(in costruzione)
Insegnare la Fisica nella scuola superiore è difficile e stimolante. Il percorso, il linguaggio da usare, la struttura logica del corso; niente è scontato. Un vero rompicapo didattico.
Noi insegnanti siamo costretti ad acrobazie ed equilibrismi per portare la materia ad un livello e ad un linguaggio adatto agli studenti, e colmare in qualche modo i tre secoli abbondanti di storia che scavano il solco tra il linguaggio matematico della fisica moderna e le conoscenze dei nostri allievi. I risultati sono spesso inferiori agli sforzi, insoddisfacenti per l'uno o per l'altro verso.
Lo studente da parte sua si ritrova ad inseguirci con i piedi incatenati e gli occhi bendati.
I piedi incatenati perché non è ancora padrone del linguaggio matematico, e non può cogliere interamente il significato di alcune delle equazioni cardinali della Fisica.
Gli occhi bendati perché non percepisce correttamente il percorso logico che porta il fisico dall'esperimento alla teoria.
Il punto è che la Fisica è per sua natura una scienza sperimentale, ma è ad uno stadio di assiomatizzazione così avanzato che il percorso da esperienza a modellizzazione è nascosto.
La scelta del percorso didattico si muove tra due estremi: una strada “assiomatica” che introduce prima le leggi e poi le discute; e una strada “sperimentale”, che propone prima gli esperimenti e introduce e leggi a posteriori. Spesso, la prima opzione corrisponde alla riproposizione del percorso universitario con un linguaggio semplificato e non di rado, i testi che seguono questo secondo approccio propongono esperimenti virtuali o concettuali.
Sia che si proceda dall'assioma alla verifica, sia che si proceda dall'osservazione alla legge, il percorso logico del metodo sperimentale non viene di norma proposto come schema didattico (e nelle poche eccezioni, è la costruzione del quadro teorico a venire sacrificata).
È un peccato, perché se esiste un argomento che può essere trasmesso senza storture fin dalla scuola media, questo è proprio il metodo sperimentale. Non si tratta di spiegare a parole cosa sia il metodo sperimentale, né di addentrarsi in ardite disquisizioni epistemologiche, ma di proporlo sistematicamente nella pratica, per arrivare alle leggi della fisica in modo trasparente.
È un percorso ridondante e time-consuming ma che, proprio per la sua ridondanza, permette agli studenti di raggiungere una padronanza della materia difficilmente ottenibile altrimenti. Lascia inoltre all'insegnante una libertà di manovra estrema, permettendogli di scegliere quali tasti andare a toccare in quale fase del lavoro.
Ma non è solo l'efficacia didattica a giovarsi di questo approccio. In un percorso di questo tipo si riescono a toccare due nodi di importanza cruciale. Il primo è quello di utilizzare la Fisica come contesto per lo sviluppo del linguaggio matematico, il secondo è quello di sviluppare le competenze di modellizzazione.
Nell'uno e nell'altro caso, possiamo avvalerci oggi di ausili informatici che fino a ieri erano preclusi: fogli di calcolo, ambienti di geometria dinamica e linguaggi di programmazione, forniscono strumenti di modellizzazione nuovi, e possono essere utilmente utilizzati come linguaggi matematici a tutti gli effetti, permettendo di aggirare gli ostacoli nell'utilizzo prematuro del linguaggio analitico.
L'altra faccia della medaglia è che bisogna probabilmente limitare i contenuti ad un nucleo fondamentale, rinunciando a dare una panoramica troppo completa della Fisica come materia. Questa è, a mio modo di vedere, una scelta dettata in gran parte dal contesto scolastico in cui ci si trova ad operare. Non è detto che una buona infarinatura non sia preferibile ad una profonda ma limitata competenza.
In molti casi tuttavia, l'impostazione metodologica di questo manuale può risultare vincente, perché permette di approfondire meglio i nodi cruciali della Fisica, aiuta a rafforzare l'insegnamento della Matematica ed evita carichi di nozioni troppo elevati.
Questo manuale si fonda dunque su una scelta didattica molto precisa e molto ambiziosa: sacrificare la parte contenutistica del corso per sviluppare un percorso sperimentale che porti gli studenti a “scoprire” le leggi della meccanica Newtoniana.
Quando ho provato a seguire questa linea in classe, mi sono trovato, per così dire, allo scoperto: quasi tutti i manuali scolastici su cui sono riuscito a mettere le mani, italiani quanto stranieri, puntano a dare la panoramica più completa possibile dei fenomeni fisici che ci circondano, e quando mettono al centro il laboratorio, lo utilizzano semplicemente come strumento didattico, senza grande attenzione epistemologica.
