EPISTEMOLOGIA

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Concetti: 

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Concetti: Opinione e conoscenza; ragione ed esperienza; certezza e dubbio realtà e illusione; oggettivo e soggettivo 

Domande: Ci dobbiamo fidare delle opinioni? A ciascuno la sua verità? Cosa significa "dimostrare" qualcosa? La scienza moderna ci permetterà di tutto conoscere? Dobbiamo andare oltre le nostre illusioni? 


LECTIO 1 - WAS IST PHILOSOPHIE? COS'È LA FILOSOFIA? 

etimo: dal greco Philéin (amare) + sophía (sapienza)

Perché filosofare?

Per Aristotele (Metaph., A, 980a) semplicemente perché gli "uomini tendono per natura alla conoscenza" dalla quale traggono "gioia": 

“Pantes anthropoi tou eidenai orégontai fysei”.

All'origine della filosofia c'è la "meraviglia".


"la filosofia non consiste nell'insegnamento di una teoria astratta, e meno ancora in un'esegesi di testi, ma in un’arte di vivere determinata, in un atteggiamento concreto che impegna tutta l’esistenza. L’atto filosofico non si situa solo nell’ordine della conoscenza; ma nell’ordine del “sé” e dell’essere. È un progresso che ci fa essere più pienamente, che ci rende migliori, che cambia l’essere di colui che lo compie, che segna una metamorfosi della personalità e della nostra visione del mondo, facendoci passare dallo stato di vita autentica, oscurata dall’incoscienza, rosa dalle preoccupazioni, allo stato di vita autentica, dove l’uomo raggiunge la coscienza di sé, degli altri e del mondo."

Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica 


"Il lavoro filosofico è propriamente – come spesso in architettura – piuttosto un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose e su che cosa si pretende da esse." 

Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi 


"La maturazione della nostra visione del mondo è un perpetuo processo di movimento […] un pensiero vivo, l’angolo visuale che sappiamo nostro e in cui siamo presenti con la nostra viva vita." 

Karl Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo 


"Ciò che è al centro della filosofia sono certe questioni che lo spirito umano trova naturalmente enigmatiche. Il miglior modo per cominciare a studiare filosofia è di attaccarle direttamente."

Thomas Nagel, Cosa significa tutto questo? Brevissima introduzione alla filosofia. 


... ma per Kant "in fondo si potrebbe ricondurre tutto all'antropologia" e a 4 questioni fondamentali (l'ultima più importante perché l'uomo è il problema chiave della filosofia):

1) cosa posso sapere?

2) cosa devo fare?

3) cosa posso sperare?

4) cos'è l'uomo?


Albert Camus riduce ulteriormente: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”. (A. Camus, Il mito di Sisifo)


Un elenco dei principali problemi filosofici ancora irrisolti si trova nella lectio magistralis di John R. Searle, tenuta a Pordenone nel settembre 2017.


LECTIO 2 - LA CONOSCENZA

epistemologia (dal greco επιστήμη episteme, "conoscenza certa" ossia "scienza", e λόγος logos, "discorso")

e·pi·ste·mo·lo·gì·a/sostantivo femminile = Lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze; negli ultimi decenni, per influsso del corrispondente termine inglese, il vocabolo viene sempre più usato per designare la teoria generale della conoscenza, quindi, gnoseologia. 

PLATONE, "La Repubblica"

PREMESSE

Il pensiero di Platone ci è arrivato attraverso una serie di dialoghi. Protagonista di quasi tutti i dialoghi platonici è il suo maestro Socrate, figlio di Sofronisco del demo di Alopece (in greco antico: Σωκράτης, Sōkrátēs; Atene, 470 a.C./469 a.C.Atene, 399 a.C.). Qui nasce un grande problema: quello che Platone fa dire a Socrate è il pensiero di Socrate o è quello di Platone. Platone non parla mai nei dialoghi socratici, però è probabile che, partendo dall'insegnamento di Socrate egli abbia sviluppato una sua originale teoria, quelle delle idee. Di Socrate sappiamo quello che di lui raccontano altri filosofi, perché Socrate non scrisse mai nulla, né di sé, né delle sue teorie filosofiche. Per Socrate è assurdo scrivere di filosofia, perché se scrivi vuol dire che hai raggiunto una verità che vuoi insegnare agli altri, ma la verità si raggiunge solo col discorso, confrontandosi con altri e non va mai mummificata in uno scritto. Ti invito a fare una ricerca sulla affascinante personalità di Socrate, amatissimo dai suoi discepoli, ma odiato da altri ateniesi che lo denunciarono di corrompere la gioventù e offendere gli Dei.  Durante il processo (raccontato da Platone ne "L'apologia di Socrate"), anziché scusarsi e accettare una pena mite, Socrate ribadì le sue idee di fronte ai giudici, che lo condannarono a morte. Secondo alcuni interpreti, dietro la figura del prigioniero dell'allegoria della caverna che rientra nella caverna ed è ucciso dagli altri prigionieri, sarebbe da riconoscere Socrate. 

