Gestione di immobili di proprietà e iscrizione alla “Gestione Commercianti”.

Solitamente, l’attribuzione della qualifica di socio amministratore all’interno di una società è considerata come una condizione sufficiente per essere iscritti, anche d’ufficio, alla c.d. “Gestione Commercianti” dell’INPS, con insorgenza del relativo obbligo di versare i contributi per tutto il periodo di iscrizione officiosa e per il futuro.

Col tempo, la giurisprudenza ha cercato di mitigare tale condizione, arrivando a sancire che, oltre ad essere socio amministratore oppure – nelle società in accomandita semplice – socio accomandatario, occorre che il soggetto in questione partecipi personalmente al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza.

In particolare, secondo un certo orientamento della Cassazione, “tale carattere va Inteso con riferimento all’attività lavorativa espletata dal soggetto stesso in seno all’impresa, al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali)” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza n. 3637/2020).

Ebbene, recentemente i Giudici di legittimità sono tornati a pronunciarsi su questo punto, con riguardo a un interessante caso: trattasi, precisamente, del caso di iscrizione officiosa alla “Gestione Commercianti” di un soggetto che ricopra la qualifica di socio amministratore all’interno di una società avente esclusivamente ad oggetto la riscossione di canoni di locazione rispetto a immobili di sua proprietà (ord. n. 29913/2021).

Per l’INPS, era lampante il fatto che si trattasse di un’attività commerciale a tutti gli effetti, il cui oggetto si sostanziava nell’offerta di una prestazione di servizi in ambito immobiliare, essendo oltretutto gli immobili di proprietà del solo soggetto da iscrivere d’ufficio. Non l’ha pensata così la Cassazione rilevando, in generale, che “l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento” non implica di per sé l’insorgenza di un obbligo contributivo e, in particolare, che “l’attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività d'impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale ... salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare”.

Attività di intermediazione che, però, nel caso di specie non sussisteva. Da qui, l’enunciazione del principio, molto cristallino, per cui “va escluso che ricorra il presupposto dello svolgimento di attività commerciale nel caso di una società di persone che eserciti un’attività limitata alla locazione di immobili di sua proprietà ed alla riscossione dei relativi canoni, non finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi né atti di compravendita o di costruzione”.

È appena il caso di rilevare, a completamento di quanto sopra esposto, che neppure l’apposizione delle firme necessarie alla gestione dei contratti di locazione dell’immobile societario integra una condizione tale per determinare l’iscrizione d’ufficio alla “Gestione Commercianti” e l’insorgenza del relativo obbligo contributivo: per vero, la semplice apposizione di firme non costituisce svolgimento di attività lavorativa in senso proprio (così, Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza n. 8616/2020).

Elementi, questi complessivamente analizzati e valorizzati dalla Cassazione, che potrebbero in verità rilevare, secondo una certa interpretazione analogica, ai fini della determinazione dell’obbligo di iscrizione alla “Gestione Commercianti” rispetto ad altre fattispecie simili.