Cap. 2

I MATERIALI

Essendo così esigenti i canoni riguardanti le caratteristiche dell’iconografo, non stupisce che regole altrettanto precise vi siano per la scelta dei materiali, in quanto anch’essi hanno una simbologia e quindi una loro precisa funzione. Noi qui ne vedremo soprattutto due: la tavola e i colori.

La tavola

Innanzi tutto l’icona, per essere tale, deve essere dipinta su di una tavola di legno. Già il Concilio del 1667 proibì la riproduzione in serie di icone o la loro pittura su carta o su tela.

All’ontologia ecclesiale non si adatta la superficie tremolante della tela o quella svolazzante ed effimera della carta. L’arte ecclesiale si cerca una superficie assolutamente stabile, salda e immobile. La rappresentazione deve includere la forza e la stabilità della superficie a rappresentare che la forza dell’immagine spetta direttamente alla coscienza della Chiesa e non a quella di singole persone[1].

Questo porterebbe a ritenere come più adatta all’icona la superficie di un muro o meglio di un muro di pietra, simbolo di incrollabilità ontologica. Ma questo però porrebbe dei limiti, subordinerebbe l’icona alle condizioni architettoniche.

Invece si usa una tavola di legno massello, in genere di conifera sempreverde che è simbolo di immortalità. Il legno migliore sarebbe quello di cedro, simbolo della grandezza, della forza e della durata. Cirillo d’Alessandria vi scorge l’esempio della carne di Cristo che non subì la putrefazione[2].

Però la prima cura dell’iconografo sarà di “trasformare” la tavola in parete. Si sceglie con cura una tavola di legno ben stagionata e asciutta. Sulla parte anteriore, dove si dipingerà, si scava un incavo in modo da lasciare una specie di cornice. Questo incavo è di forma quadrata o rettangolare e simbolizza il creato che sarà invaso dalla luce divina. La cornice, oltre a delimitare l’incavo, ha anche la funzione di irrobustire la tavola contrastando una eventuale curvatura. Sempre a tale scopo si aggiungono, a volte, sul retro delle sbarre trasversali dal margine verso il centro.

A questo punto si passa alla stuccatura. Per prima cosa si graffia, con un punteruolo o un chiodo, la parte incavata. Poi si passa uno straccio ben inzuppato di olio e, quando questo è ben assorbito, vi si incolla una tela o un tessuto di canapa rada attraverso il quale si fa passare altro olio. Quando la tela è ben ammorbidita si passa di nuovo lo straccio. Dopo un giorno e una notte di asciugatura, alla tavola si dà lo stucco, cioè una poltiglia ben amalgamata di calce e colla. Quando lo stucco è ben asciugato, dopo circa tre o quattro giorni, si procede all’intonacatura. L’intonaco viene preparato con dello stucco a cui vengono aggiunti i 2/5 di acqua bollente e un po’ di olifa[3], e viene steso per almeno sei o sette mani. Ogni mano viene steso sulla tavola con la spatola e dopo ogni passata si lascia asciugare bene. Infine si dà una passata di pomice bagnata sull’intonaco asciutto, ripetendo l’operazione varie volte con pietre di diversa abrasività. Infine vi è la lucidatura a secco con un pezzo di pomice asciutta e la rifinitura definitiva della superficie che una volta avveniva con una coda di cavallo, ma in tempi più recenti con pezzi di cuoio o di carta vetrata finissima[4].

A questo punto la superficie per la figurazione è pronta. Chiaramente questa non è diversa da una parete, è un pezzo, una parte di parete, acquistandone così le caratteristiche ontologiche senza averne i limiti.

I colori

Nella pittura delle icone sono proibiti i colori ad olio. Questo, come viene spiegato da P. Florenskij, perché “il colore a olio vuole varcare i limiti della materia raffigurata per giungere alla sensazione immediata, presente, di fette di colore, al rilievo cromatico, alla statua colorata, insomma a imitare l’immagine, sostituirsi ad essa, inserirsi nella vita come fattore non simbolico ma empirico[5].