A sua volta Platone creò una scuola di filosofia, che chiamò Accademia. Tra gli allievi illustri anche Aristotele che però, dopo la morte di Platone, lasciò la scuola. C'è da chiedersi come abbia fatto a rimanerci così a lungo perché Aristotele era del tutto in disaccordo con la teoria platonica delle idee. Per Aristotele il mondo delle idee non esiste. Ad Aristotele interessa lo studio della natura, è quella l'unica realtà da indagare per arrivare alla conoscenza. 

Clicca sui link per aprire le pagine con le letture discusse in classe.

 L'allegoria della caverna

Consiglio di lettura: Mario Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Einaudi, Torino 2003.

La metafora della linea

Per Platone esistono diversi gradi di conoscenza da percorrere per arrivare progressivamente alla verità.

1) congettura o immaginazione (eikasia)

2) credenza (pistis)

3) ragione matematica o discorsiva (dianoetica)

4) intelligenza filosofica o noetica (noesis)

Per Platone la conoscenza è reminiscenza delle Idee che l'anima ha conosciuto prima di incarnarsi, ma che ha dimenticato dopo essersi unita a un corpo.

La verità per Platone esiste ed è una sola. È vero il ragionamento che più è vicino all'idea di giustizia e di bene.


La simbologia filosofica del mito della caverna  è ricchissima, si può proporre la seguente interpretazione: 

La caverna oscura = il nostro mondo.  

Gli schiavi incatenati =  gli uomini. 

Le catene = l’ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita.  

Le ombre delle statuette = le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza.  

Il fuoco = il principio fisico con cui i primi filosofi spiegarono le cose.  

La liberazione dello schiavo = l’azione della conoscenza e della filosofia.  

Il mondo fuori della caverna = le idee.  

Le immagini delle cose riflesse nell’acqua = le idee matematiche che preparano alla filosofia.  

Il sole = l’idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile.  

La contemplazione delle cose e del sole = la filosofia ai suoi massimi livelli.  

Lo schiavo che vorrebbe starsene sempre là = la tentazione del filosofo di chiudersi in una torre d’avorio.  

Lo schiavo che ritorna nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle proprie conoscenze.  

L’ex schiavo che non riesce più a vedere le ombre = il filosofo che per essersi troppo concentrato sulle idee si è disabituato alle cose. 

Lo schiavo deriso = la sorte dell’uomo di pensiero di venir scambiato per pazzo da coloro che sono attaccati ai pregiudizi e ai modi di vita volgari.  

I grandi onori attribuiti a coloro che sanno vedere le ombre = il premio offerto dalla società ai falsi sapienti.  

L’uccisione del filosofo = la sorte toccata a Socrate.  


Che le osservazioni fatte nel mondo sensibile non siano sempre in accordo coi ragionamenti di tipo logico e matematico era stato già notato dai filosofi eleati, che Platone conosceva bene. Uno di essi, Zenone era perfino giunto a dire che tempo, movimento e divenire, concetti coi quali abbiamo quotidianamente a che fare nel mondo fisico sono del tutto illogici. Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Borges racconta Zenone cosi':

«Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all'infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla». 

Infiniti sono stati anche i tentativi per risolvere il paradosso di Zenone.

Quel che Zenone voleva dimostrare coi suoi paradossi era la tesi della impossibilità del moto

"paradosso dello stadio

"paradosso di Achille e la tartaruga

"paradosso della freccia". 

In tutti i suoi paradossi il fine è quello di dimostrare che accettare la presenza del movimento nella realtà implica contraddizioni logiche ed è meglio quindi, da un punto di vista puramente razionale, rifiutare l'esperienza sensibile ed affermare che la realtà è immobile. Questi paradossi implicano anche il concetto di infinita divisibilità dello spazio ed è questa la ragione per cui hanno ricevuto una notevole attenzione da parte dei matematici. 

Un altro filosofo di Elea, Melisso, dimostra che il movimento non esiste.  Per muoverci dobbiamo spostarci in uno spazio vuoto, ma il vuoto = nulla, quindi  non esiste. La premessa però è discutibile. Perché il vuoto = nulla? 

PICCOLO DIZIONARIO FILOSOFICO

Pensiero induttivo o "dal particolare al generale". Cerca di stabilire una legge universale partendo da singoli casi particolari. Nel greco antico è traducibile con l'espressione epagoghé (ἐπαγωγή). Contrapposto a quello induttivo è il metodo deduttivo (anche detto "metodo aristotelico"), che al contrario procede dall'universale al particolare

Il metodo induttivo è considerato da molti meno sicuro del deduttivo. Tra questi c'è il matematico Bertrand Russell, che spiega perché è meglio non fidarsi del ragionamento induttivo con la famosa storiella del tacchino americano: 

«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.»

(Bertrand Russell, 1912)

Maieutica. E' la tecnica filosofica usata da Socrate, che consiste nel "tirare fuori la verità" dal suo interlocutore stuzzicandolo con opportune domande. Secondo Platone (dialogo Teeteto), Socrate si sarebbe comportato coi suoi discepoli come una levatrice, aiutando gli altri a «partorire» la verità: tale metodo consisteva nell’esercizio del dialogo, ossia in domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma.

