Sull’impiego di strumenti telematici per intimare ed impugnare un licenziamento

Diventa sempre più incalzante l’ingresso delle moderne tecnologie telematiche nella gestione del rapporto di lavoro. Si pensi, ad esempio, all’utilizzo di braccialetti che rintracciano la posizione del lavoratore all’interno di uno stabilimento, guidandolo tra i vari reparti (oltre al caso Amazon, si aggiunge anche il caso del braccialetto utilizzato per lo svolgimento delle attività di spazzamento e pulizia delle strade: per info, v. http://www.lavorosi.it/fileadmin/user_upload/PRASSI_2019/Garante-Privacy-pronuncia-del-28-02-2019-braccialetto-elettronico.pdf), oppure all’impiego di app GPS con cui “timbrare” il cartellino a distanza (ciò che ha destato particolare stupore in occasione dell’“Expo 2015”: per info, v. https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5497522 ).

Da ultimo, l’impiego di siffatti strumenti si è esteso anche al momento risolutivo del rapporto di lavoro, vuoi per effetto di dimissioni del lavoratore, vuoi per effetto di un licenziamento.

Sennonché, mentre con riferimento al primo istituto (dimissioni) è intervenuto il Legislatore Italiano (rectius: il Ministero del Lavoro) che con DM 15 dicembre 2015 ne ha normato la trasmissione, la validità e la revoca (per maggiori info, v. https://www.cliclavoro.gov.it/Normative/decreto_ministeriale_15_dicembre_2015.pdf), con riferimento al secondo istituto (licenziamento), invece, non si registrano interventi di sorta; ciò che ha indotto la giurisprudenza di merito a manifestare non poche perplessità.

In particolare, tali perplessità si sono, soprattutto, incentrate sulla possibilità di intimare, oppure no, un licenziamento tramite email semplice, ossia non certificata. In tali casi, infatti, una parte di quella giurisprudenza ha ritenuto che l’email priva di firma digitale (id est, di una firma basata su un sistema di chiavi crittografiche correlate tra loro) non sarebbe utilizzabile dal datore di lavoro per la comunicazione del licenziamento (cfr. Trib. Frosinone, 15 febbraio 2016).

A conclusioni opposte si è pervenuti, paradossalmente, in merito alla possibilità di utilizzare ai medesimi fini i c.d. “sms” (acronimo di Short Message Service) od analoghe applicazioni, come Whatsapp, certamente meno “formali” rispetto ad una email (nel senso di una piena ammissibilità degli sms e di Whatsapp ai fini dell'irrogazione di un licenziamento, cfr. Trib. Torino, 23 luglio 2014 e, più di recente, Trib. Genova, 5 aprile 2016, n. 223 e Trib. Catania, 27 giugno 2017).

Quid, invece, con riguardo all’impugnazione di un licenziamento proposta “in via telematica”?

Su quest’ultimo punto si registra una recente, alquanto severa, giurisprudenza di merito (Trib. Monza, 29 gennaio 2020), secondo cui non ogni atto scansionato ed inviato tramite PEC da un legale può costituire una valida impugnazione di un licenziamento.

Ciò in quanto, a detta del Tribunale monzese, “la scansione di impugnativa cartacea di licenziamento … per poter avere la validità e l’efficacia della scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c.” deve essere, alternativamente, “sottoscritta dal lavoratore e/o dal difensore con firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata”, ovvero deve essere “accompagnata da (valida) attestazione di conformità da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

Invero, “la trasmissione mediante PEC da parte del difensore”, se è idonea a certificare “l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione”, non può per contro “certificare la conformità degli atti allegati, i quali necessariamente dovranno essere sottoscritti digitalmente per assumere il valore di atto scritto”.

V’è da dire, però, che l’impugnativa del licenziamento, nel caso di specie, era stata “sottoscritta solo dal difensore”: di modo che non v’era certezza dell’effettivo conferimento di un incarico, da parte del lavoratore, a che il legale lo assistesse nella fase di impugnazione stragiudiziale del licenziamento.

Che, forse, sia stata questa la molla che ha fatto scattare cotanta severità? Forse.

Nel dubbio, resta l'alternativa di firmare digitalmente ogni documento destinato ad un invio telematico – anche se in formato “scansione immagine” – ovvero che il lavoratore, per certi tipi di comunicazione (qual è l’impugnazione di un licenziamento), se non intende ricorrere a mezzi tradizionali quali la raccomandata A/R, si munisca almeno di un indirizzo di posta elettronica certificata.

Per la serie: quando la forma prevale sulla sostanza (e, fortunatamente, non sempre è così).