LA LIBERTA' DEGLI ANTICHI E QUELLA DEI MODERNI

Grande questione filosofica:

    • E' più libero chi può partecipare direttamente alla formulazioni delle leggi che regoleranno la sua vita o chi può scegliere di non curarsi per nulla della politica?
    • E' possibile un ritorno a forme di democrazia diretta, simili a quelle applicate nelle pòleis greche, magari attraverso la rete internet?
    • I tre modelli di gestione del potere (democrazia rappresentativa, democrazia diretta e tecnocrazia) hanno tutti dei difetti. E' possibili combinarli in modo da valorizzare i pregi di ognuno evitando che degenerino?

La divulgazione della distinzione fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni risale allo scrittore liberale francese Benjamin Constant, che la espose nella conferenza del 1819, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni.

Le tesi principali:

    • la libertà degli antichi è autonomia politica collettiva; quella dei moderni libertà privata individuale;
    • l'errore fondamentale della Rivoluzione francese fu la pretesa di realizzare la libertà degli antichi in una situazione ove era attuabile solo quella dei moderni.

Secondo Constant, una delle differenze più importanti fra la politica antica e la politica moderna, è il carattere rappresentativo dei nostri governi, che era del tutto assente nelle poleis greche, democratiche o aristocratiche che fossero, e negli altri regimi dell'antichità. Essendo il potere politico gestito senza mediazioni, la libertà degli antichi consisteva nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità. Questa libertà collettiva era compatibile con l'asservimento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme, che si manifestava con istituti come l'ostracismo ateniese e il controllo censorio della vita privata spartana per opera degli efori. Gli antichi erano «macchine di cui la legge regolava le molle e faceva scattare i congegni».

Di contro, oggi - dice Constant - per libertà s'intende

"il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell'arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza rendere conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo, sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l'autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione."

La libertà dei Moderni coincide dunque in larga parte con i diritti individuali di libertà: libertà di pensiero, libertà religiosa, libertà economica, libertà di movimento, libertà di associazione, garanzie giudiziarie. Tali libertà conferiscono agli individui, su ognuna di quelle materie, la facoltà di fare o di non fare. Ognuno di noi, ad esempio, è libero di riconoscersi in una qualsiasi religione, oppure di disconoscerle tutte; lo Stato non ha comunque voce in capitolo, se non quella di tutelare le nostre scelte individuali e di impedire che esse possano ledere i diritti altrui. La libertà coincide, in questo caso, con una condizione di indipendenza individuale dal potere, con uno spazio privo di norme imperative.

La libertà degli Antichi, secondo Constant, era invece una cosa ben diversa: essa consisteva

"nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità, nel deliberare sulla piazza pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare giudizi; nell'esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli."

Si trattava quindi di una libertà esclusivamente pubblica, consistente nel partecipare direttamente alle decisioni dello Stato. E poiché tali decisioni venivano prese con il concorso di tutti, gli individui – in quanto cittadini – erano liberi; come privati, tuttavia, essi non possedevano alcuna libertà, perché la sovranità collettiva non riconosceva alcun limite alla propria giurisdizione. La libertà di cui godevano gli Antichi, in quanto cittadini, poteva dunque andare di pari passo con il totale asservimento degli individui.

Il pericolo della libertà moderna è il disinteresse per la partecipazione politica.

In breve, la nostra libertà è il «pacifico godimento dell'indipendenza privata» reso possibile da limitazioni del potere politico ottenuto con la divisione dei poteri e il controllo della stampa.

Nel mondo antico solo ad Atene, secondo Constant, ci sono tracce di libertà privata: Atene, infatti, era una città di commercianti. E interesse del commercio è la libertà dall'interferenza del potere pubblico, che ostacola i traffici con pastoie autoritarie, in nome di fini diversi dal guadagno e dalla soddisfazione dei desideri individuali. Secondo Constant, l'autodeterminazione politica continua ad avere un grande valore, perché è un mezzo essenziale per conoscere e migliorare noi stessi tramite la discussione pubblica; ma la libertà degli antichi non è più praticabile per quattro motivi fondamentali:

    1. maggiore è l'estensione dello stato, minore l'importanza politica del singolo cittadino: questo rende poco proponibile il sacrificio della libertà privata alla partecipazione politica.
    2. l'abolizione della schiavitù ha eliminato il tempo libero da dedicare alla politica: oggi tutti devono lavorare.
    3. il commercio pervade capillarmente la vita delle nazioni: gli individui preferiscono dedicarsi alle speculazioni (economiche) piuttosto che alla discussione politica.
    4. il commercio ispira un amore intenso per la libertà individuale di soddisfare i propri desideri, che mal si concilia con la sophrosyne (dominio di sé) richiesta al cittadino antico.