I colori consentiti sono le tempere all’uovo. L’iconografo dovrebbe cercare, nei limiti del possibile, di procurarsi da solo le “terre” che, lavorate, daranno le polveri coloranti.

Qui il simbolismo è duplice: la terra, il materiale, che, per mezzo della preghiera, mi apre al divino, allo spirituale; è il divino che si serve del terreno per rivelarsi.

Queste terre vengono mescolate con uovo per formare una pasta. Anche l’uovo è fortemente simbolico. In tutte le culture è il simbolo della vita, ma nel cristianesimo è anche il simbolo della Resurrezione perché Cristo uscì dal sepolcro il mattino di Pasqua come un pulcino dall’uovo. Quindi nell’icona è anche allusione alla Pasqua e alla Resurrezione ad una vita trasfigurata[6].

Ma oltre al tipo di colori è anche importante il modo di dipingere, di stendere il colore sulla tavola. Nella pittura di icone non è possibile la pennellata, non essendoci né mezzitoni né ombre. La realtà emerge a gradi con la rivelazione dell’essere, ma non si compone di parti. Per questo il “riempitore” abbozza i vestiti e gli altri spazi del riempitivo con macchie uniformi a spruzzo[7].

Anche i chiaroscuri del volto o delle pieghe dei vestiti vengono ottenuti con una tecnica particolare, non vi è la sfumatura ma lo “schiarimento“. Si inizia sempre ricoprendo tutta la parte in modo uniforme con la tonalità più scura. Al colore poi si aggiunge un po’ di bianco, simbolo della luce divina che rischiara la materia, e si iniziano a dipingere le parti da schiarire. Si procede in questo modo, aggiungendo bianco e colorando aree sempre più ristrette, fino ad aver ottenuto il risultato voluto. Il fatto di usare tempere fa sì che ogni passata sciolga in parte la mano precedente e quindi i colori si fondono tra loro creando un effetto molto particolare.

Vi è infine il problema del significato dei vari colori[8]. Diciamo problema perché mentre il ruolo del disegno è di determinare l’oggetto, con il colore le cose stanno un po’ diversamente. Il colore non rappresenta l’oggetto, ma gli dà un significato. Per questo il colore ha un’importanza fondamentale nell’iconografia, i colori sono attributi ben determinati dei diversi personaggi. Il colore fa parte del linguaggio che tende ad esprimere il mondo trascendentale.

Ma vediamo il significato dei vari colori, tenendo presente però che non sempre i colori hanno lo stesso significato. Ad esempio il rosso può significare sia il fuoco che il sangue.

Bianco

Il bianco è il colore che rappresenta il mondo divino, appare vicino alla luce stessa. Trasmette purezza e calma, ma contiene un dinamismo che colpisce. In una pittura domina l’immagine, sembra fare un salto in avanti con più forza di tutti gli altri colori.

Però sono bianchi anche i lenzuoli dei morti: il Cristo nella deposizione, le bende di Lazzaro, persino le fasce del Neonato nella mangiatoia richiamano la tomba. Questo perché il bianco ha anche un aspetto negativo: colore della potenza del divino, è anche il colore della distruzione del mondo terrestre.

Inoltre il bianco è il colore di quelli che sono penetrati dalla luce di Dio: gli angeli, i Vegliardi dell’Apocalisse, ma anche i convertiti, perché Dio ha promesso che i loro peccati diventeranno bianchi come la neve[9].

Blu

Il blu è il colore della trascendenza, il colore del cielo, della dimora di Dio.

Nell’iconografia si usa il blu scuro soprattutto nel manto del Pantocrátor (himátion) e anche nelle vesti della Vergine (chitón) e degli Apostoli. Il centro dell’aureola della Trasfigurazione è dipinto in blu scuro.

Quindi si può affermare che significa anche il mistero della vita divina.