Sofisti. Sono un gruppo di filosofi presentati (sempre male da Platone e Aristotele). Platone e Aristotele li disprezzavano perché si facevano pagare per insegnare la filosofia. Inoltre, Socrate è spesso descritto come intento a smontarne lo SCETTICISMO. Per gli scettici è inutile cercare la verità, perché a una verità condivisa e perenne non arriveremo mai. La verità non esiste. Per i sofisti, non è che non esista, è che ce ne sono miliardi di verità. Non esiste un'unica verità. Tutto è soggettivo. Ci sono tante verità quanti sono gli uomini. Se riesco a convincere qualcuno di qualcosa è perché sono riuscito a usare in maniera efficace il linguaggio. Per Socrate, Platone e Aristotele questo atteggiamento è molto pericoloso perché esclude a priori che si possano trovare valori morali validi per tutti sui quali fondare la pacifica convivenza civile. 

Doxa = opinione, quello che la gente crede vero. Da Doxa viene il termine paradosso παρα- (parà) = contro con δόξα (dòxa) = opinione. Paradossale è un ragionamento che va contro l'opinione comune. Tutti pensano che Achille sorpasserà la tartaruga, ma Zenone mostra che non è proprio certo che le cose andranno così. 

Logica = "ciò che concerne il λόγος" (logos), nel senso di "ragione", "discorso". Se sei sul piano logico stai parlando del pensiero e stai cercando di scoprire le sue regole di funzionamento. In italiano avrai svolto esercizi di analisi logica, come logico deve essere il linguaggio matematico. Se diciamo che le idee di Platone hanno valenza logica, stiamo dicendo che sono nel pensiero, pensiamo idee.

Ontologico = il termine deriva dal greco ὄντος, òntos (genitivo singolare del participio presente del verbo εἶναι, èinai, «essere») e da λόγος, lògos («discorso»). Se fai un discorso di tipo ontologico stai parlando della realtà, una realtà che è esterna al pensiero. Se le idee di Platone hanno valenza ontologica esistono anche fuori dalla mente che le pensa. Ma dove? E cosa sono esattamente? E potremo mai davvero vederle come fa il prigioniero che è uscito dalla caverna? 

Arrivati a questo punto dobbiamo proprio fare un test A. 

TEST A 22 ottobre 2020

COSE DA SAPERE

- teoria della conoscenza di Platone come illustrata nel dialogo LA REPUBBLICA. Brani letti: la metafora della linea e l'allegoria della caverna, se hai letto solo uno dei due trovi l'altro in questa pagina web, torna su e clicca sul link;

- i paradossi di Zenone;

- devi avere chiara la differenza tra logico e ontologico;

- altre teorie della verità: lo scetticismo, i sofisti;

- il rapporto tra Socrate e Platone;

- il metodo socratico di ricerca del vero "conosci te stesso";

- la critica di Aristotele alla dottrina platonica delle idee;

- pensiero induttivo e pensiero deduttivo;

Esempio di pensiero induttivo.

Articolo su pregi e limiti dei modelli matematici.


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LECTIO 3 - ARISTOTELE


Simpatico video su Aristotele.

Video molto più serioso che spiega perché è importante Aristotele.

3.1 ARISTOTELE E PLATONE

Anche Aristotele distingue varie forme di conoscenza, ma non la pensa esattamente come il suo maestro Platone.

Aristotele critica la dottrina delle idee.

La verità è raggiungibile attraverso un rigoroso metodo di analisi. Il discorso deve rispettare regole logiche.

L'uomo conosce induttivamente attraverso le sensazioni, che fissa nella memoria per creare generalizzazioni e trovare quindi la spiegazione delle cause dei fenomeni. 

Le tappe della conoscenza sono dunque:

1) sensazione che hanno anche gli animali, 

2) memoria che hanno anche gli animali, 

3) esperienza che hanno anche alcuni animali in forme semplici, 

4) arte solo umana. L'ARTE o tecnica (dal greco τέχνη (téchne), "arte" nel senso di "perizia", "saper fare", "saper operare") è da Aristotele intesa nel senso di capacità di agire, di fare qualcosa che ci dia piacere o risponda a un bisogno. 

5) scienza delle cause solo umana (forse nemmeno umana, ma solo divina). Arriviamo qui praticando l'ozio (scholé in greco, termine che dà origine al nostro scuola). 

Partiti dal particolare (una sensazione singola, siamo giunti al generale, alla regola astratta di funzionamento che varrà per tutti i casi concreti).

3.2) CLASSIFICAZIONE DELLE SCIENZE PER Aristotele:   

1) le scienze applicabili (quelle che mi consentono di produrre qualcosa) "teknai";  

2) le scienze NON applicabili (quelle che non mi fanno produrre niente).   

  

A proposito delle "teknai" Aristotele propone un'ulteriore tripartizione tra:  

a) necessarie, le prime che l'uomo deve acquisire perché consentono la sua sopravvivenza  

b) utili che offrono comodità non fondamentali ma importanti  

c) piacevoli ma inutili (come le arti nel senso comune del termine).   

In ogni caso, le teknai sono forme inferiori di conoscenze perché legate al soddisfacimento di esigenze pratiche o piaceri.   

 

3.4) Aristotele secondo J. Losee, Introduzione storica alla filosofia della scienza Capitolo 1.  

● Per Aristotele la conoscenza consiste nel ricavare per induzione (epagoghè) dalle osservazioni alcuni principi esplicativi generali e nel dedurre da quei principi i fenomeni che devono essere spiegati. Raggiungiamo una spiegazione scientifica degli eventi osservati solo quando le asserzioni che descrivono i fatti vengono dedotte da principi esplicativi generali.  

