Ct 4,1-5,1

Il Ct è la celebrazione di un’esperienza umana, personale e totale. È un’esperienza che comprende innanzi tutto una riconciliazione con l’eros e col linguaggio del corpo. A questo proposito è importante la prima parte dell’enciclica “Dio è amore” di Benedetto XVI, ma già Giovanni Paolo II in una sua catechesi sul Ct (2/5/84) diceva: “Tanto il punto di partenza quanto il punto d’arrivo del fascino - reciproco stupore e ammirazione - sono la femminilità della sposa e la mascolinità dello sposo nell’esperienza diretta della loro visibilità”. Con il Ct al rapporto uomo-donna è dato tutto il suo valore in pienezza: è posto come cosa buona tra le cose buone nel cuore stesso della Bibbia. Molto giustamente notava Bonhoeffer (in Resistenza e resa): “In verità noi non sapremmo immaginare un amore più caldo, più sensuale, più incandescente di quello che vi è cantato [nel Ct]; ed è importante che si trovi nella Bibbia a smentire tutti coloro che vedono il cristianesimo nella moderazione delle passioni (ma dov’è mai questa moderazione nell’Antico Testamento?)”.

Il Ct insegna a distinguere la purezza dell’amore dalla dissolutezza del dominio, della sottomissione, della violenza, della brutalità di un’“esecuzione” solo fisiologica dell’amore. Il Ct propone l’utopia di un’umanità liberata verso cui tendere come essere umani e come credenti. In questa umanità fioriscono i doni del creato e si manifesta l’armonia tra eros e agape, cioè l’armonia del piacere con l’amore, del desiderio con la carità, del possesso con la donazione.

Il Ct insegna a “fare l’amore”, non nel senso comunemente dato a questa frase, ma come “cosa” da costruire giorno per giorno nella reciproca donazione esclusiva e totale (di anima e corpo) e nel contemporaneo totale accoglimento e accettazione l’uno dell’altro.

Il Ct ci ricorda che noi non “abbiamo” un corpo, bensì “siamo” un corpo, perché esso non è un agglomerato biologico, un accidente dell’anima, ma è la via fondamentale della nostra comunicazione, della nostra rivelazione e della nostra salvezza.

Il racconto (Ct 4,1-5,1)

(LUI) 1 Come sei bella, amica mia, come sei bella! / Gli occhi tuoi sono colombe, / dietro il tuo velo. / Le tue chiome sono un gregge di capre, /che scendono dalle pendici del Gàlaad. / 2 I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, / che risalgono dal bagno; / tutte procedono appaiate, / e nessuna è senza compagna. / 3 Come un nastro di porpora le tue labbra / e la tua bocca è soffusa di grazia; / come spicchio di melagrana la tua gota / attraverso il tuo velo. / 4 Come la torre di Davide il tuo collo, / costruita a guisa di fortezza. / Mille scudi vi sono appesi, / tutte armature di prodi. / 5 I tuoi seni sono come due cerbiatti, / gemelli di una gazzella, / che pascolano fra i gigli. / 6 Prima che spiri la brezza del giorno / e si allunghino le ombre, / me ne andrò al monte della mirra / e alla collina dell’incenso. / 7 Tutta bella tu sei, amica mia, / in te nessuna macchia. / 8 Vieni con me dal Libano, o sposa, / con me dal Libano, vieni! / Osserva dalla cima dell’Amana, / dalla cima del Senìr e dell’Hermon, / dalle tane dei leoni, / dai monti dei leopardi. / 9 Tu mi hai rapito il cuore, / sorella mia, sposa, / tu mi hai rapito il cuore / con un solo tuo sguardo, / con una perla sola della tua collana! / 10 Quanto sono soavi le tue carezze, / sorella mia, sposa, / quanto più deliziose del vino le tue carezze. / L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi. / 11 Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, / c’è miele e latte sotto la tua lingua / e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. / 12 Giardino chiuso tu sei, / sorella mia, sposa, / giardino chiuso, fontana sigillata. / 13 I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, / con i frutti più squisiti, / alberi di cipro con nardo, / 14 nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo / con ogni specie d’alberi da incenso; / mirra e aloe / con tutti i migliori aromi. / 15 Fontana che irrora i giardini, / pozzo d’acque vive / e ruscelli sgorganti dal Libano.

(LEI) 16 Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni, / soffia nel mio giardino, / si effondano i suoi aromi. / Venga il mio diletto nel suo giardino / e ne mangi i frutti squisiti.

