Il punto della giurisprudenza sul blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19

Come anticipato in precedenza (v. qui), il “blocco generalizzato” dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e dei licenziamenti collettivi dovrebbe – il condizionale è sempre d’obbligo – scadere il 31 marzo 2021. Da quel momento in poi, secondo i rumors, vi dovrebbe essere soltanto un “blocco selettivo”, ossia un impedimento a licenziare condizionato alla sussistenza di determinati criteri (ad es.: settori merceologici più in difficoltà; drastica diminuzione dei ricavi; etc.).

In un caso e nell’altro, però, la gestione delle risorse umane continuerà a non essere facile e la possibilità di incorrere in un errore di tipo procedurale – ossia licenziare in un momento in cui non è ancora possibile farlo – è letteralmente dietro l’angolo.

Per valutare il tipo di rischio in cui si può incorrere, e soprattutto le conseguenze che ne deriverebbero, può rivelarsi utile esaminare, brevemente, alcune interessati pronunce rese sul tema dai Tribunali italiani.

In particolare, alcuni Giudici lombardi (Trib. Milano, Sez. Lav., ord. 28.01.2021, est. Lombardi; Trib. Mantova, Sez. Lav., sent. 112/2020, est. Gerola) si sono pronunciati in merito ad un interessante caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui l’intenzione di procedere al licenziamento - che consiste nell'avvio della procedura dinnanzi al competente Ispettorato Territoriale del Lavoro prevista dall’art. 7 della legge n. 604/1966 per le imprese con più di 15 dipendenti - era stata comunicata prima dell’entrata in vigore del blocco generalizzato di marzo 2020. Tuttavia, a causa di lungaggini burocratiche, il licenziamento, pur formalmente intimato prima dell’entrata in vigore del blocco in questione (precisamente: prima del 17.03.2020), era stato effettivamente ricevuto dalla lavoratrice solo dopo l'inizio del blocco in questione (precisamente: in data 26.03.2020).

Ebbene, premesso che il licenziamento è un atto unilaterale ricettizio che ha efficacia soltanto nel momento in cui perviene a conoscenza del lavoratore e atteso che la data di ricezione del licenziamento in oggetto era successiva a quella di introduzione della “norma imperativa … che preclude il recesso datoriale individuale, per ragioni economiche, tout court”, lo stesso veniva dichiarato radicalmente nullo (con applicazione della tutela reintegratoria forte prevista dall’art. 18, comma 1, legge n. 300/1970).

Ciò detto, a fronte di un licenziamento erroneamente intimato dopo l’entrata in vigore del blocco, il datore di lavoro potrebbe correre ai ripari revocando lo stesso; facoltà, questa, inizialmente prevista anche dall’art. 14 comma 4, d.l. n. 104/2020 (c.d. “Decreto Agosto”), poi abrogato.

E però, non sempre questa norma - e, in generale, la possibilità di revocare un licenziamento - è stata ritenuta applicabile dai Giudici del Lavoro. In particolare, la facoltà di revoca - ancorché normata dall'art. 14 ult. cit. - è stata espressamente esclusa per quei licenziamenti intimati in epoca di molto antecedente allo scoppio della pandemia e dell’adozione della correlata decretazione d’urgenza, tra cui quelli intimati verso la fine del 2019 (Trib. Milano, Sez. Lav., ord. 10.12.2020, est. Saioni); e dall’impossibilità di revocare il licenziamento deriva, inevitabilmente, l’illegittimità dello stesso, con conseguenze del tutto identiche a quelle esaminate in precedenza (ossia: nullità del licenziamento e applicazione della tutela reintegratoria forte).

Insomma, la violazione del blocco dei licenziamenti e delle sue future evoluzioni “selettive” implica un serio rischio di violazione di norme ritenute inderogabili dal Legislatore e dalla giurisprudenza, con rilevanti conseguenze civilistiche (riassunzione in servizio e risarcimento del danno).

Eppure, v’è da dire che, in altra parte d’Europa – e precisamente presso il Tribunale di Barcellona – si è fatta strada l’idea che un blocco incondizionato dei licenziamenti non rispetterebbe il concetto di “libertà d’impresa” e quello di tutela di un mercato “altamente competitivo” che, come correttamente rileva il Giudice Spagnolo, sono concetti valorizzati proprio dall’Unione Europea e che potrebbero essere messi a repentaglio da siffatte misure restrittive nazionali, soprattutto se prorogate in modo indeterminato e indiscriminato (“la normativa interna no respeta dicho precepto del TUE (art. 3.3) y de consuno de la CEDF (art. 16)”: sentencia 283/2020 de 15 Dic. 2020, Proc. 581/2020).

Al Governo Draghi l'ardua sentenza.