La sofferenza per Cristo

Prima di affrontare il tema di questa sera sono necessarie due precisazioni.

Le lettere pastorali sono indirizzate a pastori che hanno delle difficoltà con le loro comunità. Paolo quindi dà indicazioni a chi ha delle responsabilità su altre persone sul come superare queste difficoltà. La maggior parte di noi non ha ancora incarichi che comportino delle responsabilità di altre persone. Però prima o poi nella vita tutti noi avremo delle responsabilità su altre persone, pensate ai genitori nei confronti dei figli. Ma comunque sempre abbiamo anche delle responsabilità nei confronti degli amici e delle persone che conosciamo. Certamente non sono della stessa “gravità” e della stessa rilevanza, ma sono sempre una responsabilità.

Una seconda cosa. Il tema che affronteremo questa sera, la sofferenza, Paolo lo affronta da un punto di vista che a noi può sembrare per niente importante. Già durante il nostro ultimo incontro, ma anche nel ritiro, ci siamo imbattuti sul problema della sofferenza. Però nella realtà che viveva la Chiesa al tempo della stesura della lettera a Timoteo, il problema più grave era non la sofferenza in generale, ma la sofferenza a causa del Vangelo. È un aspetto che a noi può forse sembrare estremamente lontano, però vi vorrei ricordare che il secolo appena concluso è quello che ha avuto il più grande numero di martiri per la fede. E senza arrivare al martirio vero e proprio, quanti di noi non sono stati, almeno una volta, derisi per il solo fatto di credere, di andare a messa? Quanti di noi non hanno sentito discorsi fatti alla radio, alla televisione e sull’autobus, pieni di pregiudizio nei confronti dei credenti? Quante volte non abbiamo letto che per il solo fatto di credere siamo dei cretini, delle persone che rinunciano a pensare con la propria testa, dei cittadini di serie zeta?

Il testo (2Tim 2, 1-26)

1 Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù 2 e le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.

3 Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. 4 Nessuno però, quando presta servizio militare, s’intralcia nelle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che l’ha arruolato. 5 Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole. 6 L’agricoltore poi che si affatica, dev’essere il primo a cogliere i frutti della terra. 7 Cerca di comprendere ciò che voglio dire; il Signore certamente ti darà intelligenza per ogni cosa.

8 Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, 9 a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! 10 Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. 11 Certa è questa parola:

Se moriamo con lui, vivremo anche con lui;

12 se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo;

se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà;

13 se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,

perché non può rinnegare se stesso.

14 Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta. 15 Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità. 16 Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre più nell’empietà; 17 la parola di costoro infatti si propagherà come una cancrena. Fra questi ci sono Imenèo e Filèto, 18 i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la risurrezione è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni. 19 Tuttavia il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi, e ancora: Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore. 20 In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di coccio; alcuni sono destinati ad usi nobili, altri per usi più spregevoli. 21 Chi si manterrà puro astenendosi da tali cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al padrone, pronto per ogni opera buona. 22 Fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro. 23 Evita inoltre le discussioni sciocche e non educative, sapendo che generano contese. 24 Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti, atto a insegnare, paziente nelle offese subite, 25 dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità 26 e ritornino in sé sfuggendo al laccio del diavolo, che li ha presi nella rete perché facessero la sua volontà.

Le lettere pastorali sono scritte in uno stile confidenziale, nella comunicazione di un vissuto e perciò le esperienze più forti, fondamentali, ritornano nei diversi capitoli. Inoltre è un parlare più col cuore che con la testa, per cui non è possibile dare un ordine preciso ai pensieri espressi, però questo cap. 2 sembra che giri tutto attorno ad un concetto: prendi la tua parte di sofferenze, cioè preparati a portare il peso del ministero che ti è stato affidato.

Lectio del Capitolo 2

In questo si possono individuare tre esortazioni e tre motivazioni teologiche.

- Nei primi due versetti si conclude, “dunque”, il racconto di Paolo delle vicissitudini vissute, specialmente in Asia e a Efeso, una città multiculturale che era come un mare in tempesta. È una duplice esortazione, con la preoccupazione per la trasmissione della “sana dottrina”.

- Segue, vv. 3-7, una nuova esortazione basata su tre metafore, quelle del soldato, dell’atleta e dell’agricoltore. La conclusione, al v. 7, ricorda quella di alcune parabole di Gesù: “chi ha orecchie per intendere, intenda” (cfr. Lc 8,8). Quasi che Paolo volesse dire: so che le tre metafore alludono ad una realtà più profonda, ma aguzza l’ingegno, rifletti con attenzione, e certamente il Signore ti farà capire.

- I vv. 8-13 contengono la motivazione teologica dell’esortazione (v. 8), l’esperienza di Paolo (vv. 9-10) e un breve inno cristologico (vv. 11-13). La motivazione teologica è inserita nell’esperienza personale di Paolo, che si identifica col messaggio.

