Giona

Il libro del profeta Giona è piccolo, solo quattro capitoli. A differenza degli altri scritti profetici, in esso non troviamo una raccolta di oracoli, ma si presenta come un racconto, quasi un dialogo tra Dio e il suo profeta.

È ormai quasi certo che né il personaggio sia mai storicamente esistito, né i fatti avvenuti. Il senso principale della storia narrata si colloca sulla stessa scia del libro di Rut che avevamo visto qualche anno fa. In effetti è più o meno contemporaneo. Intende sostenere l’apertura universalistica che stava avvenendo in alcuni ambienti del giudaismo postesilico, soprattutto nell’ambito della diaspora ebraica nell’intero ecumene. Se, da un lato, non mancavano correnti inclini alla chiusura a riccio dell’Ebraismo contro ogni infiltrazione ideologica dall’esterno, ben testimoniate dai libri di Esdra e Neemia, d’altra parte si avvertiva da più parti l’esigenza di un impegno missionario verso i Gentili.

Ninive era un chiaro simbolo di oppressione per Israele, avendo distrutto e deportato il Regno del Nord; eppure a Giona, che qui rappresenta il rifiuto di questa nuova politica, è chiesto di invitare alla conversione proprio quella città. Dopo che egli ha accettato a malincuore di farlo, il suo rifiuto della decisione divina di risparmiare la città spiega assai bene i motivi della fuga nella direzione opposta. Giona non si rassegna ad accettare un Dio misericordioso, preferendogli il Dio del giudizio inesorabile, soprattutto contro un impero tanto odioso come quello assiro. Al suo sfogo, che rasenta la bestemmia, Dio risponde con la parabola del ricino, il cui significato è altrettanto chiaro: visto che tutti siamo pronti a preoccuparci per le piccole cose della vita, perché Dio non dovrebbe preoccuparsi altrettanto dell’intera umanità, anche quella peccatrice e pagana, affinché possa essere salvata?

Giona 1,1-16

Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.

Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi. I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio e gettarono a mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cos’hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo». Quindi dissero fra di loro: «Venite, gettiamo le sorti per sapere per colpa di chi ci è capitata questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?». Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia». Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché il mare andava sempre più crescendo contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di questo uomo e non imputarci il sangue innocente poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere». Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti.

La parola di Dio “cade” su Giona, è un evento improvviso che sconvolge la sua vita, disturba la sua tranquillità. È una parola indesiderata, che investe il profeta di una missione terribile: andare a Ninive per invitare gli abitanti alla conversione. Giona si sente gravato da un peso impossibile, ma soprattutto da un incarico ingiusto: operare per la salvezza del nemico più tremendo e potente! Giona non è d’accordo don il Signore, non ne condivide il progetto.

E allora decide di fuggire lontano dallo sguardo del Signore, proprio come uno che espatria per fuggire ad un mandato di cattura. Non vuole aver nulla a che fare con un Dio così paziente e misericordioso. In pratica si dichiara “ateo”, “lontano dal Signore” sottolinea con insistenza il testo. Gratuitamente scelto dal Signore, cioè attirato più vicino, paga un prezzo per andare lontano.

Non è forse successo anche a noi qualche volta di avere un comportamento così ribelle? Tante volta anche noi non ci troviamo d’accordo con Dio per il suo modo di agire, per la sua magnanimità nei confronti di chi, a nostro giudizio, meriterebbe invece un tremendo castigo. Perché permette che gli innocenti soffrano? Perché non mette fine alla malvagità del mondo, alle ingiustizie? Ci allontaniamo da Dio quando invece di trasformare in preghiera questi legittimi perché, giudichiamo Dio e ci chiudiamo alla fede, orgogliosamente certi, come Giona, di essere dalla parte della ragione.

Comunque sia, il profeta si imbarca, non esita ad attraversare il mare, accetta di correre alti rischi, ma non vuole rischiare sulla parola del Signore.

Quante volte anche noi corriamo tanti rischi solo perché non vogliamo affidarci al Signore che ci sembra ci chieda troppo!

È tale la sua ansia di fuggire, che, contrariamente alle consuetudini per cui il passaggio si pagava una volta giunti a destinazione, paga il subito il trasporto. Sembra quasi che voglia anticipare il momento in cui arriverà “lontano dal Signore”.

Ma poi scoppia una tempesta e una grande agitazione prende tutti i marinai, che gettano in mare tutti i pesi superflui mentre dal loro cuore sgorga spontanea, anche se un po’ interessata, la preghiera. Ma non sanno che il peso più grosso che fa affondare la nave è proprio Giona, che invece se ne va a dormire! I pagani che esortano il profeta di Dio a pregare ricordano molto quel passo in cui Gesù dirà del centurione romano che non ha trovato in Israele nessuno con una fede così grande (Mt 8,10).

Comunque in tutto questa prima parte di questo primo capitolo, Giona è la figura dell’uomo che, vivendo contro la volontà di Dio, si trova poi in mezzo a una tempesta che provvidenzialmente lo costringono a riflettere. Infatti, grazie alle domande dei marinai, è costretto a prendere coscienza della propria identità e della propria missione. E fa (o meglio, ci fa fare) una scoperta: il peccato di uno solo travolge sempre una moltitudine!

È interessante vedere come i marinai, una volta conosciuto il ’segreto’ di Giona, non si lamentano né protestano o accusano: a differenza di Giona non giudicano Dio e il suo operato. E anche quella specie di tribunale che aprono, non è per condannare, ma per capire e trovare la soluzione più misericordiosa.

Con le sue risposte, Giona inizia il percorso di riscatto, di conversione. Le sue sono risposte esatte, sincere, ammette le sue responsabilità e le sue colpe, e indica anche la soluzione al problema di tutti: che uno (lui) muoia per la salvezza di tutti. Questo getta i marinai in un grandissimo dilemma: non osano toccare il profeta perché uomo di Dio, ma d’altra parte la sua presenza è causa di sventura.

Infine decidono di seguire la via indicata da Giona, ma con quanta esitazione! Innanzi tutto rivolgono una preghiera, non più ai loro dei, ma al Dio di Giona. In questo modo Giona, anche mentre fugge lontano dal Signore, non cessa di essere profeta di Dio presso i pagani. Le parole che usano, oltre ad indicare che non fanno la loro volontà ma quella del Signore, hanno però anche un eco in quelle che, alcuni secoli dopo, diranno il sinedrio, Pilato e la folla a proposito della condanna di Gesù. Pur in mezzo alla burrasca (simbolo dei tanti disordini causati dal peccato) non perdono il giusto orientamento, il senso della solidarietà, il riconoscimento del valore inestimabile della vita umana. Sono la figura di tutti i pagani che si aprono a Dio riuscendo a riconoscerlo anche in situazioni che per la maggioranza delle persone sono di scandalo e causano un allontanamento. Arrivano alla fede non per una esplicita opera missionaria compiuta da Giona. Se già nella tempesta avevano scorto la potenza di Dio, non meno importante è stata la testimonianza diretta del profeta, la sua sincerità, la chiara coscienza del peccato commesso, la serietà nell’assumersene la responsabilità non esitando a sacrificare la propria vita per salvare quella degli altri, che prontamente scagiona da ogni colpa.

Giona sa che la sua colpa è stata grave e, nel suo pentimento, accetta per sé la propria morte, come poi infine la accettano anche i marinai.

Il primo capitolo si chiude con una parola di pace: il mare placa la sua furia.

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