L’uomo e la donna

Nei primi tre incontri abbiamo parlato prima dell’uomo e poi del significato della sessualità. I concetti che abbiamo incontrato si applicavano indifferentemente sia ai maschi che alle femmine. Entrambi i sessi fanno parte del genere umano, siamo tutti figli di Dio, abbiamo la stessa dignità, lo stesso bisogno realizzarci, la stessa necessità di essere amati e di amare. Non ci sono dunque differenze? A questo livello no. Le differenze ci sono, però a livello di incarnazione di queste tensioni comuni, è diverso il modo di viverle, di sentirle e di esternarle.

Una premessa però è doverosa. Si sente dire, e spesso lo diciamo tutti, “gli uomini sono fatti così..., le donne sono fatte così...”, come se tutti gli uomini e tutte le donne fossero uguali tra loro. Questo non è del tutto vero. Ognuno di noi ha in sé una parte anche dell’altro sesso, ogni uomo ha alcuni lati femminili, come ogni donna ha alcuni lati maschili. Quando, anche a livello psicologico/neurologico, si parla di caratteristica maschile o di caratteristica femminile, non si intende che tale caratteristica sia propria ed esclusiva di un determinato sesso, ma che in quel sesso è più presente, più sviluppata che nell’altro. Non si intende assolutamente dire che solo gli uomini, e tutti gli uomini, siano in un determinato modo, né altrettanto per le donne. È molto importante che abbiate sempre presente questo, se no si rischia veramente di andare fuori strada.

Quando Giovanni Paolo I disse che Dio è “Padre e Madre”, la cosa fece molto scalpore. Ci si dimenticava che la stessa cosa già la disse Giovanni XXIII, ma soprattutto che questo concetto era già presente nella Bibbia e che fa parte del deposito della fede fin dai tempi dei Padri della Chiesa. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che lo Spirito di Dio (lo Spirito Santo) in ebraico si dice Ruha, che è un sostantivo femminile. Proprio per questo fatto, molti rabbini individuano nello Spirito il lato femminile di Dio. E allora, se Dio stesso ha un lato maschile e uno femminile, l’essere umano, creato a Sua immagine e somiglianza, poteva essere da meno?

Un’altra cosa. Due volte fa vi chiarivo il senso della parola spirituale per quanto riguarda la persona. La stessa cosa si applica anche alle cose. Una cosa è spirituale quando mi parla di Dio, mi porta a Lui, mi lega, mi indirizza a Dio, profuma di Dio. Queste sono le cose spirituali, vissute spiritualmente, rese spirituali dalla nostra fede. Anche il sesso, proprio in quanto dono di Dio, deve fare altrettanto, altrimenti si finisce per vivere una cosa qua e una là. Ecco allora perché questa sera parleremo di spiritualità maschile e spiritualità femminile, proprio cercando di capire l’implicazione spirituale del nostro essere sessuati.

La prima differenza tra maschi e femmine è che gli organi sessuali maschili sono rivolti all’esterno, fuori della globalità del corpo, mentre gli organi femminili sono all’interno, dentro la globalità del corpo. Questa prima caratteristica già ci dice che tutta l’attività dell’organo sessuale maschile è all’esterno, e tutta quella dell’organo sessuale femminile è ricettiva, all’interno. Questo fatto rappresenta il più grande condizionamento della cultura e della spiritualità maschile e di quella femminile, perché la cultura maschile sarà sempre influenzata da questo fatto, come quella femminile sarà articolata all’interno. Queste sono le due prime caratteristiche di base. Ma non c’è nessuna contrapposizione, c’è invece complementarietà, è il Cantico dei Cantici, è “amato e amata”.

L’uomo

Tipici della sessualità maschile sono gli spermatozoi, che vengono creati in grande numero ogni giorno dai testicoli, uno degli organi più caldi del corpo. Tempo fa si pensava che una volta prodotto un certo numero di spermatozoi, venisse inviato un segnale al cervello e che quindi si avesse l’eccitazione sessuale, con la conseguente eiaculazione in modo da far uscire gli spermatozoi prodotti. In realtà le cose sono al contrario. Quando il centro cerebrale ha un tot di eccitazioni dall’esterno, questo centro manda lo stimolo all’organo sessuale e inizia tutto il meccanismo dell’eccitazione.