- Nei vv. 14-18 troviamo un’altra triplice esortazione contro i falsi dottori, scandita da tre verbi: richiama, sforzati, evita. A Efeso c’erano molti falsi dottori e nella comunità si discuteva, ci si scontrava e ci si divideva. La semplicità, e unità, iniziale era ormai perduta, e Timoteo ne soffriva. Ma Paolo gli da dei consigli preziosi: ricordati delle cose veramente importanti, lascia perdere le chiacchiere, sforzati di vivere secondo il Signore.

- Il v. 19 è un’altra motivazione teologica per sostenere il discepolo.

- I vv. 20-21, con l’immagine dei vasi, invitano al realismo e poi all’applicazione nella vita.

- E infine nei vv. 22-26 ci sono delle nuove esortazioni. Possiamo anche leggere i vv. 25b-26 come un’ulteriore motivazione che spiega perché dobbiamo usare la dolcezza verso gli oppositori.

Il peso del ministero (vv. 3-6)

Le tre metafore (soldato, atleta, agricoltore) sviluppano un unico pensiero: prendere la propria parte di sofferenze. Viene descritto il peso del ministero mediante il richiamo a tre mestieri rischiosi che comportano di agire secondo le regole e di affaticarsi nell’attesa.

L’immagine dell’atleta era già presente in 1Cor 9,24-25; quella dell’agricoltore in 1Cor 9,7.10 e quella del soldato trova riferimento in Ef 6,10. Il comune denominatore dei tre simboli è la sofferenza, e ciascuna però ha una soluzione particolare. Al soldato la lode del comandante, all’atleta la corona della vittoria, e l’agricoltore sarà il primo a godere dei frutti del suo lavoro.

Ne possiamo trarre tre insegnamenti.

1 - Il ministero pesa, e Paolo lo sa per esperienza personale. Il discepolo deve capire che, nonostante la sua debolezza e inadeguatezza, è chiamato a viverre questo peso, a pagare di persona per il vangelo

2 - D’altra parte ogni professione umana pesa. È un richiamo molto utile: la vita è pesante per tutti, e ci sono delle professioni più dure del ministero. Se tanta gente sopporta il peso della vita, tanto più lo devono accettare coloro che hanno scelto di consacrarsi al servizio del Signore e della Chiesa.

3 - Però c’è un traguardo, ci sono dei frutti. Come per i mestieri presi ad esempio ci sono delle soddisfazioni, così anche il ministero ha le sue soddisfazioni, le sue corone, i suoi premi. Anzi, l’ideale cristiano è più bello, perché ha vivo davanti a sé il piano d’amore di Dio. Le promesse divine valgono molto di più della vittoria per il soldato, della corona per l’atleta, dei frutti per l’agricoltore.

Quando si attenua il pensiero del traguardo legato al nostro essere cristiani significa, anche se qualche volta potrebbe essere una prova di purificazione, che si sono attenuate la fede e la speranza.

Il soffrire con Gesù (vv. 11-13)

Dopo aver così incoraggiato il discepolo, Paolo fa una considerazione teologica su Gesù risorto che sviluppa con quattro affermazioni al condizionale, dove il tema dominante è la reciprocità e la comunione con lui. La considerazione teologica è un riassunto della storia della salvezza.

La prima e la seconda affermazione insistono per quattro volte su “con lui”: “Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo”.

Siamo avvolti nel mistero, siamo coinvolti. Paolo invita ad accettare sia la morte mistica del Battesimo, che la morte nel ministero e, al limite, nella persecuzione: vivremo se moriamo con Gesù, l’essere con Lui nelle prove è già essere con Lui nella sua gloria. Paolo riesce a dire questo inno perché in tutte le sue peripezie ha sperimentato che Gesù era con lui (cfr. 2Cor 11, 24 ss.). Ed è proprio a partire dalla sua esperienza di essere con (una parolina chiave) che può dire a Timoteo: “Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze” (2Tim 2,3). Cioè il rapporto Gesù-Paolo può essere applicato anche a Paolo-Timoteo: Come io soffro con Gesù, così tu soffri con me, dice Paolo. Così viene trasmesso, in maniera oggettiva e sostanziale, il ministero, ma anche il nostro essere cristiani nel profondo: la comunione con il Signore si prolunga nella comunione tra fratelli. È una solidarietà nella sofferenza, e la solidarietà con Gesù diventa solidarietà di Chiesa.

La terza e la quarta affermazione sono in apparente contrasto: “Se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.” C’è una vittoria della grazia anche laddove uno si chiude, perché Dio rimane sempre disponibile: è il primato assoluto della grazia. Se rinneghiamo Dio, lui ci rinnegherà e tuttavia, essendo fedele, essendo immensamente misericordioso, non rinnegherà sé stesso, e cercherà far di tutto per salvarci. Il rinnegamento più grave consiste nel rifiutare di non venir rinnegati.

