Sulla non alternatività tra smartworking e ferie forzate al tempo del Covid-19.

Nel vigente scenario emergenziale, si parla molto, e si parlerà ancora a lungo, delle modalità con cui fronteggiare, sul posto di lavoro, il rischio di contagio da Covid-19.

Per il Governo, la modalità “principe” di arginamento del contagio è, per quelle prestazioni lavorative che devono necessariamente essere eseguite in sede, mantenere un distanziamento sociale non inferiore al metro, evitando riunioni in presenza ed assembramenti non necessari (cfr., in tal senso, il “Protocollo” sottoscritto tra Governo e Parti sociali in data 24 aprile 2020); e, per quelle prestazioni lavorative che possono essere eseguite anche non in sede, il ricorso alla modalità di c.d. “lavoro agile”, ossia allo smart working (cfr. artt. 18 e ss., legge n. 81/2017).

Con riguardo a tale ultima modalità, ci si interroga se essa sottenda una sorta di “diritto potestativo” del lavoratore cui, una volta manifestato il proprio interesse verso tale modalità di lavoro, corrisponda un vero e proprio obbligo del datore di lavoro di darvi seguito; soprattutto, ci si interroga se il datore di lavoro possa esercitare un “diritto assoluto” nel decidere a chi accordare lo smart working ed a chi, invece, no.

Orbene, in merito al primo quesito, la legge consente, senz’altro, di argomentare in ordine alla configurabilità di un “diritto allo smart working” soltanto laddove la richiesta provenga da un lavoratore disabile o che abbia “nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità”, nonché da lavoratori con ridotta capacità lavorativa (cfr. art. 39, commi 1 e 2, d.l. n. 18/2020, cui si aggiungono – stando alla legge di conversione – i “lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse”).

Ed invece, la legge tace del tutto in merito al secondo quesito. Sicché, come spesso accade in questi casi, “il silenzio della legge genera provvedimenti giudiziali”; tra questi, se ne annovera uno di particolare interesse, recentemente emesso dal Tribunale di Grosseto (23 aprile 2020).

Questa, in sintesi, la vicenda: un dipendente ricorreva d’urgenza dinnanzi al Giudice toscano, lamentando l’illegittimo diniego, da parte del proprio datore di lavoro, del richiesto regime di smart working che, invece, era stato concesso a tutti gli altri lavoratori impiegati nel medesimo reparto.

Precisamente, era accaduto che, quando la Società aveva proceduto all’elargizione dello smart working ai menzionati lavoratori, il dipendente de quo fosse assente dal lavoro causa malattia. Da qui, secondo la prospettazione della Società, l’impossibilità di adibire ex post il ricorrente al medesimo regime di smart working, se non modificando l’organigramma del personale operante da remoto ed affrontando “costi significativi in termini economici ed organizzativi in generale”.

Per tale motivo, la Società metteva il dipendente di fronte alla sola alternativa tra l’essere collocato in ferie forzate “anticipate”, ossia da computarsi su un monte ore non ancora maturato (essendo, infatti, esaurite sia quelle già maturate, sia quelle in corso di maturazione), ovvero di essere collocato in aspettativa non retribuita.

L’impossibilità aziendale non ha, però, convinto il giudicante che, dopo aver premesso come – nella decretazione d’emergenza – lo smart working sia divenuto una “priorità”, ha rilevato che la raccomandazione di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie è sì perseguibile da qualunque datore di lavoro privato, ma condizionatamente alla verifica della possibilità di accordare, previamente ed in via preferenziale, la modalità di lavoro agile.

Tanto si evincerebbe dall’elenco delle misure emanate dal Governo con il D.P.C.M. 10 aprile 2020, al cui art. 1, lett. hh), è raccomandata la promozione dei periodi di congedo ordinario e di ferie “fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente” che contempla, per l’appunto, la concessione dello smart working; misure, queste, che sono state riproposte, nei medesimi termini, anche nel recentissimo D.P.C.M. 26 aprile 2020.

Sicché, secondo l’interpretazione già illustrata nelle FAQ dello Studio (reperibili qui) e pienamente confermata dal Tribunale di Grosseto, si potrebbe dire che il Governo abbia delineato una “scaletta” di provvedimenti che tutti i datori di lavoro debbono adottare e che, pur non integrando una norma giuridica cogente, fornisce, nondimeno, una bussola cui uniformare gli operati aziendali. Diversamente, la concessione delle ferie forzate ad una parte della popolazione di lavoratori e dello smart working ad altra parte – a parità di compatibilità tra le mansioni espletate da entrambe le parti ed il regime di lavoro agile – sarebbe alquanto arbitraria e, come tale, foriera di possibili discriminazioni.

Discriminazioni, queste, che il Giudice di Grosseto ha ritenuto di dover correggere non solo imponendo al datore di lavoro il facere consistente nella concessione della modalità di smart working, ma anche condannando il predetto datore di lavoro al pagamento di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’obbligo in questione (cfr. art. 614bis Cod. Proc. Civ.).

Un po’ severa come sanzione ma che, forse, serve un po’ a tutti a ricordare come, nel mutato contesto, lo smart working abbia dismesso la sua veste di “gentile concessione” per assumere quella di vera e propria misura di sicurezza sul lavoro annoverabile, non da ultimo, nell’appendice al “Documento di Valutazione dei Rischi” (DVR) secondo le disposizioni recentemente impartite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (cfr. Nota INL n. 89/2020).