Rosso

Fra i colori è quello che si impone di più, una veste rossa appare come un piano avanzato in rapporto al fondo dell’immagine. Proprio a causa di questo dinamismo, simile a quello della luce, può essere usato, come l’oro, per il fondo dell’icona, ad esempio è in genere rosso il fondo delle icone del profeta Elia.

Per Dionigi l’Areopagita questo colore è caratterizzato da “incandescenza” e “attività”, cioè unisce alla potenza del suo irradiamento una forte aggressività. In questo senso di fuoco sono da interpretare ad esempio il manto rosso dall’arcangelo Michele oppure i serafini completamente rossi.

Ma oltre che del fuoco, il rosso è simbolo anche del sangue. Nella cultura ebraica e in tutta la Bibbia però “sangue” è equivalente di “vita”. Il mantello che mettono sulle spalle di Gesù durante la Passione[10] significa la vita che il Salvatore porta agli uomini con l’effusione del suo sangue. In questo senso si deve leggere anche la veste rossa del Pantocrátor. Anche le vesti parzialmente rosse dei martiri sono il simbolo del sacrificio della loro vita.

Verde

Nelle scritture il verde è l’attributo della natura, della vegetazione, e quindi simboleggia la crescita e la felicità. Tra parentesi è da qui che deriva il detto “verde speranza”.

Il verde è largamente usato per i personaggi delle icone. Per le vesti dei martiri, accanto al rosso, significa il sacrificio nel fiore della giovinezza, mentre per i re sta a indicare che il loro potere è un potere terreno.

Bruno

Riflette la densità della materia e si usa per tutto ciò che è terrestre. Però il bruno non ha un simbolismo proprio, indipendente da ciò che copre, come avviene per gli altri colori. Giocando sulla varietà di bruni si possono esprimere significati molto diversi.

Ad esempio nelle icone delle feste le rocce sono in ocra chiara, quasi trasparente e luminosa, come se la materia fosse trasfigurata dalla luce e dalla gioia. Invece il bruno scuro delle vesti dei monaci e degli asceti è segno della loro povertà e rinuncia alle gioie del mondo.

Nero

Il nero è l’assenza totale di luce, di vita. Nelle icone sono neri i dannati, perché hanno perduto tutto ciò che è vita, sono diventati ombre. L’Ade nelle icone della Resurrezione è nero, come la tomba da cui esce Lazzaro e la grotta sotto la croce con il cranio di Adamo, simbolo della morte per il peccato. Anche la grotta della Natività è nera, sia per ricordare che prima di Cristo eravamo nelle tenebre, sia per significare che il Bambino dovrà passare attraverso la morte per donare la vita eterna.

Oro

L’oro è, in un certo senso, uguale alla luce, è il riflesso puro della luce, è splendore. Se gli altri colori vivono della luce, l’oro ha irraggiamento proprio e pertanto è il simbolo della luce divina.

Con l’oro sulle icone si segna soltanto ciò che ha un rapporto diretto con la potenza divina, con la diretta manifestazione della grazia divina[11]. Per questo motivo si usa per lo sfondo: è la luce della grazia di Dio che tutto avvolge, tutto trasforma, tutto santifica.

[1] Cfr. FLORENSKIJ, Pavel. Le porte …, op. cit.. pp. 147-148

[2] HEINZ-MOHR, Gerd. Lessico di iconografia cristiana. Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1984. pp. 93-94

[3] Mistura di olio bollito e calce

[4] Cfr. FLORENSKIJ, Pavel. Le porte …, op. cit.. pp. 149-150

[5] ibid. p. 117

[6] HEINZ-MOHR, Gerd. Lessico …, op. cit.. p. 344

[7] FLORENSKIJ, Pavel. Le porte …, op. cit.. pp. 157-158

[8] Tutta questa parte sul significato dei colori è basata su SENDLER, Egon. L’icona, immagine dell’invisibile. Roma, Edizioni Paoline, 1985. pp. 141-151

[9] Is 1,18

[10] Mt 27,28

[11] FLORENSKIJ, Pavel. Le porte …, op. cit.. p. 144

Torna alla pagina principale