● Aristotele distingue negli individui del mondo naturale la materia e la forma. La conoscenza scientifica degli individui è possibile solo attraverso le proprietà formali. Queste vengono riconosciute attraverso il processo di induzione.   

«un argomento deduttivo è quello secondo cui la conclusione segue dalle premesse con necessità assoluta, questa necessità non essendo questione di grado, né dipendendo in alcun modo da qualunque altra cosa possa verificarsi; in netto contrasto, un argomento induttivo è quello secondo cui la conclusione segue dalle premesse solo con un certo grado di probabilità, questa probabilità essendo questione di grado e dipendendo da quant’altro possa verificarsi». (Copi e Cohen, Introduzione alla logica 1961-1994, p. 75).  

Se oltre alla probabilità si tiene conto dell’ampliatività del contenuto della conclusione rispetto a quanto è contenuto nelle premesse, possiamo dire che nell’induzione, diversamente dalla deduzione, il contenuto informativo della conclusione non è interamente incluso nelle premesse. Come si intuisce, l’esiguità del numero di casi presi in considerazione nell'induzione indebolisce fortemente la probabilità che la conclusione sia vera, a meno che la scelta del caso e della proprietà non sia strategica, cioè tale da fornire evidenza alla possibilità di estendere l’induzione a tutti gli elementi della classe. È questo un modo molto comune di procedere nell’esperienza quotidiana, dove un singolo caso, ad esempio la scottatura prodotta dal toccare un ferro da stiro acceso, si trasferisce su tutti i casi di quel tipo, preservandoci dalle bruciature.  

 

3.5) Aristotele distingue due tipi di induzione:   

nel primo tipo si osserva che una proprietà P vale per parecchi individui della specie S e si conclude che la proprietà vale per tutti gli individui della specie S (induzione completa).  

In notazione moderna ∀x. S(x) → P(x)   

Similmente, si osserva che la proprietà P vale per parecchie specie S1, S2, .. del genere G e si conclude che la proprietà P valga per il genere G.   

L'induzione non può fondarsi sull'osservazione di TUTTI i casi di una determinata proprietà; in questo senso, Aristotele la giudica un'argomentazione più debole del sillogismo. Relativamente alla natura, tuttavia, egli ritiene sufficiente a stabilire premesse universali il fatto che certi fenomeni si verifichino "per lo più"; ciò basta a indicare che essi derivano dalla natura delle cose cui si riferiscono (cioè dalla loro essenza), in base al principio che "la natura non opera a caso". L'induzione dunque non si fonda sull'enumerazione, ma si serve di questa come base di un processo di astrazione e di intuizione intellettuale dell'essenza delle cose. In concreto: l'osservazione di un numero anche limitato di casi basta all'intelligenza, secondo Aristotele, per distinguere nelle cose osservate i caratteri essenziali da quelli accidentali (astrazione), e per cogliere quindi - con una specie di salto intuitivo dai particolari all'universale - l'essenza delle cose stesse.  

Il secondo tipo di induzione richiede una capacità di intuizione delle proprietà essenziali dei fenomeni e delle vere cause degli eventi: dall'osservazione che la parte luminosa della luna è rivolta verso il sole si intuisce che la luna risplende perché riflette la luce del sole. Similmente lo scienziato che classifica le specie animali impara a "vedere'' gli attributi generici e le differenze specifiche di un esemplare.   

Un argomento induttivo è quello secondo cui la conclusione deriva dalle premesse solo con un certo grado di probabilità, ampliandone il contenuto.  

Nello stadio deduttivo le generalizzazioni ottenute per induzione diventano premesse per la deduzione di altre asserzioni.   

Aristotele riconosce quattro tipi di giudizi: A, E, I e O. Sia P una proprietà ed S una specie:   

Giudizio A: Ogni S è P ∀x. S(x) → P(x) universali affermativi ("Tutti gli A sono B"),  

Giudizio E: Nessun S è P ∀x. S(x) → ¬ P(x) universali negativi ("Nessun A è B"),  

Giudizio I: Qualche S è P ∃ x. S(x) ∧ P(x) particolari affermativi ("Qualche A è B")  

Giudizio O: Qualche S non è P ∃ x. S(x) ∧ ¬ P(x) particolari negativi ("Qualche A non è B").  

Se vuoi vedere i giudizi rappresentati con diagramma di Eulero-Venn e stupire il tuo professore di matematica clicca qui.

Per ottenere una conoscenza veramente fondata è preferibile la DEDUZIONE, facendo ricorso al sillogismo scientifico, a condizione però che esso parta da premesse vere e necessarie. Poiché tali premesse non possono essere a loro volta dimostrate, dato che proprio da queste deve partire la dimostrazione, Aristotele giunge ad utilizzare le "definizioni", cioè frasi che contengono in sé l'essenza di un argomento e si ottengono per un'intuizione dell'intelletto

L'induzione può servire come avviamento dell'intuizione intellettuale (in maniera simile a quanto affermava Platone secondo cui la percezione sensibile serviva a risvegliare la reminiscenza intuitiva delle idee); in tal senso Aristotele attribuiva a Socrate di aver scoperto l'induzione, ma questa attribuzione è impropria perché Socrate non sviluppò mai una logica cosi' raffinata.