Proviamo un po’ a pensare a questo fatto: un uomo che viveva anche solo un secolo fa, vedeva la biancheria femminile (per fare un piccolo esempio di un qualcosa che manda stimoli al centro della sessualità) sì e no tre volte l’anno. Oggi anche nel paese più isolato c’è almeno un negozio di biancheria che espone la sua merce in vetrina, per non parlare poi dei manifesti pubblicitari. Per non dire poi che basta entrare da un qualsiasi giornalaio per vedere un mucchio di riviste, di foto (non necessariamente di giornali porno) che non aveva visto in tutta la sua vita. Potete quindi capire quante cose si scatenano, e come sia cambiata di conseguenza la mascolinità, perché il maschio è continuamente incitato. Lo stesso Wilhelm Reich (uno dei padri, se non il principale, della cosiddetta “rivoluzione sessuale” degli anni sessanta) diceva che il centro della sessualità maschile era impazzito, anche se per lui questo era il segno positivo della grande festa e del grande piacere del maschio.

Ma parlare di un centro che non riesce più a gestire gli stimoli e che quindi impazzisce vuol dire che è il maschio che sta impazzendo, la sua cultura sta impazzendo, sta diventando una cultura sessuata. Gran parte delle difficoltà dei maschi nella società occidentale derivano proprio da questo fatto, da un mondo sovraccarico di stimoli e di impulsi.

Ma come si esce da questo? Occorre trovare un significato, capire cioè cosa significa per l’uomo questo produrre in continuazione spermatozoi. Se non si trova una spiegazione, se non ci si confronta con questa domanda allora si vive la sessualità come un settore staccato della propria vita, la si vive nella sola sfera biologica, non in quella umana. Si arriva allora a quella frase di Alberto Moravia: “Quando non potrò più fare l’amore allora non vedo il senso della mia vita”. È da questa visione riduttiva che nasce la cultura da “playboy”, quella mentalità per cui tu, maschio, vali solo in base a quante donne riesci a “farti”. Se noi maschi non troviamo il significato, non c’è più nessuna differenza tra la sessualità umana e quella animale.

E allora cos’è questa spiritualità maschile? Gli spermatozoi sono cellule che sono molto attive, hanno una grandissima capacità di fecondare, di uscir fuori per entrare in un’altra vita, in un’altra persona e fecondare, cioè di suscitare nell’altro qualcosa di molto vitale. Operano all’esterno un intervento molto positivo, tanto positivo da generare la vita. È quindi un dare la vita, generare la vita, far occupare l’altro per la vita, interessare per la vita (e difatti si dice “stato interessante”) perché la donna che ha ricevuto questo seme incomincia ad occuparsi pienamente della vita e non di un oggetto. Questo ci dà un’indicazione, ci suggerisce già una caratteristica tipicamente maschile: il fatto che il maschio è costituito per intervenire all’esterno, per occupare il mondo per la vita. Dovunque vada, il maschio vuol lasciare un segno che rimanga, un segno che indichi che lui è intervenuto e ha cambiato un po’ la faccia della terra, ha inciso sullo spazio, ha seminato vita.

Tipicamente maschile è quindi la cura della vita, provocare la vita e curare la vita in tutti i suoi aspetti (non solo nel senso di fare figli), il maschio è custode e garante della vita, difatti nella Bibbia c’è scritto: “Custodisci il soffio vitale” (Mal 2, 15). E il maschio o si occupa di questo o fa la guerra, lo dicevano anche gli antichi.

È proprio da questo che deriva la figura del maschio come certezza, come protezione, come custode, come costruttore; e questa non è una sublimazione della sessualità (adesso che non vivo con una donna allora costruisco, ad esempio, una casa). Invece significa che questa mia creatività nel campo biologico deve pian piano compenetrare tutta la mia mentalità, tutto il mio mondo psichico, la volontà, i sentimenti, il mondo spirituale, anche quello religioso, e allora io sarò un maschio integrato. Ma se io non vivo la mia virilità in tutte le sue dimensioni, allora possono fecondare non so quante donne, o mia moglie non so quante volte, ma sarò sempre, nel mio intimo, un maschio frustrato.

Se invece si riesce a vivere pienamente la propria mascolinità in tutte le sue dimensioni, allora non si “trema” più davanti ad una donna, non ci sente più “minacciati”, può essere sexy quanto vuole, ma siccome la propria virilità non la si vive solamente nell’atto genitale, allora la si può interessare per la vita, coinvolgerla in qualcosa che l’aiuti a diventare una persona. Tipico esempio di questo è l’incontro di Gesù con la Maddalena (vedi Lc 7, 36 e ss.). Questa donna era del tutto eroticizzata (e difatti l’ungere i piedi era un’azione riservata alla moglie, era un atto da compiere nell’intimità coniugale), ma quando si incontra con Gesù, questi non si eccita né si turba, e questo perché la sua virilità abbracciava tutte le dimensioni della sua persona. Invece noi ci turbiamo davanti al mondo femminile che ci eccita, o davanti al mondo politico che ci sfida, o davanti al mondo economico, perché siamo spezzati e non riusciamo a collegare tutto. E se sono spezzato divento distruttivo, faccio la guerra o con i fucili, o con le minacce, o con il marketing, ma sempre guerra è.

