Quaresima 2009

Prima domenica

L’apostolo Giovanni ci ricorda che Dio “è amore”. S. Agostino scrive “ama e fai quello che vuoi”. Frase che è stata usata anche per atti di un egoismo immenso. Si tratta quindi di capire cos’è realmente l’amore.

C’è da dire che in questo caso la nostra lingua non ci aiuta molto Infatti noi diciamo ugualmente ‘amo mia moglie e i miei figli’, ma anche ‘amo la Ferrari, o la tal squadra, o la cioccolata, ecc. ecc.’. Chiaramente si tratta di diversi tipi di amore.

Ma c’è un modo di intendere l’amore che mi sembra stia sempre più prendendo piede. Cioè l’amore come possesso. Amare sta sempre più diventando sinonimo di ‘avere’ o ‘voler avere’. Ma è questo il modo di amare di Dio? Direi proprio di no, anzi! Dio ama non prendendo, ma donando, donandosi. Allora capiamo che amare non significa volere per sé, ma donarsi, e donarsi in modo totale.

Ma questo non basta. Intimamente legata all’amore c’è la libertà. Difatti Dio, che ci ha creati per amore, ci ha creati liberi, e tutta l’azione di Dio nella storia è proprio per ridonarci la libertà perduta. Il verbo amare non contempla l’imperativo. Non si può obbligare ad amare e solo chi è libero può realmente amare. Però oggi si pensa che la propria libertà debba essere senza limiti, al massimo si dice che la propria libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro. Ma in questo modo siamo sempre alla legge del più forte, in cui si cercherà di limitare l’altrui libertà per aumentare la propria. Se invece ci rendessimo conto che la mia libertà inizia dove inizia quella degli altri, che la libertà per essere tale deve comprendere un’altra parola, cioè responsabilità! Se voglio realmente essere libero devo essere responsabile dei miei atti ma anche della libertà degli altri. E non potrò mai essere realmente e completamente libero fino a che non lo saranno anche gli altri.

Per essere pienamente uomini, e quindi figli di Dio dobbiamo iniziare da qui: liberamente amare e responsabilmente darsi da fare perché tutti siano liberi.

Seconda domenica

Quando pensiamo alle sofferenze e alle violenze patite da Gesù durante la Passione, pensiamo alle frustate, alla corona di spine, alla crocifissione, cioè alle varie torture fisiche.

Ma c’è un’altra forma di violenza che Gesù ha patito per tutte le ore che vanno da prima del suo arresto fino alla sua morte. È una forma di violenza sottile, ma amarissima, ed è quella della solitudine e dell’indifferenza degli amici più cari. Fin dall’inizio questi dormono nell’orto del Getsemani, insensibili al suo dramma.

Questo nome, Getsemani, è indicativo. In ebraico significa “frantoio delle olive”. E proprio in quest’orto inizia il tentativo da parte dell’uomo di spezzare la compassione di Dio, l’amore di Dio per l’uomo, il tentativo di spezzare, di frantumare Dio.

E lo fa, prima che con le torture fisiche, abbandonandolo, lasciandolo solo.

In questi ultimi tempi si è molto parlato dei malati allo stadio terminale. Leggendo le testimonianze di alcuni di essi e di persone che ne hanno assistiti alcuni, possiamo scoprire una cosa. È vero che alcuni di essi hanno ammesso che se fosse stata possibile l’eutanasia, ne avrebbero fatto richiesta, ma è altrettanto vero che tale desiderio era dettato da sconforto, dal sentirsi abbandonati da tutti. E quando hanno trovato qualcuno che gli è stato vicino, che gli ha dimostrato simpatia, affetto, ma soprattutto vicinanza e ascolto, tale desiderio è svanito.

Che questo tempo di Quaresima sia l’occasione per riavvicinarci a tutte quelle persone sofferenti e sole per fare in modo che non si sentano più abbandonate.

Nella Terza e Quarta domenica di Quaresima era assente, per cui non ho tenuto le meditazioni

Quinta domenica

Da ragazzo mi ricordo che avevo notato, guardando alcuni quadri della Crocifissione, che ai piedi della croce si vedeva sempre anche un cranio. Pensavo che fosse per il fatto che quello era il luogo dedicato alle esecuzioni. Più tardi mi venne in mente che indicasse il Golgota, che, come ci informano i Vangeli, significa proprio cranio.

Solo alcuni anni fa invece scoprii il vero significato di quel teschio. Si tratta di una leggenda un tempo molto conosciuta in tutto il mondo cristiano, secondo la quale il luogo in cui venne issata la Croce di Gesù si trovava esattamente sopra la tomba di Adamo. Il sangue del Cristo dalla croce cadeva così sul cranio del progenitore di tutti gli uomini, e in questo modo lo purificava da tutti i peccati, da tutti i mali.

Ma c’è anche una piccola aggiunta a questa leggenda. Secondo alcune versioni, il legno della croce sarebbe stato ricavato da quell’albero della conoscenza del bene e del male piantato nel giardino dell’Eden e il cui frutto era stata la causa della perdizione dell’umanità. Come l’aver colto quel frutto aveva avuto come conseguenza la dannazione, così l’aver ‘riappeso’ a quello stesso albero un frutto ha avuto come conseguenza la salvezza. Il frutto che era stato rubato, diventa un frutto donato. L’uomo ha rubato il frutto, Dio ce lo dona, Dio si dona a noi come frutto da mangiare per avere la vita eterna.

Viene in mente il dialogo tra l’uomo e Gesù immaginato dal filosofo Pascal:

- Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti perderesti d’animo

- Allora mi perderò d’animo, Signore

- No! perché i tuoi peccati ti saranno rivelati nel momento in cui ti saranno perdonati.

Domenica delle Palme

Anche se nei pressi di Gerusalemme possiamo trovare il monastero di Emmaus, in realtà gli studiosi non sono assolutamente concordi su dove sia realmente questo villaggio reso famoso dal vangelo di Luca (cap. 24). In effetti ci sono almeno 3 o 4 località che si contendono il titolo di “Emmaus originale”.

A me sembra che questa indecisione sia molto indicativa. In effetti la strada e il villaggio di Emmaus sono ogni luogo in cui un cristiano vive la sua vita. Strada per Emmaus è ogni strada che percorriamo ogni giorno, e in cui ogni giorno possiamo incontrare il Risorto che ci chiede di fare un tratto di strada insieme, che ci viene incontro per condividere le nostre delusioni e le nostre speranze . Villaggio di Emmaus è ogni momento in cui la Scrittura viene proclamata e il pane viene benedetto e spezzato.

Solo che anche noi, come i discepoli del brano, non riusciamo a riconoscerlo. In effetti una cosa che colpisce nei racconti delle apparizioni dopo la risurrezione è proprio il fatto che Gesù non venga riconosciuto.

Per riconoscere Cristo risorto non è sufficiente aver percorso con lui le strade della Palestina, non basta aver mangiato con lui, non basta averlo ascoltato parlare. È solo attraverso una profonda adesione di fede che i nostri occhi si aprono, è solo attraverso la voce del Pastore “che chiama le sue pecore per nome” che anche noi, come Maria Maddalena, riscopriamo nella persona che si sta davanti il Signore.

E dopo questo riconoscimento anche a noi come alla Maddalena viene affidato l’incarico di essere annunciatori della fede, portatori presso gli uomini dell’amore e della misericordia di Dio.

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