Atossa: Sono sempre in compagnia di numerosi sogni notturni, dal tempo in cui mio figlio, dopo aver allestito l’esercito, se ne è andato per distruggere la terra degli Ioni, ma no ne ho mai visto nessuno così chiaro come quello della notte scorsa: te lo racconterò.
Mi parve di vedere due donne ben vestite, una adorna di vesti persiane, l’altra di vesti doriche, di gran lunga superiori per statura a quelle esistenti e impeccabili per bellezza, e sorelle della stessa stirpe; era toccato in sorte all’una di abitare la terra greca come patria, all'altra di abitare quella barbara.
Tra loro due ci fu una lite e, per quanto mi sembrava di vedere, mio figlio, dopo essersene accorto, le tratteneva e le calmava, poi ecco le aggioga al carro e pone le fasce sotto il collo; e l’una si inorgogliva per questo equipaggiamento e prestava la docile bocca alle redini, l’altra invece si lamentava ed ecco che con le mani rompe le redini del carro e senza morso lie strappa via violentemente, e spezza a metà il giogo (strumento utilizzato per l'attacco dei bovini).
Mio figlio cade e il padre Dario gli stava accanto e lo compiangeva; non appena lo vede Serse, si lacera le vesti intorno al corpo. Proprio questo, ti dico, ho visto questa notte.
La prima parte del primo episodio ha come unica protagonista la regina Atossa; da quando il re Serse è partito per conquistare una terra lontana, infatti, la madre e regina Atossa ha cominciato ad avere notti inquiete, piene di sogni angosciosi: si può immaginare che siano state immagini confuse, di cui che neppure si ricordano bene quando ci si sveglia. Nonostante ciò il sogno della notte precedente, su cui la regina vuole interrogare il coro, è stato “ἐναργὲς”, ossia “chiaramente visibile”. L’ ἐνάργεια è una caratteristica tecnica del sogno profetico, che si imprime in maniera nitida nella memoria con tutti i suoi particolari e che poi può anche essere riferito. Nella tragedia, inoltre, il sogno assume una sfumatura drammatica in quanto predice la sconfitta dei persiani che sarà, poi, riferita dal messaggero. La narrazione del sogno si sviluppa in trimetri giambici per 20 versi ed è contraddistinta da un andamento paratattico e da una ricchezza di dettagli; il sogno viene introdotto dal verbo “vedere” al verso 179 e, infine, dal verbo “sembrare” al verso 181: tale scelta mette in contrapposizione la soggettività e l’oggettività dell’esperienza; l’intero sogno può essere suddiviso in tre sezioni:
● La prima sezione è statica: appaiono due bellissime sorelle strettamente associate dall'uso del duale e che si distinguono per la foggia degli abiti: l'una indossa il corto chitone dorico, l'altra pepli persiani; l'una è destinata a vivere in Grecia, l'altra in Persia; elemento distintivo di questa sezione non è solo la struttura metrica, ma anche l’utilizzo della metafora delle sorelle, le quali rappresentano la Grecia e la Persia.
● La seconda sezione inizia con una lite tra le due sorelle e con il tentativo di Serse di placare i loro stati d'animo (in questo caso vi è un significato sottinteso, ossia l’impossibile unione tra Oriente e Occidente, tanto desiderata dallo stesso Serse).
Al centro della sezione vi è poi l'aggiogamento delle donne da parte di Serse con le corregge e, infine, le diverse reazioni delle sorelle: questo atto di aggiogamento spiega ancora una volta la volontà di Serse di sottomettere la Grecia e la Persia; mentre la sorella persiana mantiene la calma, la sorella greca, invece, colpita da uno stato di voracità, distrugge il giogo: evidente allusione alla disfatta persiana.
● La terza e ultima sezione segna l’epilogo del sogno: Serse cade e, successivamente, vede il padre Dario che lo compiange; Serse a questo punto si strappa i vestiti, anticipando in questo modo la sua apparizione con abiti laceri.
Dopo la narrazione del sogno, la regina fa anche la descrizione di ciò che vide ,dopo essersi svegliata, sull’altare di Febo, ossia un presagio funesto e che fa scioccare, più di quanto già non lo fosse, la stessa regina.
La donna vide un'aquila fuggire verso l’altare e, subito dopo, uno sparviero che, dopo essersi buttato a precipizio su l'aquila, la uccise.
Tale visione è particolarmente simbolica: l'aquila, infatti, simbolo di Zeus, è immagine della monarchia persiana, mentre lo sparviero, più piccolo, indica il territorio greco: in questa scena va colto un riferimento all'episodio, narrato da Erodoto, in cui Apollo stesso difese il suo santuario dall’attacco persiano.
Successivo alla narrazione dei due tristi avvenimenti vi è un serrato dialogo tra il coro e la regina, strutturato in tetrametri trocaici e contraddistinto da un linguaggio paratattico; il coro, in questo caso, consiglia ad Atossa di chiedere aiuto agli dèi e, specialmente, al marito defunto, affinché per lei e per la sua famiglia siano destinati, da quel momento in poi, buoni presagi; in conclusione la regina chiede al coro di descriverle Atene, territorio che Serse avrebbe voluto conquistare: da questa richiesta ha inizio una descrizione del territorio ateniese che apre, a sua volta, un altro momento di confronto tra l’Oriente e l’Occidente.
A questo punto arriva un messaggero che, con un monologo, porta l'annuncio della triste disfatta della flotta persiana nella battaglia di Salamina. La battaglia viene raccontata in maniera molto accurata, dapprima con la descrizione delle flotte, poi con l'analisi delle fasi dell’intero scontro e, infine, con la triste descrizione delle navi persiane distrutte e dei soldati superstiti privi di aiuto. Nello stasimo il coro esprime il dolore e la preoccupazione per la stabilità del regno.
Mentre nel secondo episodio vi è Atossa che, vestita di nero, offre libagioni ai morti sulla tomba del marito Dario, nel terzo episodio sopraggiunge lo spettro dello stesso Dario.
Lo spettro, a questo punto, in un dialogo con la moglie, giudica la disfatta militare di Serse come la giusta punizione per la tracotanza del figlio, che non ha voluto limitarsi, come ha invece fatto lui stesso in vita, ad amministrare il proprio impero, ma ha voluto estenderlo maggiormente verso l'Europa: per questo offre anche delle informazioni sulla battaglia di Platea (tramite questo dialogo Eschilo esprime un’ottica nuova, che vede Dario come personificazione del sovrano saggio e Serse come emblema della deformazione tirannica del potere).
Arriva alla fine della tragedia o, meglio, nell’esodo, il diretto interessato, lo stesso re Serse, sconfitto e distrutto, che si unisce al lamento di disperazione del coro che è sia musicato che danzato.
La tragedia, oltre a presentare vari elementi tipici delle tragedie più arcaiche, come l’assenza del prologo, la forte presenza del coro e la semplicità della trama, presenta una caratteristica molto peculiare in quanto non tratta di un argomento mitologico, bensì di un argomento storico: tale elemento, tuttavia, non è del tutto nuovo, poiché già utilizzato dal tragediografo Frinico con la sua opera “La presa di Mileto” che fu, ben presto, censurata, in quanto troppo vicina cronologicamente all’avvenimento trattato: in questo sta la grandezza di Eschilo, il quale, al fine di non venire censurato, ha trattato di un argomento postumo, ossia avvenuto ben otto anni prima.
(il commento è stato curato da Emanuela Cinquemani, IV H Liceo Felicia e Peppino Impastato, Partinico)
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