(LUI) 5,1 Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, / e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; / mangio il mio favo e il mio miele, / bevo il mio vino e il mio latte. / Mangiate, amici, bevete; / inebriatevi, o cari.

Il commento

Già nel precedente incontro ci siamo trovati di fronte ad alcune immagini un po’ inconsuete, ma questa volta a noi paiono addirittura ridicole (capelli-capre, denti-pecore). Non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte ad una cultura pastorale di più di duemila anni fa. Già questo segna una notevole differenza rispetto alla nostra cultura industriale o post-industriale. Ma c’è anche un’altra differenza. Ancora oggi la poesia amorosa medio-orientale si caratterizza per il notevole ricorso ad un profluvio di immagini cui noi non siamo abituati. Le nostre orecchie non sono sintonizzate su questo linguaggio. È come in campo musicale. Noi siamo abituati ad una musica che prevede come intervallo minimo tra due suoni il semitono; la musica araba invece ha come intervallo minimo il quarto di tono. Il nostro orecchio non è educato a questo diverso intervallo, perciò non lo “sente”: è per questo motivo che facciamo fatica ad ascoltare questo tipo di musica, la troviamo quanto meno noiosa e monocorde.

Lo stesso è con la poesia: non siamo abituati a tutta questa cascata di immagini e di similitudini che si accavallano e si rincorrono. Ci perdiamo e siamo distratti. Il contrasto con ciò a cui siamo abituati, dall’ermetismo agli SMS, è troppo stridente, facciamo fatica a trovare la chiave culturale per comprendere e apprezzare.

Ma veniamo al passo di questa sera. Una prima notazione stilistica. La metrica ebraica è data dagli accenti del verso (e non dal numero di sillabe come in italiano). In questo passo c’è una musicalità unica. Si inizia con una lode pacata e scandita da 3+3 accenti per passare all’eccitazione fresca e lieve del metro brevissimo (2+2 accenti) e infine arrivare allo struggimento del registro malinconico (3+2 accenti). La metrica stessa descrive i sentimenti, lo stato psicofisico dell’incontro di due innamorati. È una poesia “corporea” di grande purezza, che richiede occhi limpidi e cuore puro, non ci deve scandalizzare, ma non va neanche banalizzata.

Lo sguardo innamorato dell’uomo percorre il pianeta vivo e affascinante del corpo della sua donna. Attraverso il velo imposto in oriente alle donne (oppure attraverso la cascata dei capelli, simile ad un velo) balenano gli occhi, simili all’animale della tenerezza, della fedeltà e dell’amore che già abbiamo incontrato: la colomba. Il velo nasconde e svela allo stesso tempo, un gioco allusivo e pieno di fascino. I folti capelli neri, che il velo non riesce a coprire, scendono mossi e ondeggianti come le capre che scendono dal monte.

Sempre a questo mondo pastorale il poeta attinge per descrivere il candore dei denti. Si ha qui la presenza di un vocabolo oscuro, presente solo qui, che forse indica le pecore lavate prima della tosatura biancheggianti sul prato (ma secondo altri indica una razza particolare di pecore). In tutta la descrizione del viso un continuo gioco di colori (rosso, verde, bianco, dorato) crea un impasto ricco di freschezza, di vitalità e di gioia degli occhi e del cuore.

Dal viso si passa al collo, e dai simboli rurali a quelli urbani (v. 4). E anche qui ci troviamo di fronte ad un vocabolo unico nella Bibbia e dal significato oscuro. La traduzione della CEI che usiamo, a proposito della torre dice: “a guisa di fortezza”, altri traducono “a strati perfetti”, altri in altre maniere. Si tratta di una torre di Gerusalemme a noi ignota, per questo ogni traduzione è lecita. Uso comune era quello di appendere gli scudi dei nemici vinti alle torri e alle mura della città. Mille scudi indicano quindi un numero enorme di vittorie. Nella trasfigurazione gli scudi si trasformano negli ornamenti e nelle collane che la donna porta al collo. Forse evocando la città santa, Gerusalemme, si vuole rimandare ad un senso spirituale, alla città dove c’era il Tempio.

Lo sguardo poi si fissa con tenerezza e delicatezza sui seni. Ci troviamo di fronte ad un erotismo delicato, appena accennato, che non conosce volgarità, malizia, ma neppure ipocrisia o falso moralismo.