Ma se, come dicevo, il maschio è generatore di vita, allora perché la guerra? Perché gli spermatozoi chiamano la vita, e se io vivo la mia sessualità solo a livello biologico sarò sempre sconfitto, perché i miei figli moriranno. E questo, anche se non lo voglio ammettere, l’ho sempre presente, ma cerco di difendermi, di vendicarmi e di impormi dappertutto perché so che la forza biologica prima o poi mi sconfiggerà. Se invece io ho scavato, ho trovato il significato e lo riesco a vivere nella sua totalità, allora non ho bisogno di fare la guerra.

Fate attenzione che questo è importante che lo sappiano anche le donne. Dovete saperlo che noi siamo questo, che viviamo questo, perché è su questo che dovete esserci di aiuto (Gen 2, 18: “Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”). L’aiuto che dovete dare all’uomo non è nel fargli da mangiare o nello stirargli le camicie o nel tenergli pulita la casa, ma nel fargli prima capire e poi vivere questo.

La donna

Il discorso per quanto riguarda la donna è un po’ più complicato. Per la cultura cinese il maschio è solare e secco, quindi si vede, mentre la donna è buio e umido e quindi non si vede ed è facile scivolare. La donna è caratterizzata dall’utero, che poi è un organo non tanto grande. Accanto all’utero ci sono le ovaie che contengono, alla nascita, circa 200.000 ovuli. Questi ovuli se ne stanno lì in attesa, fino a quando inizia la pubertà. In questo momento si scatena tutto un processo di ormoni, estrogeni e progesterone, che hanno il compito di preparare e facilitare la gravidanza. Tralascio la descrizione del ciclo perché spero che tutti lo conosciate.

Però, come per l’uomo, anche per la donna è importante andare al di là del puro dato biologico. Se non si riesce ad avere una visione più ampia e profonda, la donna è veramente condannata a certe sofferenze, a certe realtà che la mettono per alcuni giorni al mese in uno stato in cui non si sente libera né nei movimenti, né nei sentimenti, né nell’agire, in cui si sente strana, scontrosa, tutto le dà fastidio e così via. Se non trova un significato, direi che è una cosa triste, perché, come ha detto una signora, madre di quattro figli: “Dappertutto mi dicono: che brava, un’intellettuale e quattro figli. Quattro figli li può avere anche una mucca, ma io non sono una vacca. Lodarmi perché ho partorito quattro volte non significa niente”. Vediamo in effetti che, normalmente, o la donna nega il suo utero, e allora è un oggetto della soddisfazione maschile, o lo valuta come un assoluto, e allora è solo una che partorisce. Fate attenzione che queste due visioni della donna, in fondo le abbiamo anche noi maschi.

Allora cerchiamo anche qui di andare un po’ a fondo. Partiamo dall’ovulo maturo. La sua caratteristica è quella di creare, attraverso le stimolazioni ormonali, un ambiente di grande accoglienza e attendere, perché in fondo l’ovulo attende, l’arrivo degli spermatozoi. Attende in un mare di benessere, perché quello, biologicamente parlando, è il massimo del benessere possibile. A conferma di questo, fate conto che studiando la musica da discoteca gli psicologi hanno scoperto che il suo ritmo più frequente è uguale all’inter-ritmo (il ritmo dato dalla somma di due ritmi) del battito del cuore della mamma e del feto; la discoteca è un ritorno inconscio all’utero. Questo ci dice che l’utero nel processo di accoglienza della maternità è veramente un mare di benessere.

Il mondo maschilista pensa che la donna stia lì e aspetti passivamente, che non faccia niente. Non è assolutamente vero. La più grande caratteristica della donna è preparare un benessere grande, un’accoglienza tale che è capace di dare la vita. Non c’è antagonismo uomo/donna, ma cooperazione e collaborazione, è un essere uno di fronte all’altro e non uno contro l’altro o in competizione. Anche la donna è in un atteggiamento di grande attività perché l’accoglienza non è passiva, anche se ai maschi fa comodo pensare il contrario, che siano solo loro attivi. Faccio un piccolo esempio per chi ancora non ci crede: io invito una persona a casa mia, e me sto passivo; quello entra e io continuo a star seduto senza dire né fare niente; mi chiede un bicchiere d’acqua e io continuo a non fare niente. Io sono continuamente passivo, ma questa non è accoglienza! Accogliere è un lavoro, una grande attività. Un’attività così forte che la donna sta male. Essere accogliente per la donna è faticoso com’è faticoso per l’uomo essere creativo (perché generare la vita è essere creativi) nel mondo. Essere creativi è difficile, essere accoglienti è difficile. Ma essere accoglienti è una caratteristica femminile.

