Tre ritratti diversi

Il tema di questa sera capita molto bene in questo periodo di Quaresima non solo perché inizia con una lunga lista di peccati, ma anche perché ci presenta, in antitesi al ritratto dei peccatori, anche due ritratti di buoni cristiani. Da questi tre ritratti possiamo prendere spunto per un esame della nostra vita, esame cui il tempo quaresimale è particolarmente dedicato.

Il testo (2Tim 3, 1-16)

1Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. 2Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, 3senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, 4traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, 5con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore. Guardati bene da costoro! 6Al loro numero appartengono certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni di ogni genere, 7che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità. 8Sull'esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in materia di fede. 9Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza sarà manifestata a tutti, come avvenne per quelli.

10Tu invece mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nella condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell'amore del prossimo, nella pazienza, 11nelle persecuzioni, nelle sofferenze, come quelle che incontrai ad Antiochia, a Icònio e a Listri. Tu sai bene quali persecuzioni ho sofferto. Eppure il Signore mi ha liberato da tutte. 12Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. 13Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo. 14Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso 15e che fin dall'infanzia conosci le sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. 16Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

È molto facile dividere questo capitolo in tre parti, in tre ritratti diversi:

- I vv. 1-9 descrivono gli “uomini degli ultimi tempi”, cioè gli empi, i malvagi

- I vv. 10-11 invece descrivono la vita di Paolo e la sua condotta fedele al vangelo. A questi seguono i vv. 12-13 che ci presentano “due vie”: quella del bene, cioè la sequela di Gesù, e quella del male.

- Il capitolo si conclude, vv. 14-16, con il ritratto di Timoteo, presentato come uomo ben preparato e fondato sulle Scritture.

Il ritratto degli empi. (vv. 1-9)

Iannes e Iambres, che vengono nominati in questo brano, non si trovano nella Bibbia e molto probabilmente Paolo fa riferimento a scritti giudaici che danno questi nomi ai maghi egiziani che si opposero a Mosè (Es 7,11-13.22).

Questo ritratto, dai colori foschi e scuri, è una figura retorica molto frequente: ad esempio la troviamo in 1Tim 4,1-2, ma anche alla fine del discorso di Paolo a Mileto (At 20,29-30), e pure in 1Tim 1,9-10, 1Tim 6,4-5, Tt 3,3 dove si punta sulla corruzione morale. Questi elenchi sono un modo per scuotere la gente e porla di fronte alle proprie colpe e alle proprie mancanze. Ma non solo nelle lettere pastorali si trovano di questi elenchi. Uno, molto sobrio ma molto indicativo, è quello fatto da Gesù in Mc 7,21-22. Ma forse il più impressionante è un altro: nella lettera ai Romani (Rm 1,29-31) Paolo, dopo aver enunciato il tema del giusto che vivrà mediante la fede, parla delle miserie del tempo in cui viveva e sottolinea i vizi dei pagani, partendo dal peccato di idolatria, per concludere elencando 21 caratteristiche di questi uomini: “colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.”.

Se si fa un raffronto tra questo elenco e quello di questa sera, si scopre che tra i 21 termini della lettera ai Romani e i 18 della lettera a Timoteo, solo 4 sono uguali. Questa differenza si spiega col fatto che nella lettera ai Romani sono descritti i vizi dei pagani, mentre nella lettera a Timoteo sono descritti i vizi dei cristiani, cioè Paolo scrive ad una comunità fortemente minacciata al suo interno, dove “con la parvenza della pietà”, di gesti di pietà, di preghiera, in realtà se ne è “rinnegata la forza interiore”. C’è da notare che se l’espressione “senza religione” (v. 2) sembra essere in contrasto con questa distinzione, in realtà il testo greco originale usa un vocabolo (anósioi) che vuol dire privi di quella pietà, di quella carità propria di un credente.

Siamo quindi in presenza di battezzati, di persone che hanno accolto il vangelo, ma hanno dei vizi gravi perché non hanno compreso il fondamento della “sana dottrina”, cioè il primato di Dio. Alla potenza della croce hanno sostituito le pratiche umane, facendo di Dio uno strumento per il loro successo personale, per la loro affermazione.

Paolo dice a Timoteo di guardarsi da costoro. Riprende il consiglio di Gesù a riguardo dei falsi profeti (Mt 7,15). Cioè i falsi profeti sono all’interno della comunità, si mostrano mansueti e invece sono più attaccati ai piaceri che a Dio, sotto l’apparenza dello zelo per Dio perseguono il disegno di tenere le persone asservite a sé stessi. Se già il desiderio di potere personale, materiale o politico, è presente in tutti, a questo qui si aggiunge il perverso desiderio di manipolare spiritualmente le persone.

Questi vizi conducono allo stravolgimento della fede, ad una perversione che genera sofferenza e che deriva dal non aver compreso il mistero della pietà e della sana dottrina.

Il ritratto dell’anziano pastore. (vv. 10-11)

Qui troviamo una descrizione di Paolo. Ricordo che sta scrivendo dal carcere, che sa che la morte è vicina, e quindi è l’ultima descrizione che ci dà di sé stesso. È un ritratto, fatto in nove caratteristiche, che di fatto è anche un inno di lode a Dio, anche se sta vivendo una situazione tragica, una condizione sofferta.

La prima caratteristica è l’insegnamento, che potrebbe alludere sia al suo modo di insegnare, sia al contenuto. E anche nella seconda e la terza caratteristica, condotta e propositi, si autodefinisce per la dottrina, per le sue intenzioni e per i suoi comportamenti nell’azione.