I giudizi possono essere combinati per creare un ragionamento sillogistico. 

Ma cosa si predica del soggetto? Aristotele è un classificatore sistematico, classifica anche i diversi aspetti delle cose: 10 tipi di informazioni che chiama CATEGORIE 

3.6) IL SUCCESSO DELLA LOGICA ARISTOTELICA NEL MEDIOEVO

Le proposte teoriche della logica classica di Aristotele sono state perfezionate in epoca medioevale, tanto che si parla di logica aristotelico-medioevale.

Nel Medioevo i rapporti tra i giudizi riassunti con la figura del cosiddetto QUADRATO LOGICO.  


Gli appassionati leggano l'approfondimento della Stanford Encyclopedia of Philosophy.

ll sillogismo (dal greco συλλογισμός, syllogismòs, formato da σύν, syn, "insieme", e λογισμός, logismòs, "calcolo": quindi, "ragionamento concatenato") è un tipo di ragionamento dimostrativo che, per Aristotele, costituisce la forma fondamentale di argomentazione logica. È costituito da tre proposizioni dichiarative connesse in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione (per es. «tutti gli uomini sono mortali, tutti i Greci sono uomini, quindi tutti i Greci sono mortali»).  

● CONCLUSIONE A PROPOSITO DEL SILLOGISMO VALIDO: il ragionamento con tre frasi di tipo AAA è uno dei 19 sillogismi validi (in tutto i sillogismi possibili sono 64). Il sillogismo AAA è detto sillogismo BARBARA, perché nel Medioevo ai 19 sillogismi validi fu attribuito un nome che doveva contenere la vocale che rappresentava il tipo di giudizio usato (A E I O).   

ESEMPIO DI SILLOGISMO "BARBARA":

Premessa maggiore: Tutti gli animali sono esseri viventi (A)

Premessa minore: Tutti gli uomini sono animali (A)

Conclusione: Tutti gli uomini sono esseri viventi (A)

PROBLEMA: il sillogismo non dà alcuna conoscenza nuova, bensì, attraverso il ragionamento, permette di dedurre altri giudizi o conoscenze non esplicitati o posti nelle proposizioni.

I sillogismi validi sono quelli che soddisfano le seguenti regole: 

1. Ci devono essere solo tre termini (soggetto, predicato e termine medio). 

2. Il soggetto e il predicato devono essere distribuiti in modo uguale nelle premesse e nella conclusione. 

3. Il termine medio non deve mai comparire nella conclusione. 

4. Il termine medio deve essere distribuito in almeno una delle due premesse. 

5. Da due premesse negative non segue alcuna conclusione. 

6. Da due premesse affermative segue una conclusione affermativa. 

7. Da due premesse particolari non segue alcuna conclusione. 

8. Se una delle due premesse è negativa, la conclusione dovrà essere negativa; se una delle due premesse è particolare, la conclusione dovrà essere particolare.

3.7) LA SPIEGAZIONE SCIENTIFICA PER ARISTOTELE 

Aristotele ritiene che ogni spiegazione scientifica debba specificare le quattro cause di un fenomeno, causa materiale, formale, efficiente e finale.    


3.8) Aristotele si allontana su più punti dal suo maestro Platone:


LECTIO 4 - DALL'ORGANON AL NOVUM ORGANON: FRANCIS BACON

FRANCIS BACON (1561-1626)

Nel Novum Organon Bacon contrappone alla logica aristotelica, una nuova logica di tipo sperimentale e induttiva. 

Bacone teorizzò l'esigenza di abbandonare il modo di procedere essenzialmente teorico della scienza ereditata dagli antichi, che si basava, anziché sull'osservazione della natura, su un metodo prevalentemente deduttivo e aprioristico, ovvero su un impiego della "mente distaccata e disgiunta dall'evidenza dei fatti". A questo procedimento Bacone volle opporne uno dotato di fecondità euristica, capace di condurre a nuove scoperte mediante l'impiego di un metodo induttivo. 

La tappe della conoscenza sono dunque per Bacon:

1) sensazioni e fatti particolari 

2) elaborazione razionale delle esperienze attraverso esperimenti controllati contro l'inganno dei sensi (che però non prevedono la misurazione e il calcolo matematico applicato ai fenomeni)

3) proposizioni intermedie

4) proposizioni generali 

Attenzione però, il processo porterà alla verità scientifica solo se la nostra mente nel rielaborare le sensazioni non sarà condizionata dalla soggettività. Bisogna dunque purificare la mente da ogni pregiudizio perché essa possa riflettere fedelmente la realtà.

La metodologia presentata nel Novum Organum comprende una pars destruens intesa a rimuovere tutti i pregiudizi e i preconcetti che generano concezioni erronee, denominate "idoli". 

Essi sono gli "idoli della tribù" (cioè gli errori radicati nell'intero genere umano), 

gli "idoli della spelonca" (derivanti dall'educazione ricevuta e dalle abitudini contratte da ciascun uomo, la cui prospettiva individuale è simile alla caverna di cui parla Platone nella Repubblica), 

gli "idoli del foro" (che coincidono con i pregiudizi derivanti dall'uso del linguaggio) 

e gli "idoli del teatro" (i dogmi delle filosofie tramandate, recitati come se fossero testi di teatro).

