Difficoltà in matematica

Cosa è che rende così difficile per alcuni studenti capire la matematica? Com'è possibile che qualcuno non capisca una dimostrazione di evidenza cristallina?

Importanti progressi nelle neuroscienze, stanno gettando una nuova luce sull'argomento, cambiando radicalmente il quadro teorico di riferimento.

La prima costatazione è che, contrariamente alla teoria di Piaget, il pensiero logico-formale di tipo aristotelico e il ragionamento ipotetico-deduttivo, non sono affatto il modo in cui si esprime il pensiero dell'individuo adulto.

Il primo ostacolo all’apprendimento della matematica è proprio il divario tra la logica naturale, l'unica che viene appresa nella vita quotidiana, e la logica formale aristotelica. La seconda va allenata, e questo processo avviane contro la logica di tipo naturale. Ad esempio, nel pensiero naturale difficilmente si procede per falsificazione; l'uomo, per verificare una proposizione, tende a provarla in una serie di casi e difficilmente cerca un controesempio.

L'insegnante deve essere consapevole che lo studio della matematica impone una disciplina al pensiero, costringendolo entro schemi formali e forzandolo ad andare contro un'elaborazione di tipo naturale.

La conoscenza dei meccanismi mentali coinvolti nell’apprendimento e delle difficoltà di tipo cognitivo che gli studenti incontrano può essere utile all’insegnante per impostare la propria azione didattica in modo più flessibile ed efficace.

Le moderne teorie cognitive, indicano che il pensiero si manifesta attraverso una “pluralità”, che parte dal pensiero sensoriale per arrivare a quello astratto in un intricato schema di relazioni che dipendono molto dal vissuto personale. Ognuno di questi piani è coinvolto nell’apprendimento della matematica. Per questo motivo, l'insegnante deve comunicare in modo da stimolare il pensiero nel suo complesso, e non riferendosi solo alle più alte sfere del pensiero astratto.

In particolare, la percezione stessa non va vista, a livello cerebrale, come una riproduzione passiva degli stimoli sensoriali, ma come un atto complesso e strutturato che coinvolge attività di pensiero legate alla sfera della comprensione. Gli studi di Freeman e Zeki hanno evidenziato che gli stimoli sensoriali sono parte di un processo complesso e che la percezione si lega ad un’assegnazione di forme e significati che sono unici per ogni individuo.

Studi neurologici sul sistema visivo cerebrale hanno mostrato come l’integrazione dell’informazione visiva sia un processo in cui la percezione e la comprensione dell’immagine avvengono simultaneamente. In altre parole, vedere è già in qualche modo un capire, cioè integrare e organizzare quanto elaborato nelle diverse aree della corteccia visiva.

Percezione e comprensione non possono quindi essere separate e si può in qualche modo affermare che “percepire è già pensare”. Ad esempio, è stato mostrato come guardando un'immagine relativa ad un problema di geometria, l’attività organizzativa della percezione visiva può realizzarsi sia nella capacità di evidenziare alcune strutture, che saranno poi utili per giungere alla soluzione, sia nel mascherarne altre, rendendo invece più difficile il processo risolutivo.

Allora, per superare la fissità funzionale (ovvero la difficoltà di assegnare ad un oggetto una funzione diversa da quella che lo definisce) degli elementi di un problema geometrico, bisogna innanzitutto “percepirli in modo corretto”. Solo a questo punto è possibile agire attraverso una ristrutturazione funzionale (superamento dei ruoli originari degli oggetti) per arrivare alla soluzione.

Nel programmare l'azione didattica, è anche importante rendersi conto di come funzioni la memoria. La storia evolutiva dell'uomo, è riflessa nelle caratteristiche strutturali del cervello, formato da strutture più arcaiche (legate alla sopravvivenza e alle funzioni più primitive) e da elementi più evoluti (legati ad interpretazioni e ragionamenti). Nel sistema limbico, il compito di immagazzinare i ricordi è affidato a due strutture: l’amigdala e l’ippocampo. L’amigdala è l'archivio della memoria emozionale, mentre l’ippocampo ha la funzione di contestualizzare i ricordi.

Ogni evento è elaborato su diversi piani (visivo, linguistico, emotivo, razionale, etc), cosicché nei processi di memorizzazione sono coinvolte diverse aree cerebrali. Più sono le aree coinvolte, meglio un evento si imprime nella memoria. Per diminuire le possibilità di dimenticare un evento, il cervello tenta di collegarlo con altri eventi già memorizzati, di “ancorarlo” ad essi. Se un evento memorizzato non è collegato ad altri eventi, sarà poi difficile per il cervello ritrovarlo nella memoria. E' quindi necessario che il cervello costruisca delle “ancore” per poter richiamare alla mente le informazioni memorizzate e risulta indubbiamente più facile costruirle quando un evento ha molti collegamenti con il vissuto della persona.

