Neruda

SOPRA UN EPISODIO NARRATO DA NERUDA

Il fatto descritto ebbe luogo quando Neruda era console del Cile in Sri Lanka (Ceylon):

Il mio solitario e isolato bungalow era quanto di più lontano si possa immaginare dalle comodità e dagli agi della civiltà. Quando lo presi in affitto cercai di sapere dove fosse il gabinetto che non si vedeva da nessuna parte. E infatti era molto lontano dalla stanza da bagno; verso il retro della casa.

Lo esaminai con curiosità. Era una cassa di legno con un buco al centro, molto simile all’aggeggio che conobbi nella mia infanzia contadina, nel mio paese. Ma i nostri erano posti su un pozzo profondo o su una corrente d’acqua. Qui il deposito era un semplice cubo di metallo sotto il buco rotondo.

Il cubo ogni giorno, di buon mattino, riappariva pulito senza che riuscissi a capire come sparisse il suo contenuto. Una mattina mi ero alzato più presto del solito. Rimasi sbalordito vedendo cosa stava succedendo.

Dal retro della casa, come una statua scura che camminasse, entrò la donna più bella che avessi fino a quel momento visto in Ceylon, di razza tamil, della casta dei paria. Era vestita di un sari rosso e dorato, della tela più ruvida e grossolana. Alle caviglie, sui piedi scalzi, portava pesanti braccialetti. Ai lati del naso le brillavano due puntini rossi. Saranno stati fondi di bicchiere, ma su di lei parevano rubini.

Si diresse con passo solenne verso il gabinetto, senza neppure guardarmi, senza curarsi della mia esistenza, e scomparve col sordido recipiente sulla testa, allontanandosi col suo passo da dea. Era così bella che malgrado il suo umile lavoro mi lasciò turbato. Come se si trattasse di un animale scontroso, venuto dalla giungla, apparteneva a un’altra vita, a un mondo separato. La chiamai senza risultato. Poi qualche volta, sulla sua strada, le lasciai qualche regalo, seta o frutta. La donna passava senza sentire né guardare. Quel tragitto miserabile era stato trasformato dalla sua oscura bellezza nella cerimonia obbligatoria di una regina indifferente.

Un mattino, deciso a tutto, la afferrai per un polso e la guardai faccia a faccia. Non c’era nessuna lingua in cui potessi parlarle. Si lasciò guidare da me senza un sorriso e a un tratto fu nuda sul mio letto. La sottilissima vita, i fianchi pieni, la traboccante coppa del seno, la rendevano identica alle millenarie sculture del sud dell’India. Fu l’incontro di un uomo e di una statua. Rimase tutto il tempo con gli occhi aperti, impassibile. Faceva bene a disprezzarmi. L’esperienza non venne più ripetuta.


Il buon Neruda racconta senza vergogna di essersi approfittato di una ragazzina che viveva in squallidi slums senza fogna, costretta a rovesciare i secchi di merda dello stesso poeta in squallide latrine. Mentre la ragazza era impegnata in queste imprese, Neruda la trascina nella sua stanza, il grande premio nobel dell’Amore, e se la chiava senza cerimonie.

La passività della vittima di uno stupro viene mistificata in indifferenza. La divinità esotica è trattata esattamente come la merda del divino poeta.


Da Zizek