La responsabilità datoriale in caso di infortunio tra automatismi, leggi e direttive europee

È ancora incandescente il dibattito sulla violazione degli obblighi antinfortunistici da parte del datore di lavoro al tempo del Covid-19, così come quello sull’introduzione di un vero e proprio “scudo penale”. Nelle precedenti rassegne curate dallo Studio (che potete consultare cliccando qui e qui) abbiamo analizzato l’atteggiamento tenuto dall’INAIL nel caso in cui un dipendente contragga il virus sul posto di lavoro, avendo cura di evidenziare come, seppure per alcune tipologie di lavoro (i.e.: front office e medici) il contagio possa essere dimostrato anche con “presunzioni semplici”, la responsabilità del datore di lavoro non sia mai automatica.

Per vero, tali conclusioni sono state più volte abbracciate anche dalla stessa Suprema Corte di Cassazione, persino di recente.

In particolare, con ordinanza del 10404/2020, i Giudici di legittimità hanno affermato che “il riconoscimento della malattia professionale non comporta automaticamente anche il riconoscimento di responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. (cfr., tra le molte, Cass. nn. 3366/2017; 21203/10), poiché incombe sul lavoratore che lamenti di avere contratto quella malattia, l'onere di provare il fatto che costituisce l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno” patito ai sensi dell’art. 2087 Cod. Civ. per omessa adozione di misure di sicurezza (od omessa formazione sulle misure di sicurezza: v. la precedente rassegna curata sempre dallo Studio sul punto , consultabile qui).

Del resto, l’art. 2087 Cod. Civ. non è una norma invocabile a piacimento, costituendo esse solo una disposizione di “chiusura” del sistema di misure antinfortunistiche minuziosamente contemplate dalla legge n. 81/2008 (c.d. “Testo Unico sulla Sicurezza”).

In altri termini, per arrivare ad invocare il risarcimento del danno da infortunio ai sensi dell’art. 2087 Cod. Civ. occorre, in primo luogo, verificare se il datore di lavoro abbia adottato tutte le misure di salute e sicurezza previste dal menzionato Testo Unico e, in secondo luogo, accertarsi se, considerato lo “stato della tecnica” (ossia l’insieme delle nozioni e degli strumenti di sicurezza complessivamente disponibili al tempo in cui si è verificato l’infortunio) se ne sarebbero potute adottare di ulteriori.

Tale valutazione, però, è estremamente difficile da compiere in un contesto pandemico generalizzato, dove a cagionare l’infortunio sono minuscoli agenti patogeni che possono essere potenzialmente contratti ovunque e, quindi, anche al di fuori del posto di lavoro.

Proprio alla luce di tale ultimo aspetto, il Legislatore dell’emergenza si è premurato di specificare – solo in data 5 giugno 2020 – che “ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”; ciò con l’ulteriore precisazione per cui “qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (cfr. art. 29bis del d.l. n. 23/2020, convertito con modificazioni in legge n. 40/2020).

Fermo quanto precede, è tuttavia chiaro che le misure introdotte attraverso i menzionati protocolli non contemplano né esauriscono tutte le possibili realtà imprenditoriali esposte al rischio di contagio da Covid-19. Per tali realtà, al di là dell’adozione di mascherine-guanti-gel disinfettanti, occorrerà valutare misure di sicurezza specificamente calibrate sulla base delle mansioni e delle attività rispettivamente svolte dai dipendenti e dai collaboratori, tenuto conto dei peculiari processi e contesti produttivi.

Ciò che dovrebbe avvenire sulla falsariga, per intenderci ed a titolo esemplificativo, di quanto già accaduto in relazione a chi svolge attività di ricezione del pubblico, per i quali occorre installare un plexiglass in corrispondenza della postazione di lavoro, come anche in relazione a chi svolge attività di facchinaggio o di consegna di beni, per i quali occorre fornire apposite soluzioni disinfettanti per zaini e contenitori affini (sul punto, cfr. anche Trib. Bologna, Sez. Lav., decreto del 14 aprile 2020).

Nel fare ciò, non va peraltro dimenticato che alle disposizioni emanate in ambito nazionale, sia dalla legge che dalle parti sociali, si aggiungono anche quelle di matrice europeistica, cui i Giudici italiani possono senza dubbio appellarsi per verificare se lo stato della tecnica sia stato rispettato (cfr. anche art. 117, comma 1, Cost.).

Il riferimento è, in particolare, alla Direttiva UE n. 2020/739, adottata in data 3 giugno 2020 dalla Commissione Europea, con la quali è stato sancito che gli Stati Membri dell’Unione Europea, al fine di contenere il rischio di contagio da Covid-19 negli ambienti di lavoro, debbono adeguare e/o adottare specifiche disposizioni regolamentari ed amministrative in tema di Coronavirus in aderenza alle medesime misure già imposte dagli Allegati V e VI della Direttiva CE n. 2000/74 in tema di “rischio biologico”.

Si tratta, a ben vedere, di norme che sanciscono, in primis, una corretta igienizzazione e delimitazione dei locali di lavoro dal restante contesto.

Ciò detto, anche in considerazione della mole di adempimenti che occorre ed occorrerà ancora approntare sui luoghi di lavoro, si confida sempre, nell’interesse e per il bene di tutti, che ciascuno di noi continui a fare nella propria quotidianità - in treno, nei supermercati, nei bar, nei locali vari - la sua parte per stroncare definitivamente il rischio di contagio, seguendo null'altro che l’ordinaria diligenza del “buon padre di famiglia”.