Una difficoltà specifica nell'apprendimento della matematica sta proprio nel legare i nuovi concetti appresi con la propria esperienza quotidiana ed il proprio vissuto per creare queste ancore.

Dal punto di vista didattico, è importante valutare anche durata e capacità della memoria. Il modello connessionista, proposto negli anni '40 dal neurofisiologo D. O. Hebb e confermato oggi dall'approccio neurologico, ipotizza un funzionamento a “doppia traccia” della memoria: una memoria “a breve termine” è responsabile della registrazione e una memoria “a lungo termine” è dedicata alla codifica delle informazioni in forma stabile e duratura. L’attivazione simultanea e ripetuta di due gruppi di cellule nervose produce una modificazione permanente in termini di rafforzamento delle connessioni sinaptiche.

Le varie aree del cervello (organizzate secondo una gerarchia funzionale che va dal sensorialmente concreto al concettualmente generale) elaborano i dati concatenandosi a partire dalle cortecce primarie (quelle sensoriali) per arrivare alle cortecce associative, dove vengono integrate le elaborazioni più "alte". Siccome le medesime aree corticali servono tanto per immagazzinare dati percettivi quanto per elaborare informazioni sensoriali, esiste una stretta relazione tra percezione e memoria: ricordiamo ciò che percepiamo e percepiamo ciò che ricordiamo.

Come mostrato da Miller, una delle caratteristiche principali della memoria a breve termine è la sua capacità limitata, circa sette unità di informazione. Il ruolo di questa memoria di lavoro è quello di collegare l’informazione presente con quella immagazzinata nella memoria a lungo termine.

La veloce saturazione di questa memoria di lavoro è uno dei problemi didattici principali. Sviluppare un ragionamento con concatenazioni troppo lunghe o richiamare dalla memoria a lungo termine troppi elementi, per interpretare o per risolvere un problema, può facilmente saturare la memoria a breve termine, conducendo alla perdita di concentrazione e facendo insorgere errori o incomprensioni nei processi di ragionamento.

Per aggirare questo limite, ad esempio per memorizzare un numero telefonico, ricorriamo a quelli che Miller chiama “chunks”: blocchi di informazione in cui sono codificate molte unità elementari. Per far questo, ricorriamo a conoscenze o associazioni già apprese. Il pensiero deve tuttavia essere addestrato a strategie mnemoniche di questo tipo, che consentano di ritenere nella memoria di lavoro molte informazioni (in forma verbale e di immagine) per essere poi in grado di elaborarle. Lo studio di discipline come la matematica e le lettere classiche, che impongono continui esercizi di decodifica, risulta estremamente utile per addestrare la capacità di codifica delle informazioni in chunk sempre più complessi.

Un tipo di chunk estremamente efficace è rappresentato dalle immagini. Anche le emozioni (positive o negative) condizionano il processo di memorizzazione: quanto più è forte l’emozione associata all’immagine e quanto più ci è “vicina” quell’immagine, tanto più è saldo il ricordo delle informazioni in essa codificate.

Uno dei ruoli dell'insegnante è quello di addestrare gli studenti ad assemblare i chunks per interpretare i problemi, in particolare i testi. In matematica si usano spesso periodi lunghi, pieni di elementi formali, astratti e decontestualizzati, di costruzioni sintattiche circolari, che contribuiscono a confondere i ragazzi che perdono di vista l’obiettivo finale. Molti studenti, nella risoluzione di un problema, sbagliano o si bloccano già alla lettura del testo. È un circolo vizioso, perché una mancata comprensione ostacola la formazione di chunks e quindi limita la capacità della memoria di lavoro. L'insegnante deve indicare come, partendo dalle immagini più semplici (cioè dalle percezioni più immediate), i dati possano essere organizzati in moduli sempre più grandi al fine di arrivare alla comprensione del problema e di operare su di esso.

Nell'organizzare una spiegazione è utile tenere conto di questi elementi, cercando di assecondare il funzionamento della mente, in modo da favorire la comprensione e facilitare il ricordo. Un esempio efficace è il confronto tra la dimostrazione del teorema di Euclide come riportata sugli “elementi” e quella proposta da Mosconi, in cui il discorso è organizzato in modo da mantenere l'attenzione sugli oggetti focali della dimostrazione.