Il trailer inizia seguendo le regole del trailer classico anni 60: le immagini dei passaggi tematici e il primo piano sull’attore, imposto come divo, sono le marche di qualità. l titoli, che sostituiscono la voce off, si rivolgono a uno spettatore esigente dotato di competenze cinematografiche (atteso da tutti 25 anni).
Siamo calati nel mondo barocco di Cervantes, ma sulla scena iconica dei mulini a vento il trailer si interrompe (rumore stereotipato della pellicola che si inceppa, un cliché postmoderno quasi incomprensibile ai non competenti). Il film sul Chisciotte si scopre mise en abyme: un film su un film sul Chisciotte. Segue il primo piano del regista, il protagonista, e i titoli con il nome di Terry Gilliam. Per chi lo conosce non occorre aggiungere altro.
Il trailer prosegue con carattere oggettivo presentando estratti di dialogo, scene rimontare che costruiscono un metatesto. Ci si rivolge a uno spettatore in grado di cogliere le strategie metadiscorsive alla base delle scelte:
“l’ho scritto io” “posso leggerlo” “pensa di essere il Chischotte” “Questa è follia” “è un santo! è un pazzo” “io sono don Chisciotte” giocano sull’isotopia del film, costruita sulle dicotomie vero/finzione non vero/non finzione del quadrato di Greimas.
Nel film infatti il protagonista è un regista (vero) che ha girato anni prima un film sul Chischiotte (falso). Tuttavia i personaggi sono rimasti in vario modo sconvolti dal film, non riuscendo mai davvero ad uscirne (non vero): il vecchio pensa di essere Chischiotte, la ragazza è rimasta invischiata nel sogno di diventare una diva. Queste illusioni si ripercuotono però sulla realtà loro e del regista (non falso!).
La sintesi mirata è volta quindi a sottolineare il gioco di specchi tra realtà e finzione del film. Soffermandoci su questa riflessione, si può già immaginare che il discorso venga portato sul cinema stesso. Il cinema è una realtà (vero) basata sull’illusione (falso), ma essa affascina con le sue promesse (non vero) non solo lo spettatore, ma anche chi ci lavora, imbrigliandoli in un’unica illusione (non falso).
Il film a sua volta è un’ottima traduzione intersemiotica del celebre capolavoro di Cervantes, costruito sul crollo dell’illusione letteraria, del patto narrativo infranto da un lettore che non sa più distinguere la realtà dalla finzione. E il lettore si domanda se questa distinzione abbia senso. Anche lo spettatore del film di Gilliam si domanda se questa distinzione abbia senso.
Il migliore complimento che si possa fare al film è quello (mi sembra di poter affermare) di aver aggiunto un nuovo capitolo al mito di Don Chisciotte signore della Mancia.
***Spoiler Alert!***
In questo senso il trailer è anche ingannatore: il regista avrà pure ucciso l’uomo che credeva di essere il don Chisciotte, ma non don Chisciotte: il signore della Mancia non morirà mai!
***fine Spoiler***