Quale fondamento? (v. 19)

Le due citazioni bibliche che fa Paolo al v. 19 sono di difficile individuazione. Queste citazioni vengono dopo che Paolo aveva parlato (vv. 14-17) della grande confusione che regna nella comunità di Efeso e che fa soffrire Timoteo, sottolinea che il Signore è la solidità della Chiesa, non il vescovo o il presbitero. Solo il Signore “conosce i suoi”, sa chi è per Lui e chi è contro di Lui, e il tempo lo mostrerà. Certo noi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, ma anche lasciare ogni giudizio a Dio, senza aver la pretesa di discernere tutto con chiarezza. Siamo invitati ad avere pazienza, cosa particolarmente preziosa oggi, quando si registrano continue discussioni.

È come se Paolo ci dicesse: tocca al Signore decidere, da parte tua sforzati, con cuore puro, di fare quello che puoi; è Lui che vede nel segreto delle coscienze, e penserà a mettere ordine. Naturalmente occorrono delle regole, dei punti forti da sostenere, però non è facile discernere tra coloro che percorrono la strada giusta e coloro che l’hanno lasciata. Ciò che conta, nella Chiesa, è la comprensione, l’attenzione reciproca, che non significa lassismo, bensì certezza di essere nelle mani di Dio. Difatti Paolo ci dice pure che ci sono delle cose da eliminare, come le chiacchiere inutili, che ci sono delle persone da cui guardarci, come gli eretici, ma tuttavia il resto verrà chiarito a suo tempo.

L’invito al realismo (vv. 20-21)

Questo invito è molto utile per non lasciarsi sopraffare da situazioni dolorose. L’immagine della casa, piena di vasi d’oro e d’argento, ma anche da vasi di legno e di coccio, ci fa venire alla mente un’espressione che diciamo spesso di fronte ad alcuni casi spiacevoli: capita anche nelle migliori famiglie. E in una grande casa, in una grande famiglia come la Chiesa, non c’è da stupirsi se si trova un po’ di tutto. Non dimentichiamo mai che non siamo noi i padroni, e soprattutto non dobbiamo pretendere di esserlo. Solo il Signore è il padrone, lui che ama le persone così come sono.

Siamo quindi chiamati a non preoccuparci troppo, di non angosciarci se non riusciamo ad educare come vorremmo, se non vediamo salti di qualità nelle persone che ci sono attorno e di cui abbiamo magari anche una certa responsabilità. Ma anche, in positivo, siamo chiamati a vivere le nostre responsabilità con maggior distacco, accogliendo gli altri come sono.

Certo sarebbe molto bello avere una comunità magari piccola ma fervente e perfetta; Gesù però ci ricorda che nella Chiesa ci sono pesci cattivi e pesci buoni, stigmatizzando così i gruppi elitari che si rifiutano di stare con gente non pienamente decisa a dare la vita per Gesù.

Soffrire per gli altri (v. 10)

Riprendiamo questo verso che interrompeva il ritmo dell’inno cristologico: “sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna”.

C’è qui una cosa molto bella che in una qualche maniera ci interpella: Paolo soffre, sopporta ogni cosa per gli altri! Si tratta di un altro aspetto della sofferenza per il vangelo, cioè di quella sofferenza che costituisce la trama di questa lettera, e di cui si vanta anche in Gal 6,14-15.

Paolo sa di portare con sé tutti i suoi e che chi vive con Gesù, insieme con lui deve sapere di portare molti altri.

Siamo invitati a soffrire per la salvezza di altri, alla loro maturazione, e in questo modo cresceremo anche noi nel cammino spirituale. Siamo invitati a soffrire, a vivere il peso del lavoro quotidiano per la salvezza dei nostri fratelli. Ma non solo, anche per la salvezza di coloro che non credono in Gesù. Ciascuno di noi porta altri sulle spalle, ma a nostra volta siamo portati da altri, che pregano per noi. Tutto è al servizio della lode e della gloria di Dio.

Messaggio per noi oggi.

[ Paolo ci ricorda che ogni mestiere pesa, però da questa fatica ci vengono anche dei frutti. Ma ci ricorda anche che il Regno è il più grande dei frutti. Quanto, nel corso delle nostre giornate, questo ideale ci è di conforto, ci aiuta nei momenti di stanchezza o di abbattimento? e quanto invece ce ne dimentichiamo?

[ Abbiamo visto come la parola “con” sia una parola chiave in Paolo. Abbiamo coscienza che il nostro essere con Gesù si traduce in un essere anche con i fratelli? abbiamo coscienza che questo essere con, nella gioia ma anche nella sofferenza, è un essere chiesa?

[ Siamo attenti a mettere ogni nostro giudizio nelle mani di Dio? Tenendo i punti fermi della nostra fede, siamo comprensivi e accoglienti, proprio perché sappiamo che ogni cosa è nelle mani del Signore?

[ Quanto la nostra fatica quotidiana, ma anche la nostra sofferenza, vengono vissute nella coscienza che possono, e devono, essere vissute come dono per gli altri, per la salvezza di tutti gli uomini?

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