 F. Bacon, Novum Organon, I,  XXXVIII-XXXIX, XLI-XLIV 

 XXXVIII Gli idoli e le false nozioni che penetrarono nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti umane in modo da rendere difficile l’accesso alla verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia nella stessa instaurazione delle scienze: almeno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano, per quanto è possibile contro di essi.

XXXIX Quattro sono le specie degli idoli che assediano le menti umane. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo la prima specie idoli della tribú; la seconda idoli della spelonca; la terza idoli del mercato; la quarta idoli del teatro.

XLI Gli idoli della tribú sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribú o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente che il senso umano è la misura delle cose ché al contrario tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, derivano dall’analogia con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. Rispetto ai raggi delle cose l’intelletto umano è simile a uno specchio disuguale che mescola la sua propria natura a quella delle cose e la deforma e la travisa.

XLII Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e della conservazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di coloro che si onorano e si ammirano, o a causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o calmo ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro mondi particolari e non nel piú grande mondo a tutti comune.

XLIII Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo idoli del mercato [IDOLA FORI] a causa del commercio e del consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si provvidero e con le quali si protessero in certi casi, non sono in alcun modo servite di rimedio. Anzi le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.

XLIV Vi sono infine gli idoli che penetrano negli animi degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza.

 (Il pensiero di F. Bacon, a cura di P. Rossi, Loescher, Torino, 1974, pagg. 114-117)

Prepara un’esposizione di 20 minuti attorno al tema centrale trattato da Bacon in questo brano. Fai riferimento anche ad altri autori, soprattutto ad Aristotele. 

Nella sua utopia La nuova Atlantide immagina un mondo nel quale la scienza e la tecnica unita hanno permesso all'uomo di sconfiggere le malattie, di incrementare la produzione dei beni, di alleviare le fatiche dell'uomo attraverso il lavoro automatizzato. Grazie alla scienza la natura è piegata al servizio dell'uomo. Il fine della ricerca è migliorare la qualità della vita. Dunque ad un avanzamento scientifico corrisponde avanzamento tecnologico.

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LECTIO 5 - GALILEO GALILEI 


FEDE E SCIENZA

LEGGI la "Lettera al cardinal Piero Dini" di Galileo: la Bibbia e la scienza, derivano entrambe da Dio, quindi esse dovranno giungere agli stessi risultati, se si contraddicono, la causa è una cattiva interpretazione della Bibbia. 

La Bibbia è stata scritta sicuramente per ispirazione Dio, ma ha dovuto conformarsi alle conoscenze dei popoli rozzi in cui venne accolta.

L'insegnamento di Dio non voleva essere scientifico, ma puramente etico-religioso.

Su questi punti vedi anche la lettera di Galileo alla Granduchessa di Toscana Cristina di Lorena.

IL METODO (induttivo-osservativo ) SCIENTIFICO DI GALILEO

1) formulazione ipotesi 

2) dati e misurazioni con strumenti del fenomeno 

3) individuazione momenti semplici che costituiscono il fenomeno nella sua complessità 

3) traduzione dei dati in formule matematiche

4) momento analitico e risolutivo = riproduzione dei fenomeni nell'esperimento (verifica empirica) che può essere anche mentale per confermare l'ipotesi

5) confutazione ipotesi o elaborazione di una teoria/legge

INDUZIONE E DEDUZIONE SONO COSÌ RIUNITE DA GALILEO NEL SUO METODO

L'induzione rimanda infatti alla deduzione perché:

Ø      Le esperienze sono rielaborate da un contesto matematico razionale

Ø      Le osservazioni sono illuminate da un'ipotesi che le seleziona

La deduzione rimanda all'induzione perché:

Ø      L'esperienza fornisce l'input per le ipotesi

Ø      Intuizioni e ipotesi acquisiscono valore solo attraverso il "cimento"

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Il testo che segue è tratto dal Saggiatore, un'opera del 1623 scritta in italiano e interamente in forma di lettera, in polemica col gesuita Oratio Grassi Salonensi, che quattro anni prima, con lo pseudonimo di Lotario Sarsi Sigensano, aveva pubblicalo uno studio sulle comete, intitolato Libra astronomica ac philosophica («Bilancia astronomica e filosofica»). Di qui il titolo della risposta di Galileo: il «saggiatore» era infatti una bilancina utilizzata per pesare i metalli preziosi, molto più precisa di una comune «libra». Galileo propone una sua teoria sulla natura delle comete (teoria che si rivelerà poi errata).

“Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all'opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d'un altro, ne dovesse in tutto ri­manere sterile ed infeconda, e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d'un uomo, come l'Iliade e l'Orlando furioso, libri ne' quali la meno im­portante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente paro­la; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.”

1)    Individua e spiega la tesi principale di questo testo.

2)    L'importanza del Saggiatore sta soprattutto nel fatto che in esso e descritto e appas­sionatamente difeso un nuovo modo di accostarsi alla conoscenza della natura. Descrivi questo nuovo metodo di Galileo.

3)    Nel brano c’è anche un attacco al principio di autorità. Trovalo e spiegalo.