Tutto il corpo ora è posseduto visivamente e spiritualmente in un dialogo perfetto. È un’esperienza di bellezza assoluta e intatta; difetti e macchie scompaiono perché tutto è purificato dall’amore. L’esclamazione finale (v. 7) usa, per indicare questa perfezione della donna, un vocabolo di totale purezza (“senza difetto”) dato dal Levitico alle vittime sacrificali perfette (Lv 21, 17.18.21.23; 22,20.21.25). Nell’amore puro c’è una purezza che è sacra e che santifica. Ed è per questo che la tradizione cristiana ha applicato questa qualità alla comunità dei credenti (Ef 1,4; Col 1,22; Fil 2,15; Gd 24; Ap 14,5) o al Cristo stesso (Eb 9,14; 1Pt1,19) o a Maria nella celebre antifona liturgica: “Tota pulchra es, Maria / et macula originalis non est in te!

Il riferimento ai monti profumati del v. 7 provoca adesso l’apparizione del Libano e della sua catena. Ma oltre al Libano vero e proprio si nominano anche il monte Amana e il monte Hermon (qui nominato anche col suo nome amorrita Senir). La sua vetta è innevata tutto l’anno, ed è quasi un punto di riferimento e un segno di freschezza per chi viaggia in Galilea sotto il sole cocente.

E dopo c’è lo splendore della donna, che è riportato nel v. 9. L’originale ebraico ha un verbo intraducibile ma di grande potenza. Contiene il vocabolo “cuore” e ne indica il battito accelerato, la lacerazione, quasi l’arresto stupito: tu mi hai rapito il cuore, mi hai fatto impazzire, mi hai ferito il cuore (come nell’Estasi di s. Teresa del Bernini), mi hai piagato il cuore (come traduce s. Girolamo), me l’hai trapassato (come traducevano i rabbini), tu mi hai incatenato il cuore ...

Un solo sguardo d’amore fa impazzire l’amato, una sola perla della collana della sua donna rapisce l’anima. Il linguaggio degli occhi e del corpo è sempre immediato e diretto. Ed è immediato anche l’accumularsi dei titoli dedicati all’amata.

In questa strofa dominano “sposa” e “sorella”. La sposa (ma il vocabolo ebraico è più generico e indica anche la fidanzata) è sorella non in senso genetico, ma perché, nel linguaggio orientale, il rapporto di fraternità è segno di intensità e totalità, riassume in se tutte le relazioni interpersonali. La donna amata è per l’uomo sorella, madre, amica, figlia, sposa perché concentra in sé tutte le potenzialità dell’amore.

Il Ct è pieno di riprese che però non sono stanche ripetizioni. Così adesso vengono riprese le battute iniziali (vv. 1, 2-4). C’è però un piccolo particolare: la lingua, vale a dire le parole, è saporosa come se stillasse “miele e latte”. È una locuzione, solitamente invertita “latte e miele”, che compare moltissime volte nella Bibbia ad indicare la Terra promessa. Cioè la donna è bella, dolce, desiderabile come la terra che Dio ha riservato al popolo eletto.

E dopo il simbolo della Terra promessa, il Ct si apre su un classico della poesia amorosa orientale, quello del giardino. In trasparenza è sempre il corpo della donna che è di scena, il vero giardino delle delizie e della bellezza. Il giardino è abbinato alla sorgente, ed entrambi sono sigillati, chiusi agli estranei. È abbastanza chiara l’allusione all’illibatezza della donna, alla sua fedeltà, all’esclusività del reciproco possesso. Questo giardino è aperto solo allo sposo, l’intimità non deve essere violata, ma solo donata per amore. E questo giardino è tutto un effluvio di essenze profumate, sia sacre che profane (cfr. Es 30,23-24; Pr 7,17; Sal 45,9), perché l’amore rende sacre anche le cose più profane.

Il canto dell’uomo si chiude con una ripresa, a mo’ di antifona, del v. 12. Col richiamo ai monti del Libano la donna è per l’uomo come una sorgente di acque abbondanti e fresche. Per capire appieno questo paragone bisogna tener presente il panorama assolato e assetato della terra d’Israele. Nell’itinerario spesso aspro e desolato della vita, l’amore è come il pozzo, la sorgente viva, a cui si attinge per essere dissetati e rinvigoriti.

