Una tappa importante: il matrimonio

L’altra volta ci siamo lasciati alla soglia del passo decisivo della vita di una coppia: il matrimonio. Innanzi tutto c’è da dire che questo passo non è un punto d’arrivo, o meglio, non lo è solamente, è anche un punto di partenza. Usando un linguaggio ciclistico si può dire che è un traguardo di tappa. Si chiude un ciclo della vita e se ne apre un altro, con altre problematiche, con altre tensioni, con altre gioie, con altre strategie.

Ma prima di affrontare questo c’è un altro argomento che merita di essere affrontato. Non sempre si arriva al matrimonio, capita che una relazione finisca, che i due scoprano che la loro relazione, pur fondata su solide basi e affrontata seriamente, non ha sbocchi, che non rientra nei piani di Dio. Come si affronta allora questo momento doloroso è allora importante, perché da queste cose dipendono anche i nuovi tentativi di costruire una nuova relazione. Come già vi dicevo l’altra volta ogni fallimento nell’amore ci segna profondamente, lascia in noi delle cicatrici che influenzano le nostre storie future.

Quando una persona viene lasciata, o quando finisce una storia d’amore, ci sono in pratica solo cinque possibilità di azione, cinque modi di reagire.

- La prima è la possibilità di Kierkegaard. Nelle lettere a Cornelia lui dice: “Più lontana sei più ti amo. Non sposerò nessuna perché amo te.”. È la reazione di chi dice: “Ti amerò sempre. Tu non vivrai con me? A me va bene lo stesso perché comunque io ti amo”. Uno si rinchiude nel suo amore e rimane fedele per sempre, e anche se l’altra persona muore, se si sposa venti volte, ama sempre lo stesso.

- Seconda possibilità. È quella di chi dice: “Mi hai lasciato? Bene, adesso ti faccio vedere io cosa eri per me!”. E ogni settimana sceglie 4 o 5 persone, di quelle che l’altro maggiormente disprezzava, e cerca anche di farsi notare. Il messaggio è chiaro: “Tu per me eri solamente come queste persone”. Questo è un colpo molto forte, un pugno nello stomaco alla John Wayne, però anche la persona che lo assesta si sta rovinando. Questa reazione annienta l’amore, è una vendetta sull’altro, sull’amore precedente, ma una vendetta amara, che alla fine si ritorce anche su chi la attua. È distruttiva, perché è difficile che la persona che ha questa reazione riesca nuovamente ad innamorarsi dentro.

- La terza possibilità di reazione è la vendetta sull’altro sesso. Una cosa del tipo: tu sei una donna, e allora io vado e distruggo tante donne (o: tu sei un uomo e allora io distruggerò tanti uomini). Io le distruggo così ti faccio vedere cosa mi hai combinato. Può essere una distruzione morale, ma può anche arrivare ad una distruzione fisica. Questo è uno spostare la colpa, è colpevolizzare l’altro per il disastro della propria vita. Il meccanismo psicologico soggiacente è quello di rendere colpevole l’altro sesso dei drammi personali. È forse la reazione peggiore.

- La quarta possibilità si ha quando ti innamori nuovamente, ma in ogni persona cerchi quello che aveva la precedente. In questa seconda persona cerchi gli atteggiamenti, le caratteristiche della prima. Allora vengono sempre fuori frasi di rimprovero. Fino a che l’altro non se ne accorge e allora ti mette davanti alla realtà: “Tu non ami me, ma ami ancora quella persona che era prima di me. Ma io non sono quella, io sono io”.

- Infine la quinta possibilità, l’unica saggia. Consiste nel prendersi un periodo di silenzio emotivo. È un richiamare in porto tutte le navi, verificare i danni, contare quante e quali siano affondate, e solo dopo ricominciare. Ma ricominciare dal porto, non dal mare. Ritornare, rientrare, vivere un periodo di silenzio emotivo, trovarsi di nuovo in sé stessi senza questa relazione. Perché quando uno inizia ad innamorarsi, comincia a pensare in due (se uno non inizia a pensare in due non passa mai all’amore). Ma quando hai iniziato a pensare in due, ritrovarsi da soli è uno scombussolamento enorme. Si tratta quindi di abituarsi a pensare nuovamente da soli: sono solo e penso per uno. E per fare questo si deve rientrare in sé stessi, riequilibrarsi, ritrovare le proprie coordinate interiori, mettere in ordine le proprie navi prima di riprendere di nuovo il mare. E allora si trova, altrimenti si ricade in una delle reazioni dette prima e non si riesce a governarsi.