Seguono poi quattro atteggiamenti morali, spirituali. La descrizione si conclude poi con due situazioni: persecuzioni e sofferenze.

Questa specie di esame di coscienza, Paolo lo faceva spesso. Difatti ne troviamo di analoghi anche in 1Cor 4, 9-13, 2Cor 4, 8-12; 6, 4-10; 11, 22-29. Da questi passi il comune denominatore è dato da alcune parole: persecuzione, sofferenza, fermezza.

Ma qual è il messaggio sottostante alla retorica di Paolo, retorica incisiva, vigorosa, che anche dopo duemila anni lascia percepire l’emozione, ma che insieme lascia un po’ a disagio? Facilmente viene il dubbio che Paolo pecchi di narcisismo, che si metta sempre al centro. Però anche s, Agostino amava mettersi al centro, e per scrivere un’autobiografia bisogna avere un senso profondo dell’importanza dell’esperienza vissuta, e Paolo aveva davvero la percezione di quanto fosse utile per gli altri il racconto della sua vita.

Lui concepiva e viveva il suo ministero, ma anche tutta la sua vita, come partecipazione alla croce di Cristo. Lo dice chiaramente in Fil 3,8-10, ma anche in Rm 5, 3-5. Qui è come se dicesse a Timoteo che della sua lunga vita ciò che l’ha toccato di più è proprio l’aver partecipato alla croce di Gesù, partecipazione che gli dà la certezza di essere chiamato legittimamente apostolo, pastore, missionario, certezza che invece non gli viene dalle soddisfazioni che pure ha avuto.

Inoltre Paolo, come vedevamo l’altra volta, viveva il suo ministero come sofferenza per i suoi. La sofferenza aveva una parte attiva nel suo essere apostolo. Guardate che non è una cosa così ovvia. Ad esempio né s. Francesco di Sales né s. Giovanni Bosco avevano presente questo aspetto della sofferenza come parte del ministero. C’è una frase molto bella in cui esprime questa consapevolezza: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). L’espressione che viene tradotta con «patimenti di Cristo» non è la stessa che indica la sofferenza (usata invece nel NT per indicare le sofferenze di Gesù), ma quella che indica le fatiche, le tribolazioni del lavoro. Paolo quindi dice che, per la crescita del corpo di Cristo, il presbitero contribuisce con la predicazione, con i sacramenti, con l’esempio della vita, ma anche con le tribolazioni, e questo esige uno sguardo continuo alla croce, senza mai abbandonare la sana dottrina, cioè il primato di Dio.

Il ritratto del pastore giovane (vv. 14-16)

La terza parte del capitolo ci presenta il ritratto di Timoteo, che ha compiuto un lungo camino nella fede. È saldo per quello che ha imparato dalla famiglia, dalla nonna, dalla madre, dal suo maestro Paolo; è saldo per la sua conoscenza delle Scritture, conoscenza che gli permette di affrontare momenti difficili e pericolosi.

Ma nello stesso tempo l’apostolo incoraggia il discepolo alla perseveranza e alla costanza, ricordandogli che la parola di Dio gli permetterà di insegnare, convincere, educare e correggere nonostante i tempi e nonostante la presenza di uomini empi.

La legge della croce (v. 12)

Subito dopo aver ringraziato il Signore per averlo liberato dalle persecuzioni, Paolo esclama: “Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (v. 12). Significa che la legge dell’evangelizzazione è la croce, non c’è ministero, non c’è missione, non c’è vita cristiana senza difficoltà e senza prove. Questo è un concetto, una realtà che percorre tutto il NT, a partire dalla predicazione di Gesù (cfr. Lc 9, 22) per passare negli Atti (cfr. At 14, 22), nelle lettere paoline e per finire nell’Apocalisse.

La legge della croce viene applicata anche alla Chiesa e ai cristiani, anche se, come dicevo prima, c’è una differenza di vocabolario: nel vangelo si parla del soffrire di Gesù, mentre poi si parla delle tribolazioni dei cristiani.

Questo richiamo è quindi la spiegazione di una legge che si è espansa a partire dalla predicazione e dall’esempio di Gesù.

Spunti per noi oggi.

[ Dalla prima parte di questo capitolo un primo spunto: c’è il mistero della fede e c’è anche il grande mistero del male che si insinua anche sotto le apparenze della pietà. Non dobbiamo meravigliarci di niente, ma dobbiamo sempre essere vigili. Anche nei confronti di noi stessi.

[ Un secondo spunto: è pericoloso perdere di vista il primato della croce e dell’amore. Se lo si perde, la fede non è più tale, cioè non è più abbandono fiducioso a Dio, alla salvezza che viene dal Crocifisso, ma diventa azione umana per scopi egoistici.

[ Ma al di sopra di tutta l’iniquità, ed è il terzo spunto, c’è la misericordia di Dio, che è ancora più potente. Tante volte noi facciamo fatica a guardare in faccia il male perché non abbiamo senso della misericordia divina come ha Paolo. Dobbiamo ravvivare nel nostro cuore la coscienza di questa infinita misericordia.

[ La legge della croce è parte integrante della “sana dottrina”, è accoglienza di Dio come si è rivelato nel Gesù paziente, umile, sofferente. È accoglienza nella propria vita del primato di Dio.

Questa parte della “sana dottrina” è però anche la parte più contestata anche dai nostri cuori (non soltanto da coloro che non credono in Cristo) e quindi va continuamente ricordata, rimeditata e riaffermata.

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