CAP 9: LA POLITICA DI ARISTOTELE (383-322 a.C.)

Allievo di Platone, Aristotele aveva idee un po' diverse rispetto al grande maestro.

RIASSUNTINO SULLE DIFFERENZE: Gli piacciono le definizioni chiare. Se vogliano discutere di qualcosa dobbiamo mettere preliminarmente in chiaro di cosa stiamo discutendo. Il punto di partenza e di arrivo è la realtà sensibile. C'è un solo mondo, non due come diceva Platone.

Su cos'è la filosofia scrisse:

"gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dell’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica". (Metaph. A 2, 982 b 11-21, trad. it. Giovanni Reale)

Scrive anche un trattato di Etica, dove si interroga su cosa sia la giustizia.

Come le altre virtù etiche, anche la giustizia implica il giusto mezzo tra eccesso e difetto.

Martha Nussbaum (La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, ed. it. a cura di G. Zanetti, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 555): «Aristotele sostiene che chi tenti di decidere in ogni occasione appellandosi a certi principi generali considerati saldi ed inflessibili è come un architetto che tenti di usare una riga diritta per misurare le complesse curve di una colonna scanalata. Il buon architetto dovrebbe invece prendere le misure con una striscia flessibile di metallo che «si piega alla forma della pietra e non rimane rigida». La buona deliberazione, come questa riga, si adatta a ciò che trova, dimostrando sensibilità e rispetto per la complessità. Non presuppone che la forma della regola governi le apparenze; permette alle apparenze di governarsi da sole e di stabilire se la regola è corretta o meno».

È questa un'osservazione importante, che rivela come l'applicazione di norme alla generalità dei casi possa sembrare giusto in teoria, ma rivelarsi ingiusto nella pratica.

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... Ma voi, miei cari sarete curiosi di sapere cosa ne pensa della politica.

ARISTOTELE dedica alla politica un libro intitolato, con poca fantasia: “La Politica”. Nel libro classifica le diverse forme di organizzazione della polis πόλις (città), dice (e qui Platone sarebbe d'accordo) che il fine della politica è rendere gli uomini felici; ma contro Platone sostiene che non di utopie abbiamo bisogno, ma di un governo moderato che metta d'accordo tutti i ceti.

In ogni caso per Aristotele la vita contemplativa è ritenuta comunque superiore alla vita politica. Meglio occuparsi di filosofia che di politica. La politica deve creare le condizioni perché i filosofi possano filosofare. Come vedete filosofia e politica non sono due ambiti che devono necessariamente essere uniti, come in Platone. Il filosofo può benissimo non occuparsi di politica.

A proposito della politica, Aristotele parte dunque da Platone, ma arriva a conclusioni diverse.

Attenzione, che anche qui, si parla solo di città greche, il resto del mondo è barbarie.

Come spesso fa, inizia una definizione ad effetto dell'essere umano, che diventerà uno slogan di grande successo:

"L'UOMO ANIMALE POLITICO", fuori dalla città l'uomo non può essere felice.

Aristotele, La Politica, libro 1, cap. 2 (estratto).

In questo passo della Politica di Aristotele, l’uomo è posto a fondamento della famiglia e quindi dello stato, che costituisce teleologicamente il fine ultimo di ogni forma di comunità. Definito zòon politikòn l’uomo è un animale portato “per natura” a vivere in una comunità civile, in quanto unico, fra tutti gli esseri ad avere la parola e il solo in grado di percepire il bene e il male.

