Sui confini della responsabilità del committente ex art. 29 d.lgs. n. 276/2003

Con la sentenza n. 28517/2019, la Suprema Corte di Cassazione è ritornata sul tema “confini” della responsabilità del committente, sotto la “lente giuridica” dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003.

In quest’occasione, precisamente, i Giudici di legittimità hanno soffermato la loro attenzione sui trattamenti economici che, a tutti gli effetti, possono dirsi rientranti nel campo di applicazione dell’art. 29 ult. cit.

Il casus belli è rappresentato da una richiesta di risarcimento danni avanzata da una dipendente nei confronti sia del datore di lavoro-appaltatore, sia del committente, per ciò che la prima società, in costanza di appalto, aveva indebitamente ed unilateralmente ridotto l’orario di lavoro della ricorrente.

Onde la richiesta (risarcitoria) del differenziale retributivo cui la dipendente avrebbe avuto diritto se fosse stato rispettato l’orario di lavoro pattuito in sede di assunzione.

Tale tesi veniva condivisa dai Giudici di merito, i quali ritenevano che “il credito risarcitorio per illegittima unilaterale riduzione dell'orario lavorativo” sarebbe stato ricompreso “nella locuzione normativa 'trattamenti retributivi' … siccome integrante un trattamento economico riconosciuto alle lavoratrici”; onde l'azionabilità, in giudizio, dell’art. 29 ult. cit..

Diverso è stato, invece, l’approdo del Supremo Collegio che, dopo aver ricordato come l'art. 29 ult. cit. valorizzi la natura “strettamente retributiva degli emolumenti che il datore di lavoro risulti tenuto a corrispondere ai propri dipendenti, in quanto elementi integranti la retribuzione”, sanciva che “l'applicabilità del predetto regime di responsabilità” deve “essere esclusa per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno”.

Tra l’altro, ed è questo il punto più interessante della sentenza, la responsabilità in via solidale del committente avrebbe dovuto essere esclusa anche perché alle richieste creditorie azionate dalla lavoratrice non era sotteso lo svolgimento di alcuna prestazione lavorativa (invero, la lavoratrice si era doluta di non aver lavorato per il periodo di tempo oggetto di risarcimento); ond’è che difettava in radice il presupposto fattuale – id est: lo svolgimento di una prestazione lavorativa – utile ad invocare l’art. 29 ult. cit..

La pronuncia in commento ha il pregio di restringere ulteriormente il quadro delle pretese economiche che i lavoratori impiegati in regime di appalto possono rivendicare – anche – nei confronti del committente. Ad oggi, infatti, oltre al risarcimento del danno derivante dall’unilaterale riduzione della prestazione lavorativa, il committente non è più tenuto a liquidare né l’indennità sostitutiva di ferie e permessi (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 12 giugno 2019, n. 15756) né, salvo che in alcuni casi, l’indennità sostitutiva del preavviso (in particolare, Trib. Pavia, 30 ottobre 2018 pone l’indennità sostituiva del preavviso in capo al committente soltanto se il licenziamento derivi dalla disdetta del contratto di appalto).