Ma torniamo a noi. I due, dopo un cammino fatto insieme, scoprono che c’è un’ulteriore strada da percorre insieme. Attenzione, non è solo volontà di unirsi né una volontà di reciproca solidarietà. Il matrimonio si deve fare con un fuoco molto caldo insieme ad un’opzione molto fredda.

Ma perché il matrimonio? Vedete, l’amore è uno scoprire l’uno nell’altro il volto di Dio. L’amore erotico è questa attrazione l’uno nell’altro per scoprire il volto di Dio, che è il volto di tutto l’essere umano, il volto dell’intera persona nell’altro, un po’ come l’ho visto quando mi sono innamorato. Quando riesco a vedere la persona in tutta la sua integrità significa che Dio riconosce in questo amore il suo amore. Perché l’amore coniugale è l’unico sacramento che non viene celebrato da un ministro ma dai due sposi. In fondo il matrimonio è solo questo: che due riconoscano l’uno nell’altro il volto di Dio.

Allora vanno dal sacerdote e gli dicono: “Noi pensiamo di aver individuato nell’altro il volto del Signore, e possiamo sperare di vivere sessanta e più anni a contemplare questo volto e non tradirlo, a far sì che questo volto appaia sempre più nell’altro”. E allora se il prete ritiene in coscienza che questo sia vero dice: “Bene, Dio in questo vostro amore riconosce il suo amore; questo vostro amore viene riconosciuto come amore di Dio”. Senza che il sacerdote approvi questo non si possono celebrare le nozze, come senza che i due arrivino alla conclusione che il loro amore è amore di Dio non c’è il sacramento. Senza questo c’è una rappresentazione, delle belle foto, una festa grande, tanta commozione, ma non c’è sacramento.

Invece per sposarsi è necessario un discernimento profondo (ecco l’opzione fredda) che veramente il loro amore è così grande (ecco il fuoco molto caldo) che loro due vedono il volto di Dio l’uno nell’altro. Allora Dio riconosce questo amore come suo amore, perché il sacramento, ogni sacramento, significa un ambiente in cui Dio ama il mondo in maniera sensibile. Per cui dove ci sono due sposati, c’è un ambiente in cui Dio ama in maniera sensibile gli uomini perché quei due si amano in maniera sensibile. Quando marito e moglie si amano sensibilmente, in maniera erotica, sessuale, è Dio che ama l’umanità. Capite quindi che non è uno scherzo, né una cosa di poca importanza o banale. L’amore è sacramento per questo, solo per questo, non per altri motivi.

L’amore delle due persone deve essere tale che Dio possa dire: “Io mi riconosco in questo amore”, e badate bene che se questo non avviene tale amore non può divenire sacramento. Ma quando c’è sacramento allora il mondo diventa più santo, più perfetto, si ama di più, perché c’è un po’ più di amore di Dio nel mondo. Badate che il matrimonio o è questo o non è matrimonio.

E allora quando si arriva a questo riconoscimento, alla coscienza che quanto detto è ciò che si sta realmente vivendo cosa succede? Ricordate che l’altra volta vi dicevo che il più valido termometro del valore reale di un amore sono proprio gli altri. L’amore, quando c’è, è una forza che porta alla socializzazione, al sociale, al relazionarsi, perché se è un amore intimistico, chiuso in sé stesso non è amore di Dio. L’amore deve uscire allo scoperto, perché si vive sempre in mezzo ai legami sociali, si deve avere il coraggio di dichiarare il reciproco amore. La chiesa non accetta un legame segreto (salvo rari e particolarissimi casi, e solo su dispensa del vescovo), è questo il senso alla radice delle pubblicazioni, perché l’amore di Dio è un amore che va allo scoperto e rimane fedele nonostante venga schiaffeggiato e messo in croce. I due devono arrivare a questa certezza, non che si amano (questo non basta), ma che escono allo scoperto.