Questa attesa, per la donna, è un dolore se finisce nel vuoto, è un dolore grande se non accoglie niente, se la sua accoglienza cade nel vuoto o viene rifiutata. E questo atteggiamento, che fa parte della psicologia femminile, si trasmette anche nella spiritualità. Ma viene anche facilmente tradotto male dalle donne stesse, in una sottomissione di sé: basta che mi occupi della vita, che io accolga qualcuno, farò qualsiasi cosa se uno si occupa di me. Perché la donna, se non accoglie, in fondo si sente frustrata, fallita.

Negli ideogrammi cinesi, la pace è scritta come una casetta con la donna dentro. La pace, secondo la mentalità cinese, è quando la donna è a casa, perché il marito è accolto. Questo non vuole assolutamente dire che la donna non debba lavorare, però in fondo c’è un concetto antropologico molto bello: la donna in casa è la pace perché lei è la casa che accoglie, lei è l’accoglienza. Non c’è più grande offesa per la donna del fatto di non essere riuscita a far interessare di sé nessuno. Questo succede fin dall’infanzia. Quando i ragazzi giocano solo tra loro e le ragazze sono solo il bersaglio dei loro scherzi e dispetti, sembra che le ragazze piangano per questi dispetti, ma se ce n’è una che nessuno molesta, quella soffre tantissimo, perché non ha fatto interessare nessuno.

Questo “essere dimora” deve permeare ogni cosa della vita di una donna. Scriveva una ragazza: “Ogni goccia di sangue che esce da me è una preghiera, perché sto malissimo e non posso pregare diversamente, né studiare, né fare niente, e l’unica preghiera è quella del mio corpo; perché è un dolore, un dolore autentico della vita, non fantastico, non falso, ma autentico; e mi sta dicendo che la mia vita deve diventare una dimora, una tenda”. Ecco cosa significa vivere spiritualmente i fatti, tutti i fatti della vita. Pensate che tragedia se la donna riduce il suo essere dimora al solo mettere al mondo dei figli! La donna non deve solo partorire. La cosa più importante non è partorire, la cosa più importante è diventare accoglienza e dimora, il benessere dell’altro, cioè il non-egoismo! La donna non sarà castigata se non ha partorito 7 figli ma solo 1 o 2, ma sarà condannata se non ha partorito figli per egoismo. Perché non è questione di figli, in questione è il suo essere donna, che non si misura sul numero di figli, ma su tutta la vita.

La costituzione della donna è questo essere accoglienza, questa attesa, questa tensione a creare un benessere che può far spuntare la vita. E la donna deve vivere questa coscienza profonda, e un dolore preciso le ricorda ogni mese che è l’accoglienza, che è questo lettuccio di benessere. La femminilità deve essere in ogni cosa, dai capelli alla punta dei piedi, con la psicologia, la mentalità in questo utero. Come diceva quella ragazza: se queste gocce di sangue non mi ricordano che devo essere dimora, perdo la vita. Capite che non c’è nessun antagonismo col maschio, sono la stessa cosa, solo che si completano, si integrano, tutto combacia.

Però la visione che le donne hanno di sé stesse in genere è diversa. O percepiscono la loro femminilità solo nell’utero (e allora devono avere un figlio ad ogni costo, il figlio non come una persona, ma come un oggetto di diritto), o la percepiscono senza l’utero e allora rimane solo l’attirare, allora rimangono solo il seno e la vagina, cioè solamente il giocare sul sesso. Invece c’è una teologia profonda sotto, perché, ad esempio, quando l’angelo va da Maria e le dice: “Hai trovato grazia presso il Signore” (che nella cultura ebraica significa “Sei piaciuta al Signore, il Signore ti dice che tu gli piaci”) non significa che gli piace perché hai bei capelli, un bel viso o delle belle gambe, o quello che preferite, ma quel “mi piaci” significa “sto molto bene con te, mi sento a casa”. Allora vedete che l’Annunciazione consiste in questo: il Signore ti dice “mi piaci moltissimo, sto bene con te, mi sento a casa mia con te”. E questa è la massima definizione della donna, e non c’è passività, anzi.

E tutto questo è importante che noi uomini lo sappiamo, perché l’aiuto che possiamo dare non è nel darle la sicurezza economica, nel fare cose materiali, ma nel farle sentire che ci sentiamo accolti, che la donna è importante per noi, che con lei stiamo bene perché la sua persona, tutta la persona ci piace, e non solo una parte del suo corpo.

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