Allora io mi iscrissi all’Istituto Britannico a Firenze. Ma non era una laurea, era una licenza. Eravamo quattro ragazze che c’eravamo messe in testa di imparare l’inglese e convincemmo i nostri genitori. Partimmo la sera con il carro merci, perché non c’erano i treni, e arrivammo a Firenze la mattina dopo. Pensa quanto andava veloce questo treno… Andava così piano che ci mettemmo sedute con le gambe fuori dal treno. A Firenze, poi, stavamo dalle suore, ma anche lì non ci trovammo tanto bene. Ci apparecchiavano con le posate d’argento, con una grande etichetta, ma ci davano poco da mangiare. C’erano anche i vecchietti a pensione con noi, ma loro mangiavano poco. Noi invece avevamo 20 anni e avevamo una gran fame! Allora una volta dissi loro “ma suore, invece che apparecchiarci con le posate d’argento, dateci più pasta nel piatto!”
Vittoria: E loro?
Maestra Silvana: E loro come non detto!
Vittoria: La conoscenza della lingua inglese le ha dato delle opportunità? Di che tipo?
Maestra Silvana: No, io lo volevo fare perché avevano detto che avrebbero messo l’insegnamento della lingua inglese anche nella scuola elementare, come c’è adesso, e io la volevo insegnare, ma questa licenza non era valida per l’insegnamento. Però prima di entrare in ruolo, cioè di poter andare a insegnare, ho fatto la baby sitter in alcune famiglie e insegnavo l’inglese alle bambine di cui mi prendevo cura.
Vittoria: Quindi è stato utile?!
Maestra Silvana: Si, è stato utile e poi mi piaceva. Dopo ho continuato a coltivarlo, leggevo i libri…
INSEGNARE NEGLI ANNI ‘50
Vittoria: Quando ha iniziato ad insegnare e andava nelle scuole di campagna in giro per l’Umbria, c’erano dei ragazzi che dopo essere stati a scuola doveva andare a lavorare sui campi, vero?
Maestra Silvana: Eh si! E qualche volta non li facevano neanche venire a scuola. I primi tempi, che ho insegnato nei paesini di montagna, mi dicevano “questa mattina mi sono alzato alle sei e sono andato a “parare” le pecore”. Io neanche sapevo cosa significasse “parare” le pecore e chiedevo “cosa vuol dire questo termine?”. Cioè, dovevano guardare che queste pecore, o le mucche, non si allontanassero. Ce ne era uno poverino che veniva a scuola solo una volta ogni tanto e quando arrivava bisognava spalancare le finestre perché, povera creatura, c’era un odore di pecora che non ci si stava.
Vittoria: Perché qualche volta i genitori non davano il permesso ai figli di andare a scuola?
Maestra Silvana: Qualche volta glielo vietavano. E poi a volte li facevano alzare prestissimo, prima facevano le faccende della stalla… Però ti devo anche dire che io ho sempre amato insegnare in campagna e non sono mai voluta venire in città perché i ragazzini erano genuini e avevano tanto bisogno.
Vittoria: Ma se i ragazzi dovevano lavorare anche dopo scuola, non avevano i compiti per casa?
Maestra Silvana: I compiti a casa c’erano, ma erano limitati. E poi dovevo anche passarci un po' sopra per come erano fatti perché, poverini…. Poi, quando sono andata a San Fortunato, la vita era cambiata e i bambini non dovevano andare sui campi, non dovevano più lavorare.
Vittoria: Grazie per avermi dato questa opportunità di intervistarla e di conoscere più da vicino un pezzo di storia
Maestra Silvana: Ringrazio te che mi hai dato la possibilità di rendermi conto che alla mia “tenera” età sono ancora in grado di ricordare la vita vissuta e ciò mi dà coraggio. Ciao, ti voglio bene.
Vittoria Pimpinicchio, 2^C
Silvana ai Giardini Carducci, Perugia
Silvana con le amiche a Firenze per studiare inglese
Il papà di Silvana e la sua motocicletta
Silvana con i suoi alunni