Eliot Montale Tarkovskij e il correlativo oggettivo

T S ELIOT

Thomas Stearns Eliot nel 1919 usò per la prima volta l’espressione correlativo oggettivo per spiegare la sua poesia. La poesia non deve esprimere emozioni, ma trovare oggetti o situazioni capaci di evocarle:

L'unico modo per esprimere un'emozione in forma d'arte consiste nel trovare un “correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie d'oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiranno la formula di quella particolare emozione, cosicché, quando siano dati i fatti esterni, che devono concludersi in un'esperienza sensibile, l'emozione ne risulti immediatamente evocata.

EUGENIO MONTALE

Montale conosceva Eliot (aveva tradotto A Song for Simeon (Canto di Simeone); nell'Intervista immaginaria del 1946 così esprime il correlativo oggettivo:

Mutato ambiente e vita, fatti alcuni viaggi all'estero, non osai mai rileggermi seriamente e sentii il bisogno di andare più a fondo... Non pensai a una lirica pura nel senso ch'essa poi ebbe anche da noi, a un giuoco di suggestioni sonore; ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l'occasione e l'opera – oggetto bisognava esprimere l'oggetto e tacere l'occasione- spinta. Un modo nuovo … di immergere il lettore in medias res, un totale assorbimento delle intenzioni nei risultati oggettivi.

ANDREJ TARKOVSKIJ

Ho sempre trovato le definizioni di correlativo oggettivo difficili e oscure, ma un’opinione di Andrej Tarkovskij mi sembra poter chiarire al meglio il concetto chiave.

ho notato che quando affermo che nei miei film non ci sono simboli e metafore ogni volta il pubblico esprime la sua decisa incredulità. Di continuo mi domandano con grande passione cosa significhi, ad esempio, nei miei film la pioggia. Perché essa ricorre in ogni film, perché si ripetono le immagini del vento, del fuoco, dell’acqua? Io rimango imbarazzato davanti a tali domande...

Si potrebbe dire che le piogge sono una caratteristica della natura in mezzo alla quale sono cresciuto: in Russia vi sono piogge lunghe, malinconiche, incessanti. Si potrebbe dire che io amo la natura: non mi piacciono le grandi città e mi sento benissimo lontano da tutte le novità della civiltà moderna, come mi sentivo meravigliosamente in Russia nella mia casa di campagna, lontana tremila chilometri da Mosca. La pioggia, il fuoco, l’acqua, la neve, la rugiada, la tormenta, sono parte dell’ambiente materiale nel quale viviamo, sono la verità della vita, se volete. Perciò mi sembra strano che la gente, quando vede la natura riprodotta con commozione sullo schermo, non si limiti a goderne, ma ricerchi in essa chissà quale significato nascosto. È possibile considerare la pioggia soltanto come cattivo tempo, mentre io utilizzo la pioggia per creare un’atmosfera esteticamente elaborata nella quale viene immersa l’azione del film. Tuttavia ciò non significa assolutamente che la natura nei miei film sia chiamata a simboleggiare qualcosa, Dio ne scampi! Nel cinema commerciale, per esempio, sovente è come se la meteorologia non esistesse affatto e se sussistessero sempre le condizioni di luce più favorevoli per condurre rapidamente le riprese in esterno[…]. Quando invece lo schermo avvicina il mondo, il mondo reale, allo spettatore dandogli la possibilità di vederlo pienamente in tutto il suo spessore, facendogliene sentire, come si suol dire, l’odore, facendogliene avvertire quasi con la sua pelle l’umidità o l’aridità, lo spettatore, a quanto pare, ha a tal punto perduto la sua capacità di abbandonarsi semplicemente alle sue impressioni estetiche immediate che subito si riprende e si controlla chiedendosi: “A che scopo? Per quale motivo? Perché?” Ma semplicemente perché io voglio ricreare sullo schermo il mio mondo, nella sua forma ideale più perfetta, quale io lo percepisco e lo sento.

Io non nascondo allo spettatore nessuna mia particolare intenzione, non civetto con lui: io ricreo questo mondo nei tratti che mi paiono più espressivi ed esatti e che secondo me esprimono lo sfuggente

L' Intervista immaginaria da Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976 vedi: http://www.classicitaliani.it/novecent/Montale_Interviste.pdf

Andrej Tarkovskij Scolpire il tempo.