PER APPROFONDIRE LEGGI "VITA DI GALILEO" DI BERTOLT BRECHT

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LECTIO 6 - CARTESIO / RENATO DELLE CARTE / RENÉ DESCARTES (1596-1650)

- Estratti dal "Discorso sul metodo"

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LECTIO 7 - BLAISE PASCAL (1623-1662) CONTRO CARTESIO 

Pascal distingue nell’uomo l' "esprit de géométrie" e l' "esprit de finesse"; il primo è la ragione, intesa nell'accezione cartesiana di "ragione pesante".

Vi sono quindi fondamentalmente due limiti della ragione: l'esperienza e l'indimostrabilità dei principi primi.

L'uomo è ragione, ma non vi si esaurisce perché non è in grado di giustificare se stessa.

Allo spirito di geometria piuttosto, si deve affiancare lo spirito di finezza che si fonda sul "cuore" = comprensione istintiva. "Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce".


Lo spirito di finezza comprende intuitivamente, quello di geometria ragiona intellettualmente. Il limite maggiore della scienza è il fatto che di fronte agli interrogativi umani essa risulta muta ed estranea.

Tuttavia nel pensiero di Pascal non sono solo la scienza e la ragione ad avere dei limiti conoscitivi.

Anche la filosofia ha limiti come quelli riferiti alle dimostrazioni razionali di Dio, che non sono possibili quindi inutili ed astratte.

Fra il dogmatismo di una ragione convinta delle proprio illimitate possibilità ed il radicale scetticismo di chi crede che sia i sensi che la ragione offrano una immagine ingannevole del mondo, Pascal sceglie una terza via : quella di una conoscenza limitata del mondo, mai definitivamente compiuta, ma non per questo vana e priva di risultati.

LECTIO 8 - IMMANUEL KANT

La materia è «la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza». La forma invece è la legge che ordina la materia sensibile indipendentemente dalla sensibilità. In questo modo la realtà non modella la nostra mente su di sé, ma è la mente che modella la realtà attraverso le forme tramite cui la percepisce.

Il senso comune erroneamente crede che l'uomo quando conosce adatti i suoi schemi mentali agli oggetti recependone i dati sensibili che da questi provengono: in realtà il nostro intelletto non si limita a una funzione passiva ma esercita un'attività critica e deduttiva modellando la realtà secondo forme necessarie e universali caratteristiche delle leggi naturali. 

« Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta [...] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che [...] essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. »

(Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura [1787], Laterza, Roma-Bari 2000)

Come Copernico aveva messo il Sole, e non la Terra, al centro dell'universo, così Kant intendeva ora collocare il soggetto umano al centro del processo conoscitivo. Prima della rivoluzione kantiana era l'uomo (soggetto) a doversi adattare alla natura (oggetto), adesso col ribaltamento dei ruoli sarà la natura a doversi adattare all'uomo. 

La realtà come ci appare in base alle forme a priori è il fenomeno, mentre la realtà in sé, così com'è, è indipendente da noi ed è inconoscibile.

Kant definisce quindi la conoscenza come ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione.

Su questa tripartizione del processo conoscitivo si articola la Critica della ragione pura.

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LECTIO 9 - Karl Raimund POPPER (Vienna, 28 luglio 1902Londra, 17 settembre 1994)  e la filosofia della scienza del Novecento.

« Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l'unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere. »

(Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico.)

La conoscenza umana è di natura congetturale e ipotetica, e trae origine dall'attitudine dell'uomo a risolvere i problemi in cui si imbatte, quando cioè appare una contraddizione tra quanto previsto da una teoria e i fatti osservati.

In tal senso la contraddizione svolge un ruolo fondamentale per il progresso scientifico, che non è stimolato dalla semplice osservazione empirica: gli uomini infatti, e così pure gli animali, non pensano in termini induttivi, come riteneva erroneamente Bacone, ma partono da modelli mentali speculativi che fanno da guida alle loro esperienze, attraverso un processo continuo di tentativi ed errori. 

L'osservazione non è mai neutra ma è sempre intrisa di teoria, al punto che risulta impossibile distinguere i "fatti" dalle "opinioni". Kantianamente Popper sostiene che anche in ogni approccio presunto "empirico" la mente umana tende a sovrapporre i propri schemi mentali, con le proprie categorizzazioni, alla realtà osservata. Poiché non possediamo mai fatti, ma sempre solo opinioni, ne consegue il carattere meramente congetturale, e quindi fallibile, della scienza:

« La base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di "assoluto". La scienza non poggia su un solido strato di roccia [...]. È come un edificio costruito su palafitte. »

(K. Popper, Logica della scoperta scientifica, V, 30)

Ciò non vuol dire affatto che occorra rinunciare alla ricerca della verità oggettiva, perché, proprio grazie agli errori, abbiamo la possibilità di approssimarci idealmente ad essa, attraverso un costante processo evolutivo di eliminazione del falso. La verità è da ammettere cioè come ideale regolativo che rende possibile l'azione dello scienziato e le dà un senso. La teoria einsteniana della relatività potrebbe effettivamente corrispondere alla realtà (noumenica), senza che tuttavia se ne abbia mai umana certezza, essendo impossibile una prova definitiva. Non potremo mai avere la certezza di essere nella verità. 