[1253a] E’ chiaro che l’uomo è per natura un animale politico e chi vive fuori dalla comunità civile, per sua natura e non per qualche caso, o è un abietto o è superiore all’uomo ed è come colui che Omero definisce: “senza lignaggio, senza legge e senza dimora” poiché un tal uomo è allo stesso tempo desideroso di guerra in quanto è isolato come una pedina tra le pedine. Perciò, che l’uomo sia un essere più socievole di qualunque ape e di qualunque animale da gregge, è chiaro. Perché la natura, come diciamo, non fa niente senza ragione e l’uomo è l’unico essere ad avere la parola. La voce è espressione di dolore e di piacere, perciò la posseggono anche gli altri animali; la loro natura, in effetti, è giunta fino al punto di provare le sensazioni del dolore e del piacere e di comunicarli. Ma il linguaggio serve a comunicare ciò che è utile e ciò che è nocivo, e quindi anche ciò che è giusto e ciò che è ingiusto; questo infatti è proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, l’avere egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e delle altre cose; e l’avere in comune tutto questo costituisce la famiglia e lo stato […]. Chi non è in grado di fare parte di una comunità civile o non ha bisogno di nulla perché basta a se stesso, o non è parte dello stato. Quindi o è una bestia o è un dio.

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STRUTTURA DE "LA POLITICA"

  1. Libro I: organizzazione della famiglia ed economia domestica. Prima dello Stato c'è la famiglia, nella quale vediamo bene la disuguaglianza naturale tra gli uomini. Gli uomini nascano dotati di più o meno diritti. Alcuni sono superiori, altri inferiori o schiavi. Alcuni sono nati per comandare, altri per ubbidire. Il marito comanda la moglie (qui in disaccordo con Platone che proponeva la parità dei sessi); il padrone comanda ai suoi schiavi (lo schiavo è considerato inferiore, ma parte della famiglia); il padre comanda sui figli ed è giusto così, perché naturale. La Natura non prevede l’egualitarismo.

"il maschio è per natura migliore, la femmina peggiore, l'uno atto al comando, l'altra all'obbedienza. E' dunque necessario che questo sistema di rapporti regni tra tutti gli uomini. Tutti gli uomini che differiscono dai loro simili tanto quanto l'anima differisce dal corpo e l'uomo dalla bestia (e sono in questa condizione gli uomini la cui attività si riduce all'uso del corpo), sono schiavi per natura, e per loro la cosa migliore è sottomettersi all'autorità di qualcuno." (Politica 1254 b 14)

Dunque

"un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all'azione. (Politica 1254 a)

Lo schiavo è dunque uno strumento, anzi appartiene al genere degli strumenti animati (al quale appartengono anche gli animali domestici) e la sua differenza specifica è che parla.

"quanto all'utilità la differenza è minima: entrambi prestano aiuto con le forze fisiche per le necessità della vita, sia gli schivi sia gli animali domestici. Perciò la natura vuol segnare una differenza nel corpo dei liberi e degli schiavi: questi hanno il corpo robusto per i servizi che devono compiere, quelli eretto e incapace a siffatte attività, ma adatto alla vita politica. Dunque, è evidente che taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi".

(Politica 1254 b-1255 a)

Più famiglie creano un villaggio e dai villaggi nascono le città = forma migliora di organizzazione all'interno della quale l'uomo può raggiungere la felicità. Innaturale è la ricchezza eccessiva che ci si procura col commercio e con l'usura.

"La comunità che si costituisce per la vita quotidiana è per la natura la famiglia... La prima comunità che deriva dall'unione di più famiglie che si propongono di soddisfare bisogni non strettamente giornalieri è il villaggio... La comunità che risulta di più villaggi è lo stato, che ha raggiunto il livello dell'autosufficienza".