Molto probabilmente, più di un Greco antico avrebbe visto la libertà dei moderni, nel suo tipo ideale, come una libertà degli idioti. Le cose che hanno veramente un valore sono quelle compiute gratuitamente e liberamente: solo i poveri e gli schiavi sono legati dalla necessità al lavoro. E solo un idiota può vivere in questo modo per propria volontà, senza esserne costretto dalla violenza o dalla fame. In particolare, la democrazia ateniese del V secolo attribuiva un grande valore all'attività politica, a giudicare da quanto Tucidide mette in bocca a Pericle, che commemora i caduti della guerra del Peloponneso: «Siamo i soli a considerare chi non partecipa [agli affari pubblici] non già senza preoccupazioni (apràgmon) ma inetto (achréios)». (II, 40,2)

Inoltre, un Greco avrebbe probabilmente messo in dubbio che le mere libertà civili siano davvero al sicuro in un regime con una partecipazione politica limitata, ritualizzata, elitistica: un potere nei confronti del quale sono passivo, definisce anche le mie libertà private a suo arbitrio. Lo stesso Constant era, d'altra parte, consapevole che la libertà politica è comunque indispensabile, in quanto garanzia delle libertà individuali.

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Oggi gli aspetti dell'argomentazione di Constant connessi alla pervasività del lavoro e del commercio sono messi in dubbio. Come ha sostenuto Jeremy Rifkin, il mondo del lavoro di massa e della conseguente scarsezza di tempo libero per occuparsi anche di politica sta mutando in una maniera tale, almeno nei paesi sviluppati, da riproporre, sia pure in altri termini, la questione del senso dell'esistenza umana al di là della professione e dell'economia.

“Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana. Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro di massa nell'economia di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un’ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza.”

J. Rifkin, The End of Work, New York, Tarcher/Putnam, 1995 (trad. it. di P. Canton, La fine del lavoro, Milano, Baldini & Castoldi, 1997, p. 23).

In un prossimo (?) futuro l'uomo sarà di nuovo libero dal lavoro e potrà tornare a occuparsi di giustizia e politica? E attraverso quali procedure?

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Il ragionamento dicotomico sulla libertà avviato da Constant è stato ripreso da vari sociologi.

Durkheim (1893) basa lo studio dell’evoluzione dell’organizzazione della società sul binomio solidarietà meccanica – solidarietà organica. La prima è espressione delle società rurali pre-industriali, dove non vi è una significativa divisione del lavoro e la coscienza collettiva prevale su quella individuale. La società premoderna non conosce spazi per le differenze e per le individualità, le unità sociali stanno insieme perché sono tutte simili e ugualmente sottoposte all’unità di grado superiore di cui fanno parte (l’individuo alla famiglia, la famiglia al clan, il clan alla tribù). L’essenza di tali società, quindi, risiede nella coesione collettiva.

Al contrario, nelle società industriali in cui fortissima è la divisione sociale del lavoro, ogni individuo e ogni gruppo svolge compiti diversi: la solidarietà non si fonda più sull’uguaglianza ma sulla diversificazione di funzioni specializzate che implica la cooperazione cosciente e libera degli agenti sociali, quindi, lo sviluppo della propria personalità e la conseguente concezione dell’individuo come persona (solidarietà “organica”). La solidarietà organica può indurre alla spersonalizzazione del lavoro e all’alienazione dell’individuo.

Tönnies (1887) distingue due diversi tipi di relazioni sociali: le relazioni sociali che danno luogo alla comunità (Gemeinschaft) e quelle che danno vita alla società (Gesellschaft). Per comunità s’intende un insieme organico, organizzato sulla base di rapporti di sangue e di luogo (relazioni sociali primarie), fondato su presupposti di convivenza durevole, intima ed esclusiva, dunque sul sentimento di solidarietà e sul senso di appartenenza. La forma comunitaria predomina in epoca pre-industriale. La società, invece, è una forma di aggregazione sociale di natura funzionale, alla quale si aderisce volontariamente, in cui i rapporti sono essenzialmente di scambio (relazioni sociali secondarie) che trovano nel contratto la loro espressione tipica. Nelle moderne organizzazioni di lavoro, la società è il modello organizzativo predominante, nonostante nelle ONP (Organizzazioni Non Profit), dove meno preponderante è la caratterizzazione economica e contrattuale, il modello di riferimento è quello della comunità e prevale la componente solidaristica; ciò comporta, però, per queste ultime, la necessità di coniugare l’aspetto sociale con quello economico.