Per Popper il termine "verità scientifica" non ha significato. Se 1000 esperimenti confermano un'assegnata teoria T, non è detto che T sia "vera". Semplicemente, aumenta il nostro grado di fiducia nei suoi confronti. Infatti, se un solo esperimento invalida la predetta teoria, ne consegue necessariamente la sua falsità. In tale paradigma, una teoria può ritenersi scientifica se e solo se è falsificabile. Lavoriamo sul falso perché al vero non arriveremo mai. 

« Dobbiamo distinguere chiaramente tra verità e certezza. Aspiriamo alla verità, e spesso possiamo raggiungerla, anche se accade raramente, o mai, che possiamo essere del tutto certi di averla raggiunta [...] La certezza non è un obiettivo degno di essere perseguito dalla scienza. La verità lo è. »

(Karl R. Popper, Congetture e confutazioni, prefazione italiana, 1985)

Per quanto numerose possano essere le osservazioni sperimentali a favore di una teoria non possono mai provarla definitivamente e basta anche solo una smentita sperimentale per confutarla. Da singoli casi particolari non si potrà mai ricavare una legge valida sempre e in ogni luogo, proprio perché non possiamo fare esperienza dell'universale. Se ne deduce che lo scopo della scienza non è dunque la ricerca pura della verità, ma più propriamente la ricerca di una verità che sia dotata di una considerevole tendenza alla probabilità, o di un alto grado probabilistico.

Su tali presupposti Popper fonda la sua serrata critica dell’induttivismo – il principio metodologico sul quale si basava la tradizione empirista –, riprendendo le tesi di un empirista radicale come Hume, che aveva negato la possibilità di giungere legittimamente ad asserzioni generali, universali, procedendo da asserzioni singolari o particolari.

Ne consegue la critica del principio di verificazione, in quanto non applicabile alle leggi universali della scienza. Tale principio è solo un’utopia, poiché né le leggi scientifiche né «le teorie sono mai verificate empiricamente». Queste, pertanto, si configurano sempre come ipotesi. Ad esempio, per quanto siano numerose le verifiche a sostegno di una determinata ipotesi, basterebbe una ed una sola dimostrazione (o verifica) accettabile a sostenere il contrario (o la negazione) di tale ipotesi, per far crollare l’intera struttura della teoria stessa. Qualsiasi ipotesi, dunque, è potenzialmente falsificabile, in quanto in futuro potrebbe sempre dimostrarsi falsa

Le teorie sono «assunzioni provvisorie, anticipazioni infondate» che non possono essere dimostrate.

La scienza è innanzitutto elaborazione di ipotesi. Popper sostiene con decisione il primato della teoria sull’esperienza, della struttura ipotetico-deduttiva della scienza su quella induttiva, e considera assurda l’opinione che essa possa partire da pure osservazioni senza alcun tipo di teoria. L’induzione è accettabile solo quando si muove all’interno di un ben preciso orizzonte teorico e non viene più considerata come un procedimento fondante.

Il filosofo introduce quindi uno dei concetti portanti del suo pensiero: il problema della demarcazione. Tale criterio di “demarcazione” fra ciò che chiamiamo scienza e ciò che definiamo non-scienza si fonda sul principio di falsificazione.

Le ipotesi generali in campo scientifico, frutto di elaborazione razionale, sono falsificabili, cioè «tali da poter esser smentite dall’esperienza». Pertanto, viene considerato “scientifico” un sistema di proposizioni che dispone di sistemi di controllo empirico che possano confutarlo. In altri termini, dato che una teoria o un’asserzione è falsificabile se esiste almeno un “falsificatore potenziale”, cioè un asserto di base che possa entrare in contrasto con la teoria, tale teoria, per essere considerata scientifica, deve prestarsi a controlli che possano – eventualmente – dimostrarne la falsità.

L’impostazione induttivista viene rovesciata: l’esperienza non serve a fondare una teoria, ma serve a confutarla. Mentre, sulla base del principio di verificazione, occorrerebbero infinite prove per “verificare” una legge, per il principio di falsificazione è sufficiente una sola prova per accertare che un’ipotesi scientifica è falsa («basta un solo cigno nero per smentire l’asserzione “tutti i cigni sono bianchi”»).

La falsificabilità è anche il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza: una teoria è scientifica se, e solo se, essa è falsificabile. Che una teoria sia falsificabile significa che deve essere espressa in forma logica e deduttiva, tale da partire da un asserto universale per ricavarne, in maniera rigidamente concatenata, una conseguenza particolare, controllabile empiricamente.

Questo presupposto, oltre a rifarsi in gran parte all'approccio sintetico-deduttivo di Kant, che aveva fatto dell'Io il legislatore della natura, si basa sulla concezione aristotelico-tomista della verità come «corrispondenza ai fatti».

Popper rivolge un duro attacco alle pretese di scientificità della psicoanalisi e del materialismo dialettico del marxismo, dal momento che queste teorie, per via della loro irrazionalità, non possono essere falsificate.

" Nessuno può evitare di fare errori; la cosa grande è imparare da essi. "

(K. R. Popper, Conoscenza oggettiva, da La teoria del pensiero oggettivo, Armando 1975)

Karl Popper e Thomas Kunn