LA CASA DEI DOGANIERI:
La casa dei doganieri è un componimento di Eugenio Montale che si trova nella raccolta Occasioni, dove confluiscono poemi scritti tra il 1928 ed il 1939.
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
PROUST IL TEMPO RITROVATO
Si può dire che non ci fosse, se cercavo di non usarle in modo inconsapevole ma di ricordare ciò che erano state, una sola delle cose che ci servivano in quel momento che non fosse stata una cosa viva, e viva d’una vita personale per noi, trasformata poi a nostro uso in semplice materia industriale. La mia presentazione a Mademoiselle de Saint-Loup sarebbe avvenuta in casa di Madame Verdurin: con quale rapimento ripensavo a tutti i miei viaggi in compagnia di quell’Albertine di cui avrei chiesto a Mademoiselle de Saint-Loup d’essere un succedaneo – nel piccolo tram, in direzione di Doville, per andare da Madame Verdurin, la stessa Madame Verdurin che aveva annodato e spezzato, prima del mio amore per Albertine, quello del nonno e della nonna di Mademoiselle de Saint-Loup! Tutt’intorno a noi stavano i quadri di quell’Elstir che mi aveva presentato ad Albertine. E per meglio fondere tutti i miei passati, Madame Verdurin, proprio come Gilberte, aveva sposato un Guermantes.
Non potremmo raccontare i nostri rapporti con un essere, anche se lo abbiamo conosciuto appena, senza evocare in successione tutti i diversi luoghi della nostra vita. Così ciascun individuo – e io stesso ero uno di questi individui – misurava per me la durata con la rivoluzione da lui compiuta non solo attorno a se stesso, ma attorno agli altri, e in particolare con le posizioni occupate via via rispetto a me. E tutti questi piani diversi secondo i quali il Tempo – da quando, in questa festa, lo avevo riafferrato – disponeva la mia vita, facendomi pensare che in un libro destinato a raccontarne una si sarebbe dovuto usare, in contrasto con la psicologia piana di cui si fa solitamente uso, una sorta di psicologia nello spazio, aggiungevano senza dubbio una bellezza nuova alle resurrezioni operate dalla mia memoria mentre meditavo in solitudine nella biblioteca, giacché la memoria, introducendo il passato nel presente senza modificarlo, tale quale era nel momento in cui era il presente, sopprime appunto quella grande dimensione del Tempo che la vita segue nel realizzarsi.
Vidi tornare Gilberte. Rimasi sbalordito – io per cui erano di ieri il matrimonio di Saint-Loup, i pensieri che mi occupavano allora e che erano gli stessi di stamane – vedendo al suo fianco una fanciulla di circa sedici anni, la cui alta statura misurava la distanza che non avevo voluto vedere. Il tempo incolore e inafferrabile si era, perché io potessi per così dire vederlo e toccarlo, materializzato in lei, l’aveva plasmata come un capolavoro, mentre su di me, parallelamente, non aveva fatto, ahimè, che il suo lavoro. Intanto, Mademoiselle de Saint-Loup era davanti a me. Aveva gli occhi profondamente incavati e penetranti, e anche il naso incantevole, leggermente prominente a forma di becco e ricurvo, forse non era come quello di Swann, ma come quello di Saint-Loup. L’anima di quel Guermantes era svanita; ma l’incantevole testa dagli occhi penetranti dell’uccello fuggito era venuta a posarsi sulle spalle di Mademoiselle de Saint-Loup, e questo faceva lungamente fantasticare chi aveva conosciuto suo padre.
Mi colpì che il suo naso, quasi ricalcato su quello di sua madre e di sua nonna, fosse rifinito a perfezione da quella linea affatto orizzontale sotto il naso, sublime benché non sufficientemente breve. Un tratto così particolare avrebbe reso riconoscibile fra migliaia una statua quand’anche non si fosse visto che quello, e ammiravo come la natura fosse intervenuta ancora al momento giusto – per la nipote come per la madre, come per la nonna – a dare, da grande e originale scultore, quel potente e decisivo colpo di scalpello. La trovavo molto bella: piena ancora di speranze, ridente, formata dagli stessi anni che io avevo perduti, assomigliava alla mia giovinezza.
Quell’idea del Tempo aveva infine per me un ultimo pregio, era un pungolo, mi diceva che era tempo di cominciare se volevo giungere a ciò che avevo qualche volta sentito nel corso della mia vita, a brevi lampi, dalla parte di Guermantes, nelle mie passeggiate in carrozza con Madame de Villeparisis, e che mi aveva fatto considerare la vita come degna d’essere vissuta. Quanto più mi sembrava tale ora, ora che mi sembrava possibile, lei che viene vissuta nelle tenebre, chiarirla, riportarla, lei che falsiamo senza sosta, al vero di se stessa, insomma realizzarla in un libro!