Covid-19 e libera movimentazione di lavoratori dipendenti e professionisti

Come ormai noto a tutti, le misure di prevenzione di cui al D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 (emanato in attuazione del d.l. n. 6/2020, rubricato “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”) sono state, dapprima, estese, in forza del recentissimo D.P.C.M. del 9 marzo 2020, dalla (ex) zona rossa (costituita dalla Regione Lombardia e da altre Province italiane) all’intero territorio nazionale e, poi, "inasprite" dal recentissimo D.P.C.M. 11 marzo 2020.

Nell'ambito di tale ultimo decreto, si evince la chiara preoccupazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri di limitare al minimo - se non azzerare - qualsiasi attività da compiersi al di fuori della propria dimora, quantomeno, dal "12 marzo 2020 ... fino al 25 marzo 2020", se non strettamente necessaria (ad es.: fare la spesa, mentre sono state chiuse le attività di commercio al dettaglio).

Quest'ultimo decreto, però, non ha abrogato i precedenti D.P.C.M. dell'8 e 9 marzo 2020, se non "ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto".

Tra le misure previste dai precedenti D.P.C.M. che, ragionevolmente, sono rimaste in vigore figura anche la movimentazione di lavoratori, oltreché per "situazioni di necessità ovvero ... per motivi di salute", anche per "comprovate esigenze lavorative" [cfr. art. 1, lett. a), D.P.C.M. dell’8 marzo 2020].

Per il resto, recita il nuovo D.P.C.M., sono raccomandati, da un lato, "il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per e attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza" e, dall'altro, la sospensione delle "attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione" [oltre alla fruizione anticipata di ferie, congedi e - aggiungiamo noi. più correttamente - di permessi retribuiti: cfr. art. 1, punto n. 7, lettere a), b) e c), D.P.C.M. 11 marzo 2020].

E, tuttavia, nonostante gli sforzi governativi, continua a non essere chiaro né in che misura, né – soprattutto – in che modo debbano essere comprovate le “esigenze lavorative” con cui legittimare la movimentazione dei dipendenti dalla propria dimora alla sede di lavoro.

Forse, il problema potrebbe essere agevolmente risolto con riguardo ai liberi professionisti, considerato che costoro potrebbero autocertificare da sé le "comprovate" esigenze che li inducono a spingersi al di fuori dei confini della propria dimora (ad es.: patrocinio in procedimenti d'urgenza; necessità di acquisire una firma per autentica; incontri one-to-one con persone a mobilità ridotta; etc.). Il tutto sempreché la professione in questione non rientri tra quelle sospese (si pensi ai servizi per l'infanzia).

Più ostico, invece, è il discorso con riguardo ai lavoratori dipendenti.

Invero, con riguardo a tale ultimo profilo, riterremo che l’onere della dimostrazione delle "comprovate esigenze lavorative" non possa che incombere sul solo datore di lavoro, in ossequio ai principi di libera autodeterminazione imprenditoriale (cfr. art. 41 Cost.) e, quindi, di insindacabilità delle “valutazioni tecniche, organizzative e produttive” che competono, appunto, esclusivamente al datore medesimo (cfr. art. 30, comma 1, legge n. 183/2010), stante la sua qualità di unico, vero, reggente dell’intera attività aziendale (cfr. artt. 2082 e 2094 Cod. Civ.).

Con riguardo, invece, al "veicolo" con cui rappresentare le citate "comprovate esigenze", occorre premettere che la normativa in commento era stata – almeno inizialmente – “filtrata” dal Ministero dell’Interno che, in una direttiva rivolta alle varie Prefetture italiane ed avente ad oggetto unicamente le modalità con cui deve essere verificato il rispetto delle disposizioni di cui all'allora D.P.C.M. 8 marzo 2020, ha sancito quanto segue: “nella logica di responsabilizzazione dei singoli … si ritiene che tale onere [n.d.r.: “l'onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull'interessato”] potrà essere assolto producendo un'autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P .R. 28 dicembre 2000, n. 445, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica”.