Non che l'idea di basare l'insegnamento della fisica sull'esperienza in laboratorio sia nuova. La scuola anglosassone ad esempio, ha una radicata tradizione di “inquiry teaching”, che però non ha nulla a che vedere con il metodo sperimentale. Neanche l'idea di proporre gli esperimenti come tentativi di falsificazione di congetture proposte dagli studenti è del tutto originale. Ma in questi rari tentativi, si è spesso finito per trascurare la parte di modellizzazione. Soprattutto, ho sentito la mancanza di un percorso organico che conducesse alle leggi della fisica senza salti concettuali.
Dovendo progettare il corso, sono partito dalla raccomandazione, contenuta nelle Indicazioni Nazionali, di porre l'attenzione prima al metodo che ai contenuti. L'idea di basare il cammino sul laboratorio è venuta di conseguenza, dettata dalle specificità dalla materia.
Proprio questa impostazione “hands-on”, come direbbero gli anglofoni, con le sue ricadute didattiche, è il motivo di maggior interesse del percorso, ed è la ragione che mi ha spinto a pubblicare queste note.
Il laboratorio è infatti un formidabile strumento didattico, perché permette di vedere, toccare con mano e misurare, coinvolgere il pensiero su ogni piano, da quello puramente sensoriale a quello più astratto.
Partite dall'insegnamento delle scienze, queste considerazioni hanno da alcuni anni iniziato ad essere trasportate all'insegnamento della matematica, con ottimi risultati, generando un grande movimento di rinnovamento.
È in questo ambito che si è capito come l'esperienza manuale può essere sfruttata per arrivare all'astrazione del linguaggio matematico e al ragionamento ipotetico-deduttivo.
Curiosamente, la stessa strada non sembra essere stata imboccata nell'insegnamento della fisica, dove la conferma sperimentale della legge recepita per "principio di autorità", dal libro o dall'insegnante, monopolizza ancora l'attività sperimentale a scuola.
Qui, ho cercato di muovermi in maniera sostanzialmente differente: lo schema logico che ho seguito consiste nella verifica di congetture piuttosto che di leggi fisiche. In altre parole, l'attività sperimentale non consiste nella verifica di leggi piovute dall'alto, ma si articola sistematicamente attraverso osservazione, formulazione di congetture, costruzione di modelli e loro verifica.
Il percorso proposto è relativamente monodimensionale, e quasi tutte le fasi sono propedeutiche allo sviluppo del corso. Per seguire questa linea, le congetture vengono in qualche modo suggerite proponendo osservazioni attentamente mirate. È chiaro però che perché l'impostazione didattica abbia successo, l'insegnante deve sempre preferire le congetture nate dagli studenti a quelle suggerite dal libro, a costo di deviare leggermente.
Lo schema logico è reso il più possibile esplicito, etichettando le attività come osservazione (cioè attività di misura senza una tesi precostituita), modello (costruzione di modelli ispirati dalle osservazioni), esperimento (cioè la verifica sperimentale di una congettura o di una legge), nel modello (cioè sviluppo dei concetti e del linguaggio all'interno dei modelli).
La scoperta graduale delle leggi del mondo fisico, e la necessità di costruire modelli via via più complessi, fornisce contesto e motivazione allo sviluppo, in parallelo, del linguaggio matematico.
Questo è mantenuto ad un livello accessibile ad un primo anno della scuola superiore. Non viene quindi utilizzato il linguaggio analitico e anche il ricorso al linguaggio algebrico è ridotto al minimo. Il linguaggio principale è invece quello dei diagrammi cartesiani. Vengono introdotti molti strumenti di geometria analitica, ma più come tramite tra il linguaggio geometrico e quello algebrico che non viceversa. Anche gli strumenti di calcolo elettronico (in particolare GeoGebra e Scratch), vengono utilizzati come strumenti di modellizzazione e diventano a tutti gli effetti linguaggi matematici di rappresentazione e di calcolo.
Per arrivare alla seconda legge di Newton, e ad integrarla numericamente, viene utilizzato un modello a tempo discreto, contesto nel quale il teorema fondamentale del calcolo non presenta difficoltà di interpretazione: la somma è l'operatore inverso della differenza.
Le ricadute sulla capacità di utilizzare il linguaggio matematico in contesti pratici, come quella di pensare per modelli, sono forse la parte più interessante dell'intero percorso. Gli studenti vengono stimolati a formulare congetture e a trasformare le congetture in modelli. La costruzione di simulazioni al computer viene presentata come la costruzione di un modello, o la sua traduzione in un linguaggio differente, e permette di mettere a fuoco la struttura assiomatica alla base della modellizzazione.
Nella scelta delle attività sperimentali ho proposto, di preferenza, esperimenti poveri, da realizzare in classe o nel laboratorio di informatica. In alcuni casi tuttavia gli esperimenti necessitano di attrezzature reperibili solo in un laboratorio di Fisica ben attrezzato. Per questi esperimenti ho previsto vie alternative attraverso materiale multimediale presente nel sito***.