Non sempre il dipendente può chiedere il pagamento degli incarichi “extra”

Spesso capita che le Società affidino ai propri dipendenti lo svolgimento di una o più prestazioni tipicamente di lavoro autonomo. Ciò che, verosimilmente, risponde all’esigenza di efficientare e ridurre i costi dei consulenti esterni, cercando al contempo di sfruttare le conoscenze ed i titoli posseduti dalla propria forza lavoro.

L’intento è nobile, ma la Corte di Appello di Palermo (sentenza n. 421/2020) ci ricorda, per dirla con un detto popolare, che “il risparmio non è mai guadagno” o, almeno, non sempre. Vi possono essere, infatti, dei casi in cui il dipendente incaricato di un “extra” chieda alla Società di ricevere un emolumento addizionale rispetto alla normale retribuzione, giacché destinato a coprire un’attività non rientrante tra le proprie mansioni.

Il caso specificamente esaminato dal Collegio palermitano può essere così riassunto: ad un dipendente di una nota azienda produttrice di vini siciliani venivano affidati, in ragione delle competenze e titolo di geometra, le attività di progettazione ed esecuzione “dei lavori … di riqualificazione e miglioramento delle cantine”. Attività, queste, per le quali il geometra-dipendente chiedeva di essere remunerato a parte.

A sostegno delle proprie pretese economiche, il dipendente deduceva di essersi adoperato – tra l’altro, anche – “per il rilascio del certificato di agibilità … per l’aggiornamento della planimetria da presentare all’Agenzia delle Dogane di Trapani, per l’autorizzazione igienico sanitaria, per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico, del certificato prevenzione incendi, del parere di conformità VV.FF. e per l’installazione del serbatoio di gasolio ad uso privato”.

Sennonché, il ricorrente nulla allegava in ordine alle modalità di conferimento degli incarichi rivendicati ed alla loro data di assegnazione, come anche in ordine alla figura che – materialmente – li avrebbe conferiti; tali informazioni non emergevano neppure dalle fatture che il geometra-dipendente aveva emesso di proprio pugno per giustificare il pagamento delle attività sopra elencate. A ciò si aggiunge, non da ultimo, il fatto che alcune delle attività dettagliate dal geometra-dipendente ben si sarebbero potute ascrivere alle sue mansioni di “Addetto ai Servizi Generali Tecnici e alla Gestione delle tematiche inerenti alla sicurezza e l’igiene nei luoghi di lavoro”, come tali già coperte (e remunerate) dal contratto di lavoro subordinato intercorrente con la Società.

Insomma, nel dubbio che lo stesso ricorrente aveva contribuito a generare tra quali fossero le attività svolte in regime di subordinazione e quali fossero le attività svolte in veste di lavoratore autonomo, la Corte di Appello ne rigettava integralmente le pretese.

Per dirla con un altro detto popolare, “non è l’abito [nel nostro caso, il titolo] a fare il monaco”, bensì l’abilità (anche del legale) nel dimostrare, concretamente, il tipo ed i contenuti delle attività extra lavorative svolte e, quindi, nel farsele remunerare.