Appunti intorno alle invenzioni del lavoratore ed all’equo premio.

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su una fattispecie alquanto ostica per gli addetti ai lavori, giacché scarsamente normata dal legislatore (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 20 gennaio 2020, n. 1111).

Trattasi della fattispecie costituita dalla remunerazione delle invenzioni realizzate dal lavoratore in costanza di rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, un lavoratore agiva in giudizio per rivendicare il “riconoscimento dell’equo premio di cui all’art. 23 comma 2 del RD 1127/1939” in relazione a “molteplici invenzioni oggetto di brevetto”.

In particolare, la citata norma di legge – nella sua versione applicabile ratione temporis, prima di essere abrogata nel 2005 – recita, al primo comma, che “quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore”; al secondo comma, la medesima norma recita che “se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di esserne riconosciuto autore, spetta un equo premio, per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza dell'invenzione” (v. ora art. 64 del “Codice della Proprietà Industriale”).

Orbene, i Giudici di merito avevano riconosciuto la fondatezza delle istanze del lavoratore e condannato la Società datrice di lavoro, in primo grado, al pagamento di oltre un milione di euro quale corrispettivo delle opere realizzate dal dipendente e, in secondo grado, al pagamento di un equo premio rimodulato in un ammontare di poco inferiore al mezzo milione di euro.

Il punctum dolens della vicenda, da cui sono scaturiti importi così rilevanti e su cui si è incentrata l’impugnazione della Società dinnanzi alla Cassazione, deriva dai parametri utilizzati dai Giudici del merito per siffatte quantificazioni e, segnatamente, dal parametro “dell’importanza dell’invenzione … con riguardo ai risultati economici conseguiti con l’invenzione e non in astratto con riguardo alle massime potenzialità di sfruttamento conseguibili”.

E, tuttavia, il Supremo Collegio riteneva che la Corte del merito avesse correttamente operato allorquando, nel perorare tale parametro, aveva nondimeno fatto ricorso ad una “valutazione equitativa” dell’equo premio in questione, rifuggendo da “una quantificazione parametrata sul solo valore commerciale dell’invenzione”; nel caso di specie, il contemperamento equitativo era costituito dal paragone delle invenzioni elaborate dal dipendente con quelle poi brevettate dal datore di lavoro, essendo impossibile una valutazione opera per opera “in ragione della complessità degli impianti realizzati”.

La materia in esame, come detto, è poco regolamentata dalla legge. Tuttavia, nulla vieta che il dipendente possa disporre del diritto all’equo premio, anche rinunziandovi, mediante sottoscrizione di c.d. atti di “Assignment of Invention” in favore del datore di lavoro; ciò sempreché l’atto in questione contenga una “rinuncia espressa e inequivoca al diritto all'equo premio” (cfr. Cass. 11305/2003) ed il dipendente riceva altra, idonea, remunerazione per il suo operato.

Diversamente, la brevettazione dell’invenzione da parte del datore di lavoro od il suo utilizzo da parte di quest'ultimo in regime di segretezza industriale (senza brevetto) non eviteranno il pagamento dell’equo premio in favore del dipendente-inventore (così, Trib. Milano, Sez. Spec. Impresa, sentenza n. 12048/2015).