(Politica 1252 b 12)

  1. Libro II: analisi critica delle costituzioni in vigore e di quelle proposte dai filosofi precedenti, a cominciare da Platone che col suo "comunismo" opprime l'individuo. La politica per lui serve a permettere la realizzazione dei bisogni dei singoli attraverso lo Stato. La città platonica non solo non è attuabile, ma nemmeno desiderabile. Le persone hanno scarso interesse per tutto ciò che è di proprietà comune, e l'abolizione della famiglia avrebbe conseguenze negative, poiché il fatto di non conoscere i legami di parentela porterebbe a compiere inconsapevolmente incesti e parricidi. La città ideale è contro natura (notare che questo concetto di "natura" è fondamentale per Aristotele).
  2. Libro III: definizione di cittadino = colui che può accedere alle cariche politiche (donne, schiavi, minorenni e meteci NO!), classificazione delle costituzioni: il regno e l'aristocrazia
  3. Libri IV-VI: analisi di oligarchia e democrazia. Aristotele riprende il discorso di Platone sulla possibile degradazione delle forme politiche, ma non è d'accordo che il passaggio debba essere sempre dal meglio al peggio, può anche succedere il contrario.

Governo di uno = Regno che può corrompersi in Tirannide

Governo di pochi = Aristocrazia che può corrompersi in Oligarchia

Governo di molti = Politeia (un ibrido di oligarchia e democrazia) che può corrompersi in Olocrazia

5. Libro VII: la costituzione migliore

  • Necessità degli schiavi ;
  • esclusione dalla cittadinanza di contadini e artigiani: la politica infatti necessita di scholé, tempo libero, del quale essi non dispongono poiché devono lavorare.
  • I cittadini, dovranno impegnarsi come opliti durante la gioventù, essere consiglieri quando saranno maturi e diventare sacerdoti da anziani.
  • Solo i cittadini saranno proprietari di terreni, che saranno lavorati da schiavi e contadini.
  • Come per Platone, esiste un rapporto fra etica e politica. Nell'etica Aristotele ha stabilito che la vita felice è quella che si svolge secondo virtù, e che la virtù è una medietà, dunque la vita media è necessariamente la migliore. In politica Aristotele individua una vita politica migliore perché incentrata su di una costituzione "media". Su di una costituzione cioè che fa perno sull'esistenza e sull'attività di una "classe media", non ricchissima né poverissima e perciò interessata all'ordine sociale e di esso garante. Lo stato vuole essere costituito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succede soprattutto con le persone del ceto medio. Possono essere ben amministrati quegli stati in cui il ceto medio è numeroso e più potente delle due classi estreme.

Affinché possa aver luogo tutto ciò è necessario, come già detto, che si presentino le condizioni ottimali. Questo sarà compito del legislatore, che dovrà trovare i mezzi per rendere possibile il miglioramento della città. La sua azione deve mirare a perseguire la giustizia, eliminare il male e conseguire il benessere: per questo sono necessarie fortuna e virtù. La città sarà felice perché virtuosa, e sarà virtuosa solo se i cittadini lo saranno. Il legislatore dovrà dunque mettere in atto un progetto educativo in grado di renderli tali.

In ogni caso, non ha tanto importanza il regime politico della città, purché però esso garantisca al filosofo la sua indipendenza. L'esperienza ci mette a contatto con numerosi tipi di costituzioni (Aristotele promosse uno studio comparato delle costituzioni di più di cento città, ma di questo lavoro ci resta solo la Costituzione degli Ateniesi). La diversità delle costituzioni si spiega con la diversità delle situazioni storiche fra città e città, delle esigenze sociali, delle forze politiche presenti. La giustizia, per ciascuna città (quella giustizia che regola con le sue leggi le azioni degli uomini e mira alla conservazione della comunità politica) non è altro che la giustizia imposta da chi ha il potere.

"Poiché il trasgressore della legge è ingiusto e chi osserva la legge giusto, è evidente che tutte le cose conformi alla legge sono in qualche modo giuste. Sono conformi alla legge le cose determinate dal potere di porre le leggi; e noi diciamo che ciascuna di queste cose è giusta". (Et. nicom. 1129 b 11)

6. Libro VIII: musica ed educazione.

Il pensiero di Aristotele, ancor più che nell'epoca sua, avrà un successo esagerato nel Medioevo. Dante lo definisce "Maestro di color che sanno".