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Pare che l’embrione umano attraversi nel corpo materno tutte le fasi dell'evoluzione animale, e da quando il bambino nasce quelle del pensiero: a due anni parla con le cose, a quattro pensa che il mondo funzioni in virtù di qualche dio, a sei ne dubita, a otto ha già un account instagram.
Il bambino è amorale. Anche un cannibale lo è per noi. Il cannibale uccide i suoi nemici e se li mangia. Non è un delinquente. Se però l’uomo moderno uccide e divora qualcuno, è Hannibal Lecter. Il cannibale ha un mito da raccontare per comprendere la sua isola o il suo lavoro, per ogni cosa lo circondi. Non è un delinquente. Ma l’uomo moderno che racconta storie è un delinquente o un prof. di Italiano. Nelle prigioni i detenuti non fanno altro che raccontarsi storie e poesie. Quelli che vi ammorbano continuamente con storielle che non sono in prigione sono agenti immobiliari o intellettuali latenti. Se capita che un intellettuale muoia incensurato, significa semplicemente che è morto appena prima di mordere qualcuno.
L’impulso a raccontare storie su storie è il balbettio della letteratura. È la prima origine dell’arte della comunicazione. Ogni arte è sublimazione di una frustrazione erotica.
Il primo racconto che sia stato ideato, Adamo ed Eva, era in origine una frustrazione erotica. La mela proibita: il sesso. La cacciata dal paradiso: diventare genitori. L’uomo che creò questo racconto provava la stessa soddisfazione di Manzoni, si sentiva tanto intelligente e supponente come quando Manzoni concepì il disegno dei Promessi Sposi.
Ma l’uomo del nostro tempo che per una sua esuberanza racconta storielle, per altro nell’esempio misogine, è un delinquente o un intellettuale. Si può misurare la civiltà di un popolo dal grado in cui sono tollerate simili battute. Nel bambino è una manifestazione naturale: dire parole oscene è la sua prima espressione artistica. Ma ciò che è naturale nel troglodita o nel bambino è da degenerati per l’uomo moderno.
Io ho scoperto e donato al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione delle storie dalla nostra vita.
Credevo di dare sollievo, invece tutti si sono oscurati. Ma come, ciò che può fare o aver fatto ogni negro e ognuno prima di noi ci è precluso? Ogni età ha avuto la sua letteratura e solo a noi verrà negato? Per letteratura intendevano storie. Ma questa è la grandezza del nostro tempo: noi abbiamo superato i miti, con fatica ci siamo liberati delle morali delle favole: il futuro è radioso ed è davanti a noi!
Ma i gufi non possono sopportarlo. L’umanità doveva continuare ancora per lungo tempo ad ansimare nella schiavitù dello parabole. Ci eravamo già spinti così avanti da non sentire più nessuna eccitazione provenire dai romanzi a tesi, così avanti che davanti a una favola non ci si apriva più il cuore, come nei trogloditi, ma ci si stringeva. Ci rallegravamo di non doverci inventare eroi, diavoli e religioni, al pari degli assirobabilonesi. E io dicevo: guardate, la terza legge di Keplero è molto più affascinante di tutti gli episodi di Star Wars e un manuale di geografia delle medie è più bello del mito della dieta mediterranea....
Eppure i gufi ascoltavano queste cose con dispetto e il Ministero dell’Istruzione, che ha il compito primo di frenare il progresso culturale, fece suo il problema della ripresa e dello sviluppo delle storie. Esso costringe ogni uomo civile fino a vent’anni a studiare per anni leggende, favole e morali. Perché in fondo è pur vero che ogni Stato parte dal presupposto che un popolo dal basso livello civile è tanto più facile da governare. Così si introdusse nelle Indicazioni Nazionali l'insegnamento dello Storytelling.
Io vedo in ciò un regresso. Per me non ha valore l’obiezione secondo cui le storielle possono aumentare la gioia di vivere in un uomo colto, per me non ha valore l’obiezione che si ammanta nella frase: « Però, se la storia è bella...! ». In me e in tutti gli uomini civili le storie non suscitano affatto una più grande gioia di vivere. Se io voglio mangiarmi una pizza, sceglierò un locale pulito e onesto e non uno di quei posti in cui ti raccontano che il pane è lavorato con farina macinata a pietra di grani antichi redivivi coltivati da sumeri in campi concimati a mano. L’uomo del quindicesimo secolo non mi capirà. Ma tutti gli uomini moderni mi capiscono benissimo. Il difensore delle storie crede che equivalga ad una mortificazione. No no, illustrissimo professore di Storytelling, io non mi mortifico affatto! È che a me piace di più così. Pensate ai cuochi-intellettuali che servono assieme ai loro piatti le epiche degli ingredienti, per farli apparire più appetitosi. Ma è possibile concepire una perversione peggiore?! Siete ritardatari del ventesimo secolo, che inorridite davanti a un vaccino perché avete la testa piena dei mitologici rimedi della nonna. Pagate oro acqua zuccherata almanaccando tanto su diluizioni quanto su dinamizzazioni, che ne muore un chimico di crepacuore ogni volta. State al mille e cento, siete dei pagani. Invasati di estasi paleolitica, idolatrate questo o quel prodotto, vi sentite originali acquistando le marche status symbol di una società esclusiva: una società esclusiva di massa! Comprate i distintivi della vostra tribù di Neanderthal: moto scoppiettanti, cappotti gonfi, scarpe ortopediche, telefonini di lusso rubati... E i produttori che se la ridono! Ma se questo bastasse a rendervi felici… E invece vi intristite di rate da pagare e di debiti! Intere nazioni ne soffrono… Ma voi dite: qualità! Qualità! io dico: storie! Storie! Al ristorante stellato, comprate storie! Dall’omeopata, comprate storie! All’outlet, comprate storie!
Io compro libri.