Sulla malattia del lavoratore quale causa ostativa al diritto di difesa.

È principio giurisprudenziale noto a tutti quello per cui, laddove nell’ambito di un procedimento disciplinare un lavoratore chieda di essere udito a sua difesa e, fissata la data di audizione, questi non possa presentarsi a causa di malattia sottomettendo il relativo certificato al datore di lavoro, quel certificato “se idoneo a giustificare l’assenza del lavoro per infermità e quindi a costituire valida dispensa dall’obbligo di prestazione lavorativa, non può non avere equivalente valore per consentire la possibilità di esercizio di un diritto, quale quello, avendone fatto richiesta, di essere sentito oralmente dal datore di lavoro, attraverso il suo legittimo differimento per la documentata infermità” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 28 maggio 2018, n. 13627).

Corollario di questo principio è che, per tutta la durata della malattia in questione e, quindi, dell’impossibilità del dipendente di rendere le proprie giustificazioni orali, il procedimento disciplinare resterà sospeso, ancorché il contratto collettivo di riferimento preveda dei termini entro cui concluderlo (che restano, a loro volta, sospesi; cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 26 settembre 2012, n. 16374).

Qual è, però, il limite entro cui è legittimo differire l’audizione del lavoratore qualora, dopo essere stato convocato dal datore di lavoro più volte, questi continui a non presentarsi “causa malattia”?

Per rispondere a tale domanda, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza del 17 gennaio 2020, n. 980) è, anzitutto, partita dalla corretta ricostruzione dei principi di buona fede e correttezza che regolamentano – tra i tanti istituti di legge e di contratto anche – la malattia.

A tal proposito, i Giudici di legittimità hanno premesso che lo stato di malattia non integra “di per sé solo, un’impossibilità assoluta del lavoratore, che versi in esso, ad allontanarsi da casa, potendo anzi svolgere persino una diversa attività lavorativa, purché non comportante rischi di aggravamento della patologia né ritardi nella ripresa del lavoro, così pregiudicandone o ritardandone la guarigione o il rientro in servizio”.

Ma, allora, come la malattia non inibisce ex se il libero percorso riabilitativo del dipendente che, in certi casi, può anche prevedere l’allontanamento dalla propria dimora, così la malattia stessa non è condizione intrinsecamente ostativa all’audizione del dipendente.

Insomma: per il Supremo Collegio non tutte le malattie sono uguali e, pertanto, non tutte determinano di per sé il differimento dell’audizione orale richiesta dal lavoratore, anche se debitamente certificate (peraltro, l’obbligo di certificazione della malattia è un obbligo che vige a priori per qualsiasi prestatore di lavoro, a prescindere dall'avvenuta instaurazione, oppure no, di un procedimento disciplinare).

Da qui, dunque, il seguente principio di diritto enunciato con la sentenza in commento: “la mera allegazione, da parte del lavoratore, ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di per sé sola sufficiente a giustificarne l’impossibilità di presenziare all’audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la natura ostativa all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così ché il suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile”.

Lazzaro(ne), alzati e cammina.