Quando si ha questo, i due vanno dal sacerdote e gli dicono: “Te la senti di venire a testimoniare davanti a Dio che noi ci amiamo come Dio vuole che si ami? Vieni a testimoniare che Dio ha riconosciuto il nostro amore come suo?”. Se il prete accetta queste due testimonianze si può celebrare il matrimonio. E il prete si impegna anche a testimoniare fino alla fine dei tempi che ha riconosciuto in loro due l’amore di Dio.

Allora i due vanno e dicono ai parenti, agli amici di venire a testimoniare il momento quando il loro amore esce allo scoperto e si riconosce come amore di Dio, cioè amore capace di fedeltà fino alla fine, fino alla morte.

È per questo che nel rito del matrimonio non troviamo “Io ti amo”, perché è troppo facile, ma troviamo “Io ti amerò”. Il discorso è al futuro. E questo futuro o è sognato e volontaristico oppure non è altro che la constatazione del presente e del passato. Se è questo, constatazione del presente e del passato, siamo certi che è amore di Dio.

Questo viene detto quando siamo tutti radunati, amici, partenti, sacerdote ed è un dichiarare che questo è vero amore, che è amore di Dio. E da questo momento gli amici diventano garanti che questo amore è riconosciuto coma l’amore di Dio e il sacerdote è garante davanti a Dio e davanti a quelli che si sposano che quello è veramente amore divino. Sono necessarie sia la presenza sociale che quella sacerdotale, cioè le coordinate orizzontale e verticale, le due coordinate che sigillano ed evidenziano che quello è amore di Dio riconosciuto nell’amore umano e nello stesso tempo amore umano innalzato nell’amore di Dio.

Fatto questo le due persone sono solo entrate in parola, sono socialmente garantite, ma non è ancora sacramento. Le nozze sacramentali si celebrano nel momento dell’atto sessuale. Solo lì sarà compiuto il sacramento. Il sacramento dell’amore viene celebrato con l’atto dell’amore corporeo, come dice il codice di diritto canonico fatto humaniter, in maniera veramente umana, cioè nel senso che abbiamo visto in queste serate.

Il senso di quello che abbiamo visto in queste serate (e abbiamo fatto solo una rapida sbirciatina) è di scoprire il grandissimo valore della sessualità. Perché quando ti sposi, e adesso vi dirò una frase che può sembrare in contrasto con quanto detto, devi essere pronto a vivere senza vita sessuale nel matrimonio. Se sei pronto a questo allora riesci a vivere molto bene il tuo matrimonio. Se non sei pronto allora appena una volta, per una o due settimane non puoi fare l’amore impazzisci, e vai a cercare un’altra persona per vivere sessualmente con lei. Capite invece che se due vivono la sessualità come simbolo della morte per l’altro, come simbolo della definitività, della resurrezione, come dimensione orizzontale e verticale dell’essere umano, se due hanno custodito, non la verginità, ma il significato stesso della sessualità, se non l’hanno svalutata a cosa tra tante cose, se l’hanno vissuta come unica via per educarsi al fatto che sono amati, allora qualsiasi cosa accada nel loro matrimonio saranno uniti e affidati l’uno all’altro.

Non si tratta di fare tanti sacrifici prima del matrimonio. Prima del matrimonio si tratta di imparare molto, di impegnarsi molto per prepararsi al matrimonio. E si vive tanto e si gioisce, anche sensualmente, ma non occorre fare giochi pornografici per questo. Questa è la grande chance del cristianesimo. Non è immaginabile che la strada della vita cristiana sia castrante. La strada della vita cristiana deve essere una esplosione della creatività. È veramente triste quando uno dice: “Come vive bene il mondo! Io mi devo controllare e rinunciare a tante cose e quelli invece se la spassano alla grande”. Significa che non ha capito quante strade gli apre la fede in Cristo, quanti significati profondi ci sono nelle cose, quanto cose belle la vita gli prepara, quante e quali gioie enormi si sta preparando a vivere.

Anche se, come ha detto qualcuno, in ogni incontro c’era un mucchio di cose, sono ancora tante le cose che mancano. Mancano cose sulla sessualità, sulla maturazione della persona, sulla moda, sulla fecondità, manca tutto il discorso morale. Ma come dicevo nel primo incontro di quest’anno, quello che volevamo fare era solo inquadrare il problema, dare delle coordinate di base, gettare le basi.

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