Il datore di lavoro risponde da solo dell’infortunio avvenuto per mancata formazione

In questi giorni, si discute ancora molto su quale sia l’effettiva portata degli obblighi di formazione e di prevenzione che incombono sul datore di lavoro onde prevenire i rischi di contagio da Covid-19.

Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 42, comma 2, d.l. n. 18/2020 (convertito con modificazioni in legge n. 27/2020), il contagio da Covid-19 sul posto di lavoro costituisce un “infortunio” indennizzabile secondo le consuete procedure INAIL (e risarcibile, per "differenziale", dal datore di lavoro).

Tuttavia, proprio quest’ultimo Istituto, in data 15 maggio 2020, ha tenuto a chiarire che la responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19 non è mai automatica presupponendo, comunque, la sussistenza di una condotta dolosa o colposa. Oltretutto, precisa ancora l’INAIL, “la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico” rendono “peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro”.

Eppure, un rischio di coinvolgimento datoriale esiste, soprattutto per le attività di front-office, per le quali vige persino una “presunzione semplificata” di contagio (cfr. Circolare INAIL n. 13/2020). Ciononostante, un simile rischio potrebbe essere arginato non solo dando notizia ai lavoratori di tutte le misure di prevenzione adottate (verosimilmente, le stesse che saranno, poi, riportate nell’appendice al DVR: cfr. Nota INL n. 89/2020), ma anche formando i medesimi lavoratori su come “mettere in sicurezza” la propria e l'altrui salute.

In merito agli obblighi di formazione del personale è tornata a pronunciarsi, di recente, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8988/2020.

La vicenda aveva ad oggetto un infortunio mortale occorso sul lavoro ad un “operaio esperto”. Precisamente, l’incidente era causato “dallo scoppio del fusto metallico nel quale stava pompando olio idraulico con un compressore, invece che con una pompa manuale”; per giunta, risultava che “il fusto era stato in precedenza modificato artigianalmente, proprio per consentire l’impiego del compressore”.

Secondo la difesa della Società, il lavoratore si sarebbe dovuto rifiutare e/o non avrebbe dovuto eseguire quell’operazione, attesa l’evidente insidiosità della stessa (aggravata dalla modifica “artigianale” del fusto poi esploso): sicché, sempre a detta della difesa della Società, il fatto di non essersi astenuto dal compiere quell’operazione avrebbe reso il dipendente, in un certo senso, complice del proprio danno.

Non l’hanno pensata così i Giudici di legittimità, i quali hanno tenuto a precisare che vi sono delle ipotesi in cui il concorso di colpa del lavoratore-vittima nella causazione del suo infortunio non trova applicazione. Trattasi, precisamente, delle ipotesi in cui: (i) la vittima “abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l’eventuale imprudenza del lavoratore non è più ‘causa’, ma degrada ad ‘occasione’ dell’infortunio”; (ii) l’infortunio sia avvenuto “a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo”, ma solo laddove tale organizzazione sia “impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni”; (iii) l’infortunio sia avvenuto “a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro”.

Ed è stata proprio quest’ultima l’ipotesi che il Supremo Collegio ha ravvisato nel caso di specie, atteso che la Società datrice di lavoro – a detta dei Giudici – non aveva dimostrato di aver fornito al lavoratore quella “procedura operativa scritta” da cui sarebbe emerso l’obbligo di usare “solo … una pompa manuale per il riempimento del fusto”, e non già un compressore (quello che ha dato, poi, luogo all’incidente).

Il difetto di specifiche indicazioni su come gestire l’ordigno, unitamente all’assenza di corsi di formazione impartiti al lavoratore sul punto, hanno fatto ricadere sul datore di lavoro l’intera responsabilità dell’infortunio, con conseguente obbligo di risarcire - cospicuamente - il danno cagionato agli eredi del lavoratore.