A questo punto la ragazza lancia un appello poetico ai venti settentrionale e meridionali, cioè ai venti freddi e a quelli caldi, perché avvolgano lei e il suo giardino in modo da far esaltare gli aromi in tutta la loro intensità. Tutto il mondo, nel suo asse verticale nord-sud, si concentra intorno a questo giardino paradisiaco nel quale l’amato è invitato ad entrare. L’oasi chiusa è aperta dalla donna stessa per un puro atto di donazione totale.

L’uomo accoglie con gioia l’invito (v. 5,1), e una volta nel giardino si lascia sedurre dai profumi, è rinvigorito dal miele, è dissetato dal latte e dal vino generoso. A questa mensa d’amore che guarisce ogni limite e ogni debolezza, è assiso come un principe con la sua regina. Ed è così che egli invita i compagni e gli amici a partecipare alla sua gioia. C’è qui un richiamo alla forza diffusiva che l’amore racchiude in sé. Infatti il testo ebraico può essere tradotto anche così: “Compagni, mangiate, bevete e inebriatevi di amore!”. L’amore ha in sé una forza che si dirama e cerca di provocare amore. L’amore non sopporta di essere chiuso in sé stesso.

Messaggio per noi

Come l’altra volta vi fornisco solo alcuni spunti, per aiutarvi (ma anche provocarvi e spronarvi).

Come sei bella ...” - L’importanza di dirsi le cose belle. Dopo un po’ si ha la tendenza a dare per scontate tante cose, ma soprattutto i complimenti. E invece c’è sempre bisogno di dire all’altro che è bello, che ci piace, che la sua vista ci rallegra il cuore e lo spirito. Non dimentichiamoci mai di dire le cose belle. E questo vale in tutti i rapporti, non solo tra fidanzati/coniugi. Anche con i figli, con gli amici dobbiamo dire ciò che troviamo di bello in loro. E anche i preti... come sono a volte tristi (e inascoltate) certe omelie tutte condanne e rimproveri! E invece si dovrebbe prendere esempio da s. Paolo che nelle sue lettere esordisce sempre con lodi e complimenti.

La tua bocca è soffusa di grazia” - La bocca di chi ama è capace di dire cose giuste e belle, ma soprattutto di dire le cose con grazia, cioè senza ferire. La carità copre tutto. Spesso è più facile tirar fuori le cose “brutte”, i difetti, criticare, che dire le cose belle; è più facile dire quello che divide che quello che unisce. Eppure val più una goccia di miele che un barile di aceto, oppure, come dice un detto del Talmud, “Una sola parola che tocchi il cuore fa più effetto di molti schiaffi”. La cosa più importante è incoraggiare, gioire del bene, elogiare...

In te nessuna macchia” - Che, specie all’inizio, gli innamorati non vedano i difetti dell’altro, è un dato di fatto, ...ma questi ci sono. Occorre “sopportarli”, ma anche allearsi col coniuge perché se ne liberi. Tenendo però sempre presente la differenza tra la “correzione fraterna” (giusta) e la “critica” (sbagliata). La prima edifica, la seconda distrugge; la prima vuole esclusivamente il bene dell’altro; la seconda vuole liberarsi da una seccatura, da un inconveniente insopportabile per sé.

Tu mi hai rapito il cuore” - Non bisogna mai dimenticare che l’Amore è al di spora di tutto. Dio è geloso, non vuole che un amore imperfetto e sbagliato ci rapisca il cuore: non possono essere il denaro, la nostra brama di successo o di altri falsi amori a far da molla alle nostre azioni. Anche nella relazione tra gli sposi non è sufficiente soltanto un innamoramento di piacere; anche loro hanno bisogno di imparare e vivere l’Amore-Agàpe.

Vieni con me dal Libano, ... vieni” - C’è un richiamo dell’Amore per i coniugi, i religiosi, i non sposati: “Vieni, ...esci dal tuo piccolo guscio, ...apriti, ...impegnati nel dono di te”. Non c’è niente che fa crescere come l’amare veramente. Un amore che non sia solo un esclusivo prendere, consumare, volere per sé, ma piuttosto un imparare il dono di sé fatto con gioia e apertura. Contro la pigrizia è un richiamo all’attività e alla creatività; contro la ripicca, il muso e la rivalsa, è un richiamo al perdono, al fare il primo passo; contro la chiusura è un invito alla fiducia e all’apertura; contro l’egoismo e la paura degli altri c’è l’invito a scordare il male, le sofferenze della vita, le incomprensioni, il litigio…

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