Avvento 2005

Prima domenica

Oggi inizia l’Avvento. Questo è il tempo dell’attesa. A noi, quando sentiamo parlare di “attesa“, vengono in mente le “sale d’aspetto“. Periodi ad aspettare un treno in ritardo, o una persona, o in cui si fa la fila aspettando che finalmente venga il nostro turno. Sono minuti che sembrano ore. Ci annoiamo, sbuffiamo e diventiamo nervosi. Se qualcuno cerca di passarci davanti diventiamo delle belve. C’è solo un posto dove cediamo volentieri il posto, dove speriamo che gli altri ci passino davanti: la sala d’aspetto della giustizia di Dio.

Chiaramente non è questa l’attesa che la Chiesa ci propone, ci chiede. È piuttosto l’attesa che vediamo nei bambini quando aspettano qualcosa che li affascina. È un’attesa piena di trepidazione, di sogni. È un’attesa piena di gioia e di speranza.

E così dovrebbe essere l’attesa della venuta di Gesù. Un’attesa non da seduti in sala d’aspetto, ma una crescita, un’attività. È gioia, non impazienza o noia.

E questo vale a tutte le età. Dio ha creato l’universo e ha destinato l’uomo a finire, a completare la sua opera. I giovani lo fanno con le mani e la testa; i vecchi e i malati lo fanno col cuore e la preghiera.

La preghiera è una delle più importanti attività umane, è un ritorno all’attività primaria di Dio, che ha creato l’universo proprio con la parola, e che per la nostra salvezza ci ha donato suo Figlio, la sua Parola per eccellenza, quella con la “P” maiuscola.

Seconda domenica

Le parole con cui si aprono le letture di oggi sono: “Consolate, consolate il mio popolo“. Ad un primo momento verrebbe da pensare che queste parole non siano più adatte all’oggi: la maggior parte delle persone si è attrezzata per trovarsi da sola una consolazione. La cerca nella carriera, nell’ultima diavoleria elettronica, nel viaggio esotico, nell’alcool o nel sesso. E già qui ci sarebbe da discutere se poi la consolazione tanto cercata la trovino poi realmente, ma soprattutto stabilmente.

Ma poi basta guardarsi solo un po’ attorno, vedere quanta sofferenza ci circonda, quanta solitudine, quanta povertà non solo spirituale, ma anche materiale.

Ecco allora che ci si apre una maniera di vivere il nostro essere cristiani in una maniera più aderente alla volontà di Dio. Consolare, fare gesti di consolazione, dire parole di consolazione. Non parole di condanna, perché il giudizio è solo di Dio.

C’è tanta gente sola, ammalata, disperata che attende solo questo: parole di consolazione, parole che siano un barlume di luce nella notte della loro sofferenza.

Terza domenica

Il Vangelo di oggi torna a presentarci la figura di Giovanni Battista.

Sono tanti gli aspetti importanti, da un punto di vista teologico, di questo profeta, ma ce n’è uno che a me colpisce molto.

È il suo atteggiamento verso Gesù, questo suo parente più giovane. In una cultura in cui l’essere più anziani dava autorità e potere, lui invece riconosce in Gesù colui che gli è superiore. Non cerca la sua realizzazione, o la realizzazione delle sue idee, ma solo la piena realizzazione e riuscita di Gesù. Arriverà a dire che lui sarebbe dovuto diminuire perché Gesù doveva crescere.

Ecco è questo l’aspetto, l’atteggiamento di Giovanni che mi colpisce di più. Perché è il più difficile. Noi saremmo tentati di imporci, di imporre le nostre idee, la nostra persona. Se qualcuno che è, a nostro avviso, più “piccolo” di noi dimostra di crescere e di superarci, la cosa come minimo ci procura una grossissima invidia. Non ci piace che l’allievo superi il maestro, soprattutto quando il maestro siamo noi.

Quarta domenica

Due anni fa, più che in una chiesa, il Natale l’abbiamo celebrato in un cantiere. Invece quest’anno abbiamo la nostra chiesa restaurata, più bella e più accogliente di prima.

Mi è venuto in mente sentendo la prima lettura di oggi. E sempre a questo proposito mi sono venute in mente le parole di quel cardinale che diceva che, prima di costruire chiese, bisognerebbe preoccuparsi di formare coscienze.

Non penso di essere un illuso se dico che in questa comunità si cerca di fare anche questo. Certo potremmo fare di più e meglio, però il vangelo di oggi ci dice che Dio per venire ad abitare in mezzo a noi non ha cercato un bel palazzo, ma ha messo gli occhi su una creatura di carne, ha chiesto la collaborazione di una donna.

E l’angelo, alle domande di Maria, l’ha rassicurata che ciò che sarebbe accaduto, non dipendeva dalle sue capacità, ma da Dio, per cui “nulla è impossibile“.

E allora mi domando: e se Dio, invece che delle nostre capacità e possibilità avesse bisogno delle nostre incapacità e impossibilita?

Un’ultima riflessione: nella seconda lettura Paolo parla di “mistero taciuto per secoli“. E allora vi invito a fare un momento di silenzio di fronte al mistero che sta per accadere.

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