Il problema dell’evoluzione delle organizzazioni è centrale anche nel pensiero di Max Weber (1864-1920), il quale, seguendo un’impostazione dicotomica, costruisce degli idealtipi, ovvero dei modelli teorici (puri) di riferimento che nella realtà assumono forme espressive molteplici, ma che sono fondamentali per la comprensione dei sistemi di governo delle organizzazioni. Nel saggio Economia e società, distingue il potere (= possibilità per un comando di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini) in tre diverse tipologie, sulla base dei differenti criteri di legittimazione:

1. Potere tradizionale: la legittimità dell’autorità proviene dalla tradizione. Si obbedisce alla persona del signore designata dalla tradizione e vincolata alla tradizione. Tale potere poggia sulla credenza nel carattere sacro e sulla giustezza della consuetudine.

2. Potere carismatico: la legittimità dell’autorità deriva da doti eccezionali possedute da chi detiene il potere, che si impongono nel gruppo e fanno sì che nasca una naturale propensione all’obbedienza. Si obbedisce al leader in quanto tale, in virtù della fiducia personale nell’eroismo e nell’esemplarità del capo. Si tratta di un potere che nella maggior parte dei casi non sopravvive alla morte o alla caduta del suo capo originario.

3. Potere burocratico o legale-razionale: è legittimato dalla legge. Poggia, quindi, sulla credenza nella legalità di un sistema di ordinamenti impersonali statuiti legalmente (norme, regole, procedure). Si obbedisce all’ordinamento giuridico e agli individui preposti al potere in base a tale ordinamento, in virtù della legalità formale, delle sue prescrizioni e nell’ambito di queste. Nel caso del potere burocratico, tutti sono sottoposti alle leggi che lo legittimano, sia il detentore sia i destinatari.

Per Weber la società moderna è quella che si fonda sui valori del capitalismo protestante.

“Il Puritano volle essere un professionista; noi dobbiamo esserlo. Perché in quanto l'ascesi fu portata dalla celle dei monaci nella vita professionale e cominciò a dominare nella moralità laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l'ultimo quintale di carbon fossile, lo stile di vita di ogni individuo, che nasce da questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all'attività puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via, secondo la concezione del Baxter, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli «eletti». Ma il destino fece del mantello una gabbia d'acciaio. Mentre l'ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre più grande nella storia. Oggi lo spirito dell'ascesi è sparito, chissà se per sempre, da questa gabbia.”

(M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, pp. 203- 204 in Gesammelte Aufsätze zur Religiophilosophie, I, Tübingen, Mohr, 1978, trad. it. di P. Burresi, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1977, pp. 304-305).

La libertà dei moderni è dunque la libertà del mercato e dei privati nel mercato - la libertà, cioè, di muoversi entro i limiti di una gabbia che altri, in un passato ormai remoto, hanno scelto e definito, e nella quale ormai ci troviamo rinchiusi. Il prezzo di questa semilibertà è la limitazione della partecipazione politica e la rinuncia all'autonomia.

Per Weber la politica nel mondo contemporaneo non è più affare di tutti i cittadini liberi ma è diventata una professione per specialisti.

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Popper (1973): binomio società chiusa – società aperta. La prima è utopica, resistente al cambiamento ed espressione della cosiddetta libertà degli antichi. Quest’ultima consisteva nell’esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità, per cui era compatibile con l’asservimento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme. Nulla era concesso all’indipendenza individuale. L’autorità si intrometteva fin nelle relazioni più intime e le azioni private erano sottomesse ad una sorveglianza severa. Di tutt’altra natura è la società aperta, nella quale vige la cosiddetta libertà dei moderni. Si tratta di una società aperta a più valori, a più visioni del mondo, magari contrastanti. Si basa sul pacifico godimento dell’indipendenza privata, il quale presuppone:

    • la distinzione tra sfera pubblica e privata;
    • la nomocrazia, ossia il governo impersonale della legge;
    • il riconoscimento della libertà individuale e dell’esistenza di diritti fondamentali che lo Stato è tenuto a riconoscere e tutelare.

Come già detto nel primo semestre Popper preferisce di gran lunga la società aperta, e accusa Platone di aver delineato ne "La Repubblica" un modello di società chiusa che è una vera dittatura totalitaria.