Tuttavia, la compilazione di tali moduli, anche “al momento”, da parte del soggetto effettivamente sottoposto a controllo non impedisce “la verifica” anche “ex post” delle “autodichiarazioni” come sopra rese e, quindi, dell’effettiva sussistenza di “comprovate esigenze lavorative” (che, ad esempio, potrebbero non essere ravvisate laddove la Forza Pubblica accertasse che il dipendente sottoposto a controllo avrebbe potuto svolgere la propria prestazione in regime di “lavoro agile”).

Inoltre, il Ministero dell’Interno ha aggiunto che, nell’ambito delle verifiche eseguite dalla Forza Pubblica, rileveranno “elementi documentali comprovanti l'effettiva sussistenza di esigenze lavorative”.

E proprio alla luce di quest’ultime considerazioni riterremmo – se non necessario, quantomeno opportuno – che la citata autodichiarazione venga sostituita, come pure sta emergendo nella prassi, da una vera e propria certificazione a cura del datore di lavoro. Ciò, invero, consentirebbe di corredare l’atto in questione non solo di ogni elemento utile a dimostrare l’effettività delle “esigenze lavorative” invocate, ma anche della documentazione a supporto di quelle stesse esigenze (v. sopra).

A tal fine, lo Studio Marasco Law Firm ha elaborato un modello di certificazione datoriale, che si mette a disposizione qui di seguito, rivolto, segnatamente, a quella platea di lavoratori ed aziende che svolgono, rispettivamente, mansioni ed attività che, per loro natura o per loro esigenza, non possono essere prestate al di fuori della sede/unità aziendale.

Ricordiamo che tale autocertificazione deve essere portata sempre con sé ed esibita alle Autorità di Polizia a richiesta.

Inoltre, per quanto un modello possa essere generico ed “adattabile” a più situazioni, è sempre bene rivolgersi a Professionisti del settore che possono meglio adeguarlo alle Vostre esigenze, pur nel rispetto delle precauzioni imposte su scala nazionale per la prevenzione del contagio da virus “Covid-19”.

A tal proposito, il Team di Marasco Law Firm è a disposizione per fornirvi ogni aiuto e consulenza.

[LUOGO], [DATA]

Egregio Sig./Gentile Sig.ra/Egregi Sigg.ri,

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Oggetto: Autodichiarazione e certificazione.

La scrivente Società [NOMINATIVO], (C.F. e P.IVA. _______), con sede legale in _________ ed unità operativa in ___________, in persona del Responsabile delle Risorse Umane/Legale Rappresentante pro tempore [d’ora in poi: la “Società”]

DICHIARA E CERTIFICA

anche ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, che il Sig./la Sig.ra/i Sigg.ri ________, impiegati presso la sede di ________ di codesta Società con mansioni di __________ che, stante la loro natura e/o le comprovate esigenze aziendali determinate dal fatto che [DESCRIVERE QUI L’ESIGENZA CHE PUO’ ESSERE CONNESSA AD UN PECULIARE OGGETTO SOCIALE OPPURE ALL’ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE] non possono essere prestate al di fuori del contesto aziendale, ovvero ricorrendo a modalità di c.d. “lavoro agile”.

DICHIARA E CERTIFICA

che il Sig./la Sig.ra/i Sigg.ri ________ partono dal proprio domicilio/residenza sito in ______________ per raggiungere la suddetta sede di ___________ durante il turno di lavoro compreso tra le h. ___ e le h. ______, dal giorno ______ al giorno ______ di ogni settimana.

ATTESTA

che in relazione alla postazione di lavoro impiegata per il disimpegno delle mansioni sopra descritte sono state adottate e sta ancora ancora adottando ogni opportuna precauzione per limitare, fin dove possibile, il rischio di contagio da virus “Covid-19”.

La presente autodichiarazione viene rilasciata per ogni uso consentito dalla legge.

Per la Società

Il Responsabile delle Risorse Umane/il Legale